Tra le diverse critiche che hanno arricchito senza esito la discussione pubblica sul Piano strutturale vigente ha preso corpo, da parte del gruppo urbanistico perUnaltracittà, la denuncia dell’assenza, nel piano, di un’analisi della struttura morfologica urbana. Analisi decisiva per dare forma e misura a un’idea di città che sola può fondare il progetto di assetto fisico sul quale modellare gli obiettivi economici e sociali. La risposta, del tutto evasiva, rinviava l’argomento al Regolamento urbanistico incurante del fatto che la sua natura attuativa lo rende incapace di supplire a questa vistosa carenza strategica del Ps.
L’indifferenza degli amministratori e degli urbanisti incaricati del piano nei confronti dell’organizzazione fisica della città si è rivelata non tanto legata a contingente endemica ignoranza, ma piuttosto organica all’attuale pratica di pianificazione. La deriva politica e amministrativa ha superato anche la fase di “contrattabilità” di ogni scelta urbanistica per affidarsi interamente a soggetti privati nella veste non contrattabile di investitori.
Ad amministratori che hanno abdicato al loro compito e tradito il dovere di tutelare l’interesse pubblico di un bene così importante come il territorio della città, non occorre una visione chiara e argomentata della struttura spaziale ereditata dal passato e tanto meno un progetto che persegua la coerenza formale e che sia termine dialettico per trasparenti obiettivi di trasformazione. Anzi, a tal punto è arrivata l’abbiezione ideologica liberista che l’assessore all’urbanistica, ha dichiarato candidamente ma ufficialmente la propria impossibilità di decidere destinazioni d’uso e obbiettivi di Piano senza consultare l’oracolo del dio Mercato e che, anche in presenza di previsioni controverse come i parcheggi sotterranei nel centro storico, la «decisione è politica», cioè decide la proprietà immobiliare.
Si è soliti far risalire alla Legge urbanistica del 1942 la definitiva separazione della pianificazione dal progetto, rompendo quel nesso tra disegno della città e architettura, ancora presente nei piani regolatori di ampliamento delle città fino agli anni Quaranta.
La pratica amministrativa ha perseguito come principio di razionalità il “metodo” della parcellizzazione dei problemi fondato sulla separazione degli interventi puntuali (ad esempio, aree o edifici dismessi) dalle indicazioni generali sulla città. Un metodo che rende indeterminati i primi con una girandola di destinazioni d’uso possibili per ogni edificio e che svuota le seconde, per la rinuncia a momenti strategici su cui costruire il modello. Lo sbocco ultimo di questo modo di procedere è ben rappresentato da un piano di pura compilazione, ricco di informazioni inutilizzabili, rigorosamente senza progetto, più generico possibile, espressione, come è stato detto, della nuova «urbanistica à la carte»[1].
Il gruppo urbanistica Puc ha sostenuto e contrapposto in differenti istanze pubbliche la necessità, nel piano urbanistico, di un’altra pratica teorica e della sua traduzione operativa.
Da venti anni la Legge regionale toscana n. 5/95 (Norme per il governo del territorio), uscita da una lunga riflessione sulla riforma urbanistica nazionale, ha inaugurato il “nuovo paradigma” urbanistico, ripreso nelle successive edizioni, fondato sul binomio sviluppo/tutela del suolo e delle risorse territoriali, e su alcune parole chiave potenzialmente operative, capaci di contenuti innovativi. Le più interessanti stanno in due proposizioni, contenute nei Principi generali, riprese nei contenuti dello Statuto del territorio[2].
La prima è «sistema» di città, degli insediamenti, dei servizi pubblici, ma anche infrastrutturale e tecnologico. L’altra è «invariante strutturale», entrambe desunte dal linguaggio scientifico. Nell’uso corrente, come nei documenti urbanistici fiorentini, è invalso l’uso della parola sistema in luogo di rete o per ogni tipo di insieme, per dare suggestione di contenuti inesistenti sia nello straripante corredo grafico, sia nel linguaggio della Relazione al piano altrimenti riducibile a poco più del suo indice[3].
In fisica un sistema è un insieme di corpi soggetti a interazioni interne e/o esterne con altri sistemi, regolate da leggi generali. A queste leggi fa riferimento l’ultima edizione della Lr toscana (n. 65/2014). Leggi che devono essere “scoperte” in un territorio urbano o rurale attraverso lo studio storico-morfologico e interpretate attraverso il progetto.
