Il comitato No Tunnel TAV

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Il comitato No Tunnel Tav è nato nel 2006, ma il progetto cui si è opposto risale agli anni ’90, frutto di un lungo dibattito fra oppositori e sostenitori; all’interno dell’allora Partito Democratico di Sinistra si sono avuti scontri, non tanto per trovare la soluzione migliore al passaggio dei treni ad alta velocità (Tav) da Firenze – problema comunque frutto di un errato e funesto sistema di treni veloci –, quanto per averne i maggiori vantaggi economici e politici; vantaggi ovviamente tutti incentrati sul gruppo politico proponente e sulle aziende amiche che avrebbero vinto l’appalto. Infatti, l’ingegner Marco Ponti, che era stato chiamato imprudentemente a dare un parere tecnico sull’opera – che bocciò clamorosamente –, racconta che è stato adottato il progetto più impattante sulla città e l’ambiente, il più lento e problematico per i treni, il più costoso.

Tutto questo non è una anomalia fiorentina, ma il frutto conseguente e logico del sistema di quelle che oggi chiamiamo “grandi opere inutili e imposte” (GOII) e che sta devastando società, ambiente ed economia del, sempre meno, bel paese. Se ad una prima occhiata, questa fiorentina appare una scandalosa anomalia, oggi invece si palesa come uno dei tasselli di un sistema degenerato e corruttivo che ha colonizzato il sistema politico e imprenditoriale italiano e ha trovato la sua magnificazione nella famigerata Legge obiettivo, voluta nel 2001 da Berlusconi, dall’allora suo ministro Pietro Lunardi e dall’onnipotente e onnipresente dirigente ministeriale Ercole Incalza. Questa legge – la n. 443/2001 – altro non era che la sistemazione giuridica del cosiddetto “sistema Tav”.

Con “sistema Tav” non si intende solo il modello trasportistico adottato scimmiottando sciaguratamente quello francese, ma soprattutto ci si riferisce ai meccanismi economici e all’architettura contrattuale che hanno consentito quello che non esitiamo a definire il più grande sistema di furto di risorse collettive. Protagonista, il sistema delle grandi imprese nazionali – abituate da sempre a prosperare sotto l’ala protettiva dello stato – che ora si impadroniscono completamente delle leve di comando e, abdicando ad ogni loro possibile etica imprenditoriale, agiscono in base a un bestiale istinto di caccia al profitto che tecnicamente, da quel momento, si potrebbe definire rendita. Le accompagna una classe politica che appariva, già allora, sempre più scollegata dalla realtà civile; classe politica, non solo profondamente corrotta, ma anche priva di ogni progettualità sociale.

Una spolveratina di mafia nazionale ha spalleggiato sempre il sistema Tav che è poi diventato la regola nei lavori pubblici; alcuni sostengono che uno degli accordi stretti nella trattativa stato-mafia sia stata proprio la partecipazione della mafia stessa alle realizzazioni di lavori pubblici che proprio in quegli anni hanno ripreso vigore. Le coincidenze temporali sono inquietanti: le bombe mafiose degli omicidi di Falcone e Borsellino nel 1992 e agli Uffizi a Firenze nel maggio 1993, sono coincidenze temporali inquietanti se confrontate con l’avvio dei lavori Tav: l’appetitoso banchetto “Tav Spa” è stato imbandito il 19 luglio 1991 ed è valso, alla fine, circa 100 miliardi di euro[1].

La presenza di cosche, documentata in ogni cantiere di lavori pubblici, non deve però trarre in inganno: senza sottovalutare il significato di queste frequentazioni, resta il fatto che il sistema è stato e resta controllato dalla rete delle grandi imprese, che nel frattempo sono aumentate di numero e si sono sempre più finanziarizzate ricorrendo costantemente e in maniera massiccia a subappalti, e scaricando tutti i rischi di impresa sulle piccole e medie aziende, chiamate ad eseguire i lavori concreti. Le ricerche condotte da alcuni ricercatori sono in questo senso illuminanti[2].

