#Lottomarzo a Firenze: dal globale al locale qualche considerazione su una giornata di lotta

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Lo scorso otto marzo migliaia di organizzazioni femministe, movimenti locali, donne e uomini singoli in tutto il mondo si sono mobilitati indicendo uno sciopero internazionale, contro l’oppressione di genere. Già dal giorno successivo però i commentatori più accreditati, pur senza prendere le distanze dal messaggio “culturale”, ma giocando sul senso comune, hanno bocciato lo strumento “sciopero”, definendolo divisivo (come se fosse colpa dello sciopero dell’8 marzo se in Italia mancano strutture assistenziali, asili e materne pubbliche!).

Le critiche in questo caso servono a celare una realtà, ossia il fatto per cui la cultura maschilista è saldamente funzionale ai meccanismi produttivi ed alle scelte politiche dei Governi. La costruzione di un soggetto debole che ha difficoltà ad entrare nel mercato del lavoro e ne viene espulso prima (come dimostrano inequivocabilmente i tassi di occupazione femminile – più bassi – il tasso di inattività e le ore dedicate al lavoro domestico – più alti), rende tutti più ricattabili, tanto sul piano salariale quanto su quello normativo. Inoltre, l’abitudine sessista a scaricare i lavori domestici e di cura sulle donne, consente di mascherare i tagli al welfare. Che d’altro canto hanno come conseguenza diretta quella di escludere dal diritto al lavoro le donne, impossibilitate a conciliare il lavoro a casa e quello fuori casa.

Per questo lo sciopero, uno sciopero politico come non se ne vedevano da anni, proprio in quanto elemento divisivo e conflittuale non solo è utile, ma centra il cuore del problema, evidenziando come la donna sia al centro di una duplice oppressione: di genere e di classe. E come gli oppressori, ossia i responsabili politici della precarizzazione lavorativa, dei tagli alla spesa pubblica, abbiano dei nomi e dei cognomi.

Per dare voce alle ragioni dello sciopero, ci siamo uniti al corteo che l’8 marzo ha attraversato le strade di Firenze, raccogliendo le testimonianze di quei gruppi di lavoratori e lavoratrici che hanno incrociato le braccia.

“Lo sciopero è andato bene” ci conferma Alessandro dei Cobas Ataf “nella fascia pomeridiana 40%, mentre un 25% nella fascia mattutina; ciò significa che nei momenti del cambio turno questo livello di adesione determina che il 70% dei mezzi non circola, quindi l’Ataf è stata una delle realtà lavorative dove questo sciopero politico si è sentito maggiormente [come hanno confermato i giornali, n.d.r.]”. Ma i lavoratori degli autobus non si sono limitati ad astenersi dal lavoro: “Le compagne hanno lanciato un presidio la mattina alle 10.30 sotto la sede, a cui hanno preso parte anche le tassiste del 4242 con una ventina di macchine che si sono unite al presidio strombazzando e bloccando il traffico su via Dei Mille”.

Molto entusiasta anche la protesta delle lavoratrici e dei lavoratori della Sanità pubblica, come ci racconta Francesca dei Cobas Careggi: “La mattina abbiamo fatto presidi e volantinaggio ai consultori che ormai non esistono più perché fagocitati dai poliambulatori (come quello di via Reginaldo Giuliani assorbito dal poliambulatorio di via Morgagni). Abbiamo organizzato anche un presidio alla maternità di Careggi per rivendicare la piena applicazione della legge 194 e protestare contro l’obiezione di coscienza nel servizio sanitario pubblico. Poi ci siamo spostate all’assessorato della sanità in via Taddeo Alderotti per chiedere assunzioni per una migliore condizione di lavoro e di vita. Da qui abbiamo raggiunto piazza SS. Annunziata per unirci al corteo”. La giornata dell’8 marzo non è stata improvvisata, Francesca ci tiene a sottolineare il lavoro politico-sindacale di costruzione dello sciopero: “Ci siamo ritrovati nel mese di febbraio per costruire questa giornata ed ha funzionato per cui vogliamo continuare ad incontrarci tutti insieme: lavoratori di Careggi, USL centro e Mugello”.

Molte sono state le polemiche che hanno anticipato lo sciopero, riguardanti un presunto atteggiamento disincentivante messo in atto da parte di alcuni delegati sindacali che hanno cercato di scoraggiarlo, nonostante i sindacati di base avessero garantito una copertura generale. Purtroppo la stessa CGIL, al cui interno i malumori di coloro che avrebbero voluto che aderisse allo sciopero non sono certo mancati, ha preferito percorrere una strada ambigua, lasciando alle singole RSU la scelta di aderire o meno, oppure indicendo assemblee sindacali sui luoghi di lavoro. L’unico settore che ha aderito allo sciopero è stato quello della scuola (Federazione Lavoratori della Conoscenza).

L’ambiguità del più grande sindacato italiano non ha certo favorito la partecipazione alla protesta: nei giorni precedenti allo sciopero, una lavoratrice del Diritto allo Studio Universitario Toscana si è rivolta al nostro sportello, poiché, chiedendo informazioni sulle modalità di sciopero, si era sentita rispondere assurdamente dai propri rappresentanti sindacali che non avrebbe potuto aderire, perché le sigle che lo avevano indetto non erano presenti in quel posto di lavoro (sic!). Per fortuna, grazie all’intervento dell’USB, che ha mandato la comunicazione di sciopero all’azienda, la lavoratrice ha potuto esercitare il proprio diritto allo sciopero.

In piazza abbiamo raccolto poi la testimonianza di una lavoratrice della Galileo: diverse settimane prima dello sciopero aveva chiesto alle RSU se avrebbe potuto scioperare. Questa prima le avevano risposto in maniera generica e poi, a pochi giorni dallo sciopero, le era addirittura stato consigliato di non aderire, perché la Fiom non aveva e perché la questione messa in campo dallo sciopero non era sfera di interesse per un’industria metalmeccanica a maggioranza di uomini, mentre allo sciopero avrebbero potuto aderire solo le donne.

Completamente diverso quanto accaduto alla GKN, altra azienda metalmeccanica a poca distanza dalla Galileo: le RSU hanno aderito allo sciopero, erano in piazza e, pur avendo avuto poco tempo per prepararlo, hanno affisso volantini e materiali informativi in bacheca sindacale. Lo sciopero in GKN, dove i lavoratori sono tutti uomini, ha avuto una discreta adesione, soprattutto nei turni di notte.clash

Al di là delle contraddizioni sindacali delle basse percentuali di sciopero, in tanti, troppi settori, la giornata dell’otto marzo ha significato un bel segnale di protagonismo delle lavoratrici. Mentre i media borghesi piangevano lacrime di coccodrillo per i “disagi subiti da altre donne” – la scelta di indire lo sciopero ha comunicato con forza che non solo è possibile mettere in crisi un sistema che ci sfama e ci sfrutta, ma che è anche un dovere farlo, perché un sistema in grado di sfamare senza sfruttare è possibile e necessario!

*Clash City Workers

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