Qualche riferimento di contenuto e di metodo
Nell’analisi di un territorio urbano di cui si siano definiti i limiti fisici, si deve innanzitutto individuare il complesso di relazioni che determinano la natura dei luoghi. Quando queste relazioni si mantengono costanti e si ripetono in modo simile per uno o più intervalli nello spazio, si accede alla nozione di sistema. I corpi appartenenti ad esso, soggetti ad interazioni interne ed esterne sono i segni fisici, naturali e antropici, letti attraverso i processi storici che li hanno generati e modificati[4]. La ricerca delle relazioni (le leggi generali) che determinano la natura dei luoghi muove dal confronto tra le proprietà del piano di appoggio, che è la condizione “naturale”, con l’incidenza delle tracce fisiche e dei segni che assumiamo come testimonianza delle posizioni “culturali” storicamente stratificate. Si determinano così gli “assetti storico-morfologici”. I nessi che legano, senza soluzione di continuità, l’architettura a un determinato sito hanno carattere di irripetibilità. La configurazione spaziale che risponde a quei nessi rende i luoghi immediatamente riconoscibili, una condizione che sta all’origine della qualità urbana.
Le regole che individuano una configurazione, le modalità di trasformazione dello spazio nello sviluppo temporale che, pur nella continua rielaborazione di forme e di significati, vengono riconfermate, costituiscono la parte dinamica delle invarianti strutturali. Il termine invariante può assumere allora due accezioni e due scopi: quello assimilabile al vincolo, ai fini di tutela e conservazione; e quello di regola di formazione e di trasformazione degli insediamenti che rimanda al “principio di città” da tenere come guida per ripensare la forma metropolitana della città contemporanea.
Viene da chiedersi quale scarto qualitativo ci sarebbe stato nella discussione pubblica basata su questi assunti nel percorso partecipativo promosso dal sindaco Renzi. Lanciando le consultazioni popolari in «100 piazze» e in «100 luoghi» della città[5], senza definire i parametri formativi di quei luoghi, si è finito inevitabilmente a parlare di giardinetti e di arredo urbano. Uno stile illusionistico che tutta la Nazione ha ormai dovuto conoscere bene.
A Firenze, tra le principali configurazioni dello spazio fisico, l’orditura dell’agro centuriato romano è la più estesa, in quanto interviene sia nell’intelaiatura della valle oggi occupata da formazioni periferiche, sia nella costruzione della città antica. Fin dall’antichità in essa si sono sedimentati manufatti quali strade, canali e fossi, tabernacoli, case, e in seguito rustici, viali, giardini, ville. Le maggiori si collocano in corrispondenza dei cardi miliari che, tesi tra una collina a quella opposta, attraversano il fiume Arno dove si attestavano gli approdi.
Sembra verosimile che l’asse di simmetria più antico della centuriazione, o asse di quiete, sia stato quello esterno al castrum, teso tra Fiesole (il sito del Duomo), il porto fluviale e lo sperone collinare del Belvedere, rappresentato in città da borgo Pinti, via Palmieri, via de’ Rustici. Quando la città si estende includendo le aree suburbane, prevale l’asse urbano che lungo l’antico corso del torrente Mugnone determinerà la porta a San Gallo a nord-nord-est e la porta Romana a sud-sud-ovest. Su questo asse si attesteranno tutti i principali eventi architettonici pubblici della città. Quando il segno teorico non coincide con il dato naturale o con i segni ereditati dal passato, nasce una tensione essenziale in cui prende corpo l’immagine dello spazio urbano.
Dunque è la configurazione e le sue dissonanze a dare determinazione all’architettura e non viceversa, ed è lo spazio vuoto a mettere in giuoco le relazioni tra gli oggetti architettonici, che sono il fondamento della qualità urbana, sogno impossibile della città pianificata per via di “sommatorie” e di “spinte di mercato”[6].