Insomma, un certo capitalismo casalingo preferisce controllare il mercato delle GOII piuttosto che i mezzi di produzione. Il cambiamento avvenuto tra anni ‘80 e ‘90 ci pare particolarmente significativo e riteniamo si inserisca nella più complessiva crisi mondiale avviata negli anni ‘70 e mai arrivata a soluzione. Le GOII sono una delle risposte a questa crisi e hanno garantito profitti costanti ed elevati alle grandi imprese finanziarizzate.

Uno dei problemi più gravi è però che questi inutili lavori pubblici non creano ricchezza in nessun senso, perché quanto realizzato non risponde a nessuna richiesta sociale; i guadagni provengono interamente dallo sfruttamento intenso delle risorse pubbliche, dai soldi elargiti dagli stati, vale a dire dalle tasse pagate dai cittadini: si tratta cioè di economia parassitaria che crea debito pubblico senza crescita economica, un meccanismo che garantisce solo profitti (o meglio, rendita) all’oligarchia economica e finanziaria. Le magnifiche sorti e progressive di un capitalismo che crea ricchezza e la distribuisce a gocce all’intera società sono ben lontane, ammesso che tale fenomeno sia mai esistito. Siamo in una fase che ricorda, nei meccanismi economici parassitari, quella precapitalista di accumulazione di capitale, ma senza che all’orizzonte ci siano nuovi mercati da conquistare o produzioni da finanziare.

Il sistema Tav segna un punto di svolta nella storia italiana; oltre a quelle riportate in precedenza, segnaliamo alcune coincidenze temporali che danno un quadro d’insieme ai cambiamenti avvenuti in questo periodo. Nel 1993 si abbandona il sistema elettorale proporzionale e si introduce un sistema maggioritario adducendo la scusa che la principale esigenza dell’Italia sia la governabilità. In realtà si è trattato dell’inizio di riforme che hanno portato alla totale distonia fra elettorato e istituzioni, ad una sostanziale demolizione del principio della rappresentanza liberale favorendo sempre e solo interessi elitari.

Nello stesso periodo (a cavallo tra anni ‘80 e ‘90) ha inizio lo smantellamento del sistema di imprese controllate dallo stato che aveva favorito e guidato l’industrializzazione – l’Iri – nonché il ridimensionamento di un sistema produttivo che aveva elementi di spicco (ricordiamo solo l’esempio dell’Olivetti), svenduti in ossequio a ragioni geopolitiche pressanti.

Nei medesimi anni arriva al parossismo l’ubriacatura che vede nell’intervento del “privato” la soluzione di ogni problema. Quanto questa posizione sia ideologica è sotto gli occhi di tutti, ma è si è rivelata strumento fondamentale per introdurre, a tutti i livelli, il primato del privato. L’introduzione dell’urbanistica “contrattata” è andata in parallelo allo sviluppo delle Goii ed ha rappresentato, anche questa, un totale abbandono di ogni progettualità da parte del sistema politico che si limita ad applicare i desiderata dei grandi gruppi finanziari che lo controllano.

All’inizio degli anni ‘90 si situa – come abbiamo accennato – l’attacco delle mafie allo stato con la collaborazione di settori deviati dello stato stesso. La vicenda degli attentati che insanguinarono quel periodo terminò con quella che è stata definita “trattativa stato-mafia”. Allo stesso periodo, infine, risalgono la progettazione e l’avviamento dei cantieri dei treni ad alta velocità, e l’introduzione generalizzata del “modello Tav”: costi alle stelle, infiltrazioni mafiose in ogni cantiere, gestione svincolata da ogni controllo di progettazione e realizzazione delle infrastrutture.

Queste coincidenze temporali non sono casuali, e oggi, con maggiori elementi di giudizio nelle mani, possiamo dire che tutto rientra nel quadro di involuzione economica, politica e sociale italiana e globale.