La ripetizione di moduli strutturanti la città e la campagna dà luogo ad una organizzazione del territorio della città di carattere sistemico. Se leggiamo lo svolgersi del complesso urbano secondo due sezioni ortogonali, nord-sud e est-ovest (sulla carta: alto-basso e destra-sinistra), incontriamo nella prima sezione una sequenzialità e reciprocità non gerarchica tra i suoi componenti. Mentre nella seconda i tessuti urbani o i singoli oggetti mostrano una gradualità tipologica e dimensionale gerarchica dal centro verso la periferia. Possiamo allora rilevare che le orditure nord-sud istituiscono relazioni fra sistemi (non gerarchiche), mentre quelle est-ovest sono relazioni fra insiemi di tessuti che da un impianto centrale tendono al diradarsi periferico.
Il cardine Careggi-Torregalli e il torrente Terzolle
Da queste note prende avvio l’idea progettuale per la periferia ovest.
Il torrente Terzolle, che ha preso il nome dal cardo centuriale del terzo miglio, con le fasce di suolo adiacenti alle due sponde, può essere il segno sul quale riannodare la continuità frammentata di uno spazio virtualmente centrale alla scala metropolitana. Esso lambisce il giardino della villa di Careggi posta sulla collina settentrionale e l’omonimo ospedale, il maggiore della Toscana, il borgo di Rifredi con la vicina stazione ferroviaria nazionale e locale, l’antico convento di San Donato poi inglobato nella villa Demidoff di cui rimane poco più del mito di un giardino di rara bellezza. Proseguendo lungo l’alveo primitivo troviamo la Manifattura Tabacchi, archeologia industriale di prim’ordine, e all’antica confluenza in Arno, la Fattoria granducale delle Cascine. Al di là del fiume l’asse centuriale attraversa la piazza dell’Isolotto, tocca la fabbrica Campolmi e, di fronte, il parco pubblico di villa Vogel, poi l’ex caserma “Lupi di Toscana” e il nuovo complesso ospedaliero di Torregalli, prima di percorrere un tratto del torrente Greve e attestarsi alla torre (scomparsa) del castello di Scandicci alto.
Le relazioni tra i luoghi, i paesaggi naturali e i grandi edifici da recuperare non sono riducibili ai tracciati viari perché indicano concatenazioni potenziali di luoghi e di spazi che si devono riattivare. La linea tranviaria di collegamento dei due ospedali, indicata nel Ps come linea 5 e che nelle nostre osservazioni era indicata invece come seconda linea in ordine di importanza, sarebbe un forte supporto a questa nuova scala della città[7].
Le ex Officine ferroviarie di Porta a Prato
Il tema urbanistico è fisicamente connesso al precedente e necessario. Nella vasta area ferroviaria dismessa delle ex Officine Grandi Riparazioni (Ogr), già stazione granducale Leopolda, è stata mantenuta la coppia di binari per Empoli-Pisa che, su rilevato, fiancheggiano l’argine del fosso Macinante. Entrambe queste linee, quella d’acqua e quella del ferro, sono state a servizio della Manifattura Tabacchi e potrebbero tornare a servirla in un nuovo ciclo di riutilizzazione di queste risorse incluso il parco delle Cascine.
In una parte dell’area delle ex Officine è stato costruito il nuovo Teatro dell’Opera. Il terreno su cui sorge il teatro, del valore stimato di 14 milioni, è stato barattato dal Comune di Firenze con il piano attuativo (oggi approvato) che prevede, tra demolizioni e ricostruzioni e trasferimenti di volumi dall’area ferroviaria di Campo di Marte (12.000 mq della famigerata perequazione), nientemeno che 54.000 mq di superficie costruibile. I futuri blocchi edilizi, se costruiti su tre piani, coprirebbero 18.000 mq, quasi due ettari di edifici per 10-12 m di altezza, affacciati sul parco delle Cascine, collegati all’aeroporto di Peretola da una nuova strada veloce (la “strada delle limousine”). Dieci ettari di asfalto che copriranno l’argine dello storico canale Macinante, riducendolo a fosso di scolo, per poi probabilmente essere tombato. Non è un caso che il Macinante, in origine ramo settentrionale dell’Arno (Bisarno, poi Visarno), non sia stato nemmeno censito dal Ps tra i corpi idrici della città. La posizione strategica delle ex Officine rispetto alle attrezzature, ai collegamenti e alle dotazioni cittadine del lusso – teatro dell’Opera, tennis club, hotel a cinque stelle, negozi di grandi firme ecc. – fa di questa operazione una speciale occasione immobiliare per l’alta finanza nazionale e internazionale. Peccato che come sempre e ovunque, le condizioni di appetibilità finanziaria comportino la distruzione o la sottrazione e in questo caso direi il “furto” di assetti urbani alternativi di straordinario interesse estetico, funzionale e sociale per la città intera, di grande respiro pubblico e democratico. E con la complicità che i grandi furti richiedono, riescono a tenere tutti questi preliminari quasi invisibili.