Vale la pena ricordare anche come il modello Tav sia diventata la modalità più diffusa negli interventi pubblici degli ultimi due decenni. Il meccanismo, che garantisce al sistema politico-economico-mafioso altissimi profitti, è insieme semplice e, alla sua maniera, geniale: una società di diritto privato (es. Tav Spa) è incaricata di realizzare un’opera pubblica gestendo liberamente soldi pubblici, eliminando ogni controllo e garantendo il general contractor[3] da ogni rischio di impresa o di mercato. I contratti stipulati delegano ogni controllo al costruttore e l’ente pubblico si limita ad essere solo garante di ogni spesa. In questo sistema il confine con l’illegalità è molto labile: si è sentita perciò fin da subito la necessità di legiferare per istituzionalizzare l’imbroglio: ecco dunque, nel 2001, la Legge obiettivo di cui ultimamente anche la Magistratura ha sottolineato la natura criminogena.

Un capitolo a parte di questa triste vicenda lo merita l’istituto oggi più amato da politici e imprenditori del cemento: il project financing all’italiana, evoluzione subdola e ancora più perniciosa del general contractor. Ma non è questa la sede per approfondire.

Due sono i soggetti che in questo scorcio di secolo hanno subito i peggiori contraccolpi del sistema Goii senza apparire in grado di elaborare una critica, né tanto meno di costruire un’opposizione: le piccole e medie imprese, che vengono strangolate dai general contractor con il sistema dei subappalti; e i lavoratori, i cui sindacati confederali sono totalmente piegati agli interessi dei gruppi politici che li controllano dappresso. Entrambi i soggetti citati appaiono del tutto incoscienti della gravità della situazione[4], e anzi invocano ancora investimenti pubblici in grandi opere senza comprenderne il ruolo distruttivo in termini di ricchezza e posti di lavoro. Il miraggio keynesiano di un rilancio della crescita economica e del lavoro tramite le Goii è segno di un gravissimo malinteso ideologico e di una mancanza di analisi che lascia basiti.

Un sistema basato esclusivamente sul saccheggio delle risorse pubbliche ha avuto – ovviamente – ricadute pesantissime sull’ambiente; si è arrivati al paradosso che, per i signori del cemento, i danni ambientali diventano occasione di ulteriori guadagni! Delegando infatti al general contractor il controllo e la gestione di ogni aspetto dell’opera, perfino gli interventi supplementari di riparazione dei danni provocati diventano una “variante” in corso d’opera, fuori quindi dal contratto originario e fonte di ulteriori lavori senza alcun controllo. Non è un caso che le linee Tav italiane siano costate cinque o sei volte quelle francesi e spagnole.

Gli elementi di questa breve illustrazione del mondo delle Goii sono stati messi a fuoco grazie a un’elaborazione collettiva di analisi e di lettura dei fenomeni condotta assieme ad altri comitati con cui abbiamo condiviso gli obbiettivi della lotta; crediamo che questo sia un importante contributo per inserire ogni singolo fenomeno locale in una dimensione più ampia, fino alla scala della crisi economica e ambientale globale. Gli sforzi di tanti gruppi locali, chiamati genericamente “comitati”, rappresentano l’apporto più significativo per iniziare a individuare vie d’uscita dal vicolo cieco in cui ci ritroviamo. Resta desolante l’arretratezza del mondo politico, non solo dei principali partiti, ma anche di quelli che vorrebbero rappresentare radicali alternative, che invece sostengono, al più, una gestione di contenimento di una realtà assolutamente insostenibile.

Il “Passante Alta Velocità” di Firenze è solo un frammento di questo delirio che sta sfasciando economicamente, socialmente ed ecologicamente il bel paese. Gli aspetti nefasti fin qui menzionati si ritrovano, tutti, nel progetto fiorentino, come ha ben illustrato Alberto Ziparo[5].