In un articolo di commento al Ru nella rivista “La Città invisibile” sono state tratteggiate le linee di un progetto alternativo che qui riassumo[8]. Sempre di più il parco delle Cascine è luogo del tempo libero all’aperto di un numero crescente di visitatori in relazione a migliori standards di vita conquistati. Occorre dunque liberarlo da mercati, giostre e da ogni altra manifestazione affetta da gigantismo, per restituirgli in pieno le qualità naturalistiche e di paesaggio per le quali viene quotidianamente frequentato. Le funzioni temporanee da spostare troverebbero uno spazio ideale nell’area delle ex Officine praticando demolizioni mirate e trasformando pochi capannoni in aree porticate, restaurando i due fabbricati più antichi, con colonnati in ghisa e carpenteria metallica, da adibire magari a funzioni speciali.
La linea ferroviaria, trasformata in tranvia, potrebbe riprendere un vecchio tracciato che la collegherebbe alla linea per Santa Maria Novella, quindi al metrotreno, quindi all’aeroporto[9], in alternativa alla “strada delle limousine” lungo il Macinante, da cancellare. Il canale, che al Barco assume aspetti vaghi e pittoreschi, ripulito e aggiustato il regime idraulico, può ospitare un lungocanale da passeggio collegabile all’itinerario del parco dei laghi delle Signe, mentre nel tratto viale Rosselli-stazione delle Cascine esso assommerebbe la funzione di soglia e di tramite, al di sotto del rilevato ferrotramviario, tra le Cascine e i quartieri di San Jacopino e di via Baracca, tanto prossimi quanto privi di qualsiasi relazione col Parco. Va da sé che il previsto abbassamento del piano del ferro inutilmente dispendioso, è un irragionevole, demenziale impedimento a questo contatto che fa il paio con la nuova strada.
Con le funzioni pubbliche e popolari che possono collocarsi alle ex Officine, quelle in essere alla Leopolda e il nuovo Teatro Comunale, la sistemazione del lungocanale comincia a prender forma quell’insieme di relazioni con il sistema del Terzolle-Scandicci, imperniato sulla Manifattura Tabacchi che, con le sue grandi potenzialità, si troverebbe a cerniera dei due sistemi.
Queste linee di progetto sono state presentate dal sottoscritto a nome del gruppo Puc in un convegno organizzato dalla Cgil-Lavoratori dello spettacolo, sulla creazione di un distretto di arti performative e ricreative, il 21 novembre 2014, durante il periodo di controdeduzioni alle osservazioni al Ru, proprio nell’aula magna della facoltà di Agraria nella Fattoria delle Cascine. L’assessore Meucci chiese di anticipare il proprio intervento, ci raccontò dei miracoli della “perequazione”, dei 54.000 mq strategicamente scaricati dal Ru nell’area ex Officine e se ne andò ad officiare cose più importanti. Tra gli organizzatori invece, qualcuno rilevò certi pregi funzionali della nostra ipotesi e la suggestione del quadro generale. Ebbi l’occasione di sottolineare il vantaggio di rispettare la bellezza di quelle risorse pubbliche ereditate e la possibilità, insieme al dovere, d’incrementarle a beneficio della comunità invece di ridurle a un meschino prodotto da mercato del lusso in una miserabile, odiosa catena di speculazioni. Convenimmo nella difficoltà di avere ascolto.
La villa Pitti a Rusciano
Nel marzo 2012, la giunta guidata da Renzi pubblica un elenco di tredici immobili da mettere in vendita con annessa variante al Prg, per far cassa, mentre spende alcuni milioni per ripavimentare ex novo due note strade del centro. In un comunicato stampa dell’aprile 2012 abbiamo espresso tutta la contrarietà a questa vendita all’ingrosso di tanto patrimonio pubblico, che coinvolge anche la villa di Rusciano. Riporto qui i contenuti della scheda urbanistica preparata per l’occasione[10]. L’arco collinare posto a semicorona sud della città ha il caposaldo ovest biforcato nei promontori di villa Strozzi e di Monteoliveto, l’apice a Santa Margherita a Montìci sul crinale pianeggiante che scende incurvandosi verso il pian di Ripoli dove si conclude, dopo avere intercettato il tracciato della Cassia nova, nel promontorio su cui poggia la villa Pitti di Rusciano, attribuita da Vasari a Brunelleschi.