L’impegno del comitato No Tunnel Tav è stato, fin dal suo inizio, quello di informare una cittadinanza totalmente ignara, anzi, volutamente lasciata priva di informazioni; un sondaggio condotto nel 2010 registrava che meno del 30% dei fiorentini erano a conoscenza del progetto, spesso confuso con quello della tramvia. Il comitato ha indetto ripetute assemblee cittadine in case del popolo e sale parrocchiali, soprattutto nei quartieri più interessati dal passaggio dei tunnel. Contemporaneamente ha fatto ripetuti volantinaggi, presidi informativi, convegni. L’attività di analisi del progetto e la sua divulgazione sono stati un impegno costante per tutti questi anni[6].

In un primo momento l’enormità del progetto e dei suoi pericoli hanno lasciato perplessa un’opinione pubblica sonnolenta e, al massimo, mugugnante. Lentamente la percezione della dimensione del progetto e dei problemi che avrebbe comportato, è cominciata a entrare nella coscienza di una minoranza informata.

È stata tentata anche la via della manifestazioni; la più partecipata è stata quella del novembre 2009 ed ha visto la partecipazione di circa duemila persone. Tuttavia, vista la dimensione e i rischi che questo progetto si porta in seno, il numero non può considerarsi soddisfacente.

Un enorme ostacolo incontrato dal comitato è l’omertà dei media; il diktat proveniente dai sostenitori del progetto è il silenzio sul tema Tav fiorentino. Nel Pd vigeva la regola secondo cui, fuori dalle sedi di partito o da quelle istituzionali, del Passante non si poteva parlare. Il muro di silenzio ha cominciato a cedere quando si sono presentate le prime criticità già denunciate all’opinione pubblica; in particolare dopo il gennaio 2013, quando è stata resa nota l’inchiesta avviata dalla Procura fiorentina che ha visto indagate oltre trenta persone, alcune delle quali finite agli arresti: nomi eccellenti di politici (ad esempio, l’ex presidente della Regione Umbria, Mariarita Lorenzetti), alti dirigenti ministeriali distribuiti nelle strutture che avrebbero dovuto garantire qualche forma di controllo, dirigenti delle imprese costruttrici.

Il quadro che ne usciva era indegno di un paese normale; la stupidità di un progetto faraonico e insieme totalmente inutile ormai emergeva senza possibilità di smentite. Qualche pagina di giornale è stata finalmente dedicata a chi denunciava da anni questa situazione.

In seguito, una nuova inchiesta, partita ancora dalla Procura di Firenze nel marzo 2015, ha fatto luce finalmente sul verminaio del sistema delle Goii. Questa nuova iniziativa giudiziaria è particolarmente importante poiché conferma quanto denunciato da anni dai gruppi che si oppongono alle grandi opere: malaffare e corruzione emersi, non sono frutto di singole “mele marce” come si è affannato a dichiarare anche il presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi con il coro unanime dei politici del Pd e dei partiti di destra, bensì un sistema criminale organizzato e diffuso ad ogni livello istituzionale. I pochi dirigenti pubblici che hanno osato fare il loro dovere hanno subito pesanti pressioni, rimozione dai loro incarichi, campagne di delegittimazione. Ne è stato esempio l’architetto Fabio Zita, dirigente del settore Via della Regione Toscana, rimosso dal presidente della regione Enrico Rossi, dietro pressioni di imprese, Ferrovie dello Stato, strutture ministeriali (e, in particolare, della citata Lorenzetti); la colpa di Zita consisteva nell’aver dato pareri negativi in alcuni procedimenti di Via sul Passante Tav[7].

Fin dalla sua nascita, il comitato ha cercato di aprire un confronto con le istituzioni locali, con le Ferrovie e con lo stesso Osservatorio ambientale: sono stati richiesti incontri, audizioni, insomma si è tentato di aprire un dibattito democratico su un tema così importante per la città. Un muro di gomma ha accolto le nostre analisi e contestazioni; nelle rare occasioni in cui si è arrivati a un’audizione, la risposta da parte delle istituzioni si è ridotta, sempre, a un vergognoso silenzio.

È stata tentata anche la via legale, instaurando un giudizio civile davanti al tribunale di Firenze. La causa riguardava centocinquanta famiglie che chiedevano la sospensione dei lavori «per danno temuto da nuova opera»: non si è arrivati ad alcuna sentenza perché il tribunale civile ha stabilito che la materia ricade nella competenza del giudice amministrativo. Il dato positivo è però che i motivi dei ricorrenti sono stati giudicati tutt’altro che infondati. La necessità di fornire analisi meticolose e precise a fondamento della causa, ossia sugli ipotizzabili danni derivanti dagli scavi, ha indotto comitati e famiglie a intraprendere un approfondimento scientifico dettagliato, portando alla luce aspetti deliberatamente lasciati nell’ombra: il problema delle terre di scavo che diventano rifiuto speciale a causa degli additivi chimici usati dalla fresa durante le operazioni di scavo; il rischio, del tutto sottostimato, di danni al patrimonio edilizio e artistico; l’impatto sulla falda acquifera e l’“effetto diga” delle opere in progetto, sostanzialmente irrisolti. Alla denuncia di queste criticità non è mai stata data una risposta.

La lotta contro il progetto Tav fiorentino ha avuto diversi aspetti positivi; uno di questi è stato l’incontro e la collaborazione tra cittadini, mondo dei tecnici e università. Il processo di critica e studio del progetto ha coinvolto tutti questi soggetti, che vi si sono dedicati – ognuno con le proprie competenze – giungendo ad una significativa elaborazione collettiva. Forse il risultato politicamente più rilevante è stata la proposta di uno scenario alternativo per i trasporti pubblici nell’area metropolitana; dalla presa d’atto che i famigerati «binari necessari per i treni Av» (cosa peraltro tutta da dimostrare) si possono realizzare in superficie, è nata anche la consapevolezza delle potenzialità del nodo ferroviario fiorentino. Il nodo di Firenze si dimostra capace di sostenere la realizzazione di linee principali per un trasporto su rotaia da Pontassieve fino a Prato e Pistoia, Signa ed Empoli, collegando in tal modo i centri più importanti della Piana che attualmente soffrono di gravissime carenze nel settore dei trasporti. Si è verificato che esiste la possibilità di unire Campi Bisenzio, Sesto, Lastra a Signa, Prato, Signa ecc., non solo con i capoluoghi, ma soprattutto tra loro, creando una rete di trasporto pubblico veloce ed economico col quale nessun mezzo privato su gomma potrebbe competere.

Ovviamente questo scenario è stato completamente ignorato da tutte le istituzioni locali, ma rimane un’esperienza molto importante che ha dimostrato come i cittadini, la società nel suo complesso, sono capaci di una progettazione efficace e rispondente alle esigenze del territorio; è una esperienza realmente “democratica”, dove le proposte sono nate spontanee senza la necessità della mediazione partitica, che invece si è dimostrata di ostacolo e avversaria.

Tra gli obiettivi del comitato è la collaborazione politica con altri gruppi impegnati nella lotta contro le Goii. Questa collaborazione si è manifestata in diversi tentativi di “rete”: dal “Patto di Mutuo Soccorso” al “Forum contro le Grandi Opere Inutili e Imposte”[8]. Il Forum riunisce, a macchia di leopardo, comitati sparsi in tutta Europa e nel Nord Africa. La constatazione che i problemi italiani sono molto simili a quelli di altri paesi europei, ma anche a quelli di paesi che hanno vissuto e continuano a subire politiche coloniali, è stata assai utile per comprendere le ragioni e gli effetti del decadimento economico, politico e culturale che ci affligge.

In particolare, la collaborazione con i comitati della città tedesca di Stoccarda – vessata da analoghe operazioni di scavo per un passante ferroviario in ambito urbano – ha portato alla condivisione di un fronte di riflessione tematica più ampio, come quello di critica al modello trasportistico adottato dall’Unione Europea, nonché alla compartecipazione alla campagna di solidarietà con il popolo greco strangolato da ottuse e criminali politiche di austerità.

*Tiziano Cardosi

[Il testo è apparso nel libro Urbanistica resistente nella Firenze neoliberista: perUnaltracittà 2004-2014, a cura di Ilaria Agostini, Aión, Firenze, 2016, pp. 113-123; del libro, abbiamo già pubblicato i capitoli: Un’altra idea di città, della curatrice; Firenze 2004-2014. Un caso nazionale, di Paolo Berdini; Dal Palazzo al città, e ritorno, di Ornella de Zordo; L’urbanistica in consiglio comunale, di Maurizio Da Re; Comunicare il pensiero critico, di Cristiano Lucchi; Piani neoliberisti, di Ilaria Agostini; La città in svendita, di Maurizio de Zordo; La città storica, di Daniele Vannetiello; Il sottoattraversamento TAV nel modello insostenibile di mobilità fiorentina, di Alberto Ziparo; Castello e la piana, di Antonio Fiorentino]

Note al testo

[1] Cfr. Ivan Cicconi, Il libro nero dell’alta velocità, ovvero il futuro di tangentopoli diventato storia, Koinè, Roma, 2011.

[2] Cfr. ad esempio Rocco Sciarrone (a cura di), Alleanze nell’ombra. Mafie ed economie locali in Sicilia e nel Mezzogiorno, Donzelli, Roma, 2011; ancora a cura di Sciarrone, Mafie del Nord. Strategie criminali e contesti locali, Donzelli, Roma, 2014.

[3] Così Cicconi definisce il contraente generale, o general contractor: «Nelle direttive i contratti tipizzati sono il contratto di “appalto” e quello di “concessione”. Della concessione è data una definizione inequivocabile: “La concessione di lavori pubblici è un contratto che presenta le stesse caratteristiche dell’appalto a eccezione del fatto che la controprestazione dei lavori consiste unicamente nel diritto di gestire l’opera o in tale diritto accompagnato da un prezzo”. La differenza fondamentale con il contratto di appalto è data dalla “controprestazione” offerta al contraente. Nell’appalto è un “prezzo”, mentre nella “concessione” consiste “nel diritto di gestire l’opera”. La definizione del contraente generale ci propone invece un soggetto per il quale l’oggetto del contratto è quello della concessione mentre il corrispettivo è esattamente quello dell’appalto. La stessa definizione era già stata sperimentata negli anni ’80 e, a fronte dei fallimenti registrati, indusse il Parlamento ad intervenire con la sua cancellazione, considerando proprio questa come uno dei pilastri fondamentali di tangentopoli. Le funzioni affidate dalla legge obiettivo al contraente generale sono esattamente quelle che il legislatore definì nel 1987 con la legge n. 80 (Norme straordinarie per l’accelerazione dell’esecuzione di opere pubbliche)», Ivan Cicconi, È ora di abolire la Legge Obiettivo, “il Fatto Quotidiano”, 2 aprile 2015.

[4] Fanno eccezione i sindacati di base, tuttavia marginalizzati, e qualche raro episodio che fa luce – dall’interno – sul sistema corruttivo delle grandi opere: ci si riferisce, ad esempio, alle dichiarazioni rilasciate da Giulio Burchi (dirigente in varie società autostradali) e Donato Carlea (già provveditore interregionale alle opere pubbliche) ai microfoni della trasmissione televisiva “Report” nella puntata del 3 maggio 2015 significativamente intitolata Le fatiche di Ercole (http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-3abf692b-499f-449c-9d2d-ef1492b3ea62.html).

[5] Cfr.Il sottoattraversamento TAV nel modello insostenibile di mobilità fiorentina, di Alberto ZiparoDa notare che la liquidazione coatta di Coopsette, società aggiudicataria, dovrebbe rimettere in discussione le procedure fin qui adottate per il passante fiorentino.

[6] Si citano a titolo d’esempio: l’incontro Dal modello Tav al cemento fiorentino. Un percorso nel disastro economico, finanziario, ambientale degli ultimi 15 anni, con Ivan Cicconi e Giorgio Pizziolo, presso il Plesso didattico universitario di viale Morgagni, 19 dicembre 2008; il convegno internazionale Le «grandi opere inutili» e la progettazione alternativa del territorio, Firenze, 3 e 4 marzo 2012, presso il Dlf-Dopolavoro ferroviario, che ha visto la partecipazione del movimento No Tav della Valsusa, del Friuli e del Veneto, di comitati, coordinamenti e portavoce di campagne antiliberiste – S21 Stuttgart, Piana Fi-Po, Stop that Train, Autostrada A11, No Pedemontana, Cispadana, Tirrenica, “ferma la banca che distrugge il territorio”, BreBeMi, NoTangEst (To), No Mose, 3e32 (L’Aquila) e Ampugnano (Si) – e dei lavoratori della Breda; il convegno Il Tunnel Tav di Firenze e le Grandi Opere Inutili nella crisi economica globale, organizzato dal comitato No Tunnel Tav e dalla lista di cittadinanza Puc (Palazzo Vecchio, 22 maggio 2012), cui oltre ad Alberto Asor Rosa hanno partecipato: Winfried Wolf (coordinatore di Bündnis Bahn für Alle), Alberto Ziparo; Heiner Monheim; Giorgio Pizziolo. Nel convegno Il Passante Av di Firenze. Da un progetto insostenibile ad un modello innovativo (Firenze, 22 marzo 2014, sala delle Leopoldine) è stato tentato il coinvolgimento di ordini professionali, rappresentanti di lavoratori, imprenditori, piccole e medie imprese, per valutare l’impatto negativo delle grandi opere. Infine, il convegno Dalle Grandi Opere Inutili alla Pianificazione di una Mobilità Sostenibile (Firenze, 7 marzo 2015, sala di Sant’Apollonia), copromosso con – tra gli altri – i comitati critici dei progetti di tranvie e aeroporti, ha evidenziato come una progettazione “dal basso” dei trasporti sia possibile ed efficace.

[7] Sul «“golpe” al settore Via», cfr. il comunicato firmato da undici associazioni e comitati: Italia Nostra, comitato No Tunnel Tav di Firenze, Cittadini area fiorentina/Comitati dei cittadini-Firenze, Ipc-Insieme per cambiare Riparbella (PI), Coordinamento territoriale No Sat, Gruppo imprenditori dell’agriturismo Alta Maremma e della Val di Cornia, comitato Ariacheta (San Godenzo, FI), Rrc-Rete della resistenza sui crinali dell’Alto Appennino, comitato Albegna Viva (GR), comitato nazionale contro il Fotovoltaico e l’eolico nelle Aree Verdi, Coordinamento dei comitati e associazioni ambientaliste della provincia di Grosseto.

[8] Il Forum contro le Grandi Opere Inutili Imposte è una «piattaforma internazionale di collaborazione e di scambio di informazioni» tra movimenti popolari che si oppongono a grandi progetti di Goii. Nato per iniziativa del movimento No Tav, organizza annualmente riunioni di livello europeo e globale (nel 2011 in Val di Susa, nel 2012 a Notre-Dame-des-Landes, a Stoccarda nel 2013, a Roșia Montană in Romania nel 2014, a Bagnaria Arsa in Friuli nel 2015), partecipa al World Social Forum di Tunisi nel 2013 e 2015.

 

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Tiziano Cardosi

Obiettore di coscienza negli anni ‘70, attivista contro le guerre, già capostazione delle FS, oggi si occupa soprattutto di mobilità e del fenomeno delle “grandi opere inutili”, tra I fondatori del comitato No Tunnel TAV di Firenze. Attivista di perUnaltracittà.

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