La villa appartiene al sistema agrario della collina più prossima alla città della quale contiene tracce di elementi protourbani quali la Costa San Giorgio, il Forte di Belvedere e San Miniato, ed è immagine riflessa del nuovo ordine che si andava costruendo nella città avviata alla “rinascita”. Esso contiene articolati itinerari di paesaggio agrario, di cultura storica e scientifica, che si incardinano in luoghi ed edifici pubblici di prima grandezza. Partendo da ovest abbiamo villa Strozzi (sede universitaria) con la Limonaia; la chiesa michelozziana del monastero di Monte Oliveto, l’ex convento di San Gaggio, l’Istituto del Poggio Imperiale, l’Osservatorio astrofisico di Arcetri con la villa il Gioiello (di Galileo) oggi museo scientifico universitario; il complesso (privato) della torre del Gallo e della Gallina (dove si conserva un prezioso affresco del Pollaiolo), da cui si dipartono i due controcrinali del Belvedere e di San Miniato. Prosegue nel Pian de’ Giullari (Fondazione museo G. Spadolini) il quale, oltrepassata Santa Margherita a Montìci, scende a Rusciano con la villa comunale pervenuta al patrimonio pubblico con vincolo di destinazione sociale.
Ciò che gli Amministratori non riescono a capire è che la collina fiorentina è integralmente parte della città storica, così come il golfo e il Vesuvio sono parte della città di Napoli, e che vendere anche uno di questi luoghi, significa privarsi di una risorsa, di una potenzialità (si pensi all’Istituto europeo nella Badia Fiesolana). Significa anche un’amputazione di quel circuito fisico (parco collinare) e immateriale (cultura scientifica, paesaggio ecc.) capace di rigenerare e rappresentare le forze intellettuali ed economiche della comunità cittadina, che evidentemente per gli Amministratori non è più un referente sociale.
*Roberto Budini Gattai
[Il testo è apparso nel libro Urbanistica resistente nella Firenze neoliberista: perUnaltracittà 2004-2014, a cura di Ilaria Agostini, Aión, Firenze, 2016, pp. 125-133; del libro, abbiamo già pubblicato i capitoli: Un’altra idea di città, della curatrice; Firenze 2004-2014. Un caso nazionale, di Paolo Berdini; Dal Palazzo al città, e ritorno, di Ornella de Zordo; L’urbanistica in consiglio comunale, di Maurizio Da Re; Comunicare il pensiero critico, di Cristiano Lucchi; Piani neoliberisti, di Ilaria Agostini; La città in svendita, di Maurizio de Zordo; La città storica, di Daniele Vannetiello; Il sottoattraversamento TAV nel modello insostenibile di mobilità fiorentina, di Alberto Ziparo; Castello e la piana, di Antonio Fiorentino; Il comitato No Tunnel TAV, di Tiziano Cardosi]
Note al testo
[1] Paolo Baldeschi, La Manifattura Tabacchi, prima delle «Florence’s opportunities», “eddyburg”, 17 dicembre 2014.
[2] Rispettivamente art. 1 e art. 5 della legge urbanistica regionale Lr 1/2005 (Norme per il governo del territorio).
[3] Nell’uso della parola sistema, invece di rete, catena, pianura ecc., c’è molta analogia con la stessa vacua illusione di rendere più sofisticato il linguaggio (non solo da parte degli architetti) sostituendo la parola tipo con tipologia ormai irrimediabilmente diffusa.
[4] Vedi: Gianfranco Censini, Assetti morfologici, in Studio di fattibilità del Museo Nazionale di Storia Naturale nell’area ex Macelli, Dipartimento di urbanistica, Facoltà di architettura di Firenze, Firenze, 1985, pp. 117-142. Ancora con Censini si è messa a punto la definizione di invariante di trasformazione, citata più avanti.
[5] Le consultazioni popolari intitolata Le 100 piazze e I 100 luoghi hanno luogo durante l’elaborazione del Ps e del Ru, rispettivamente nel 2010 e 2013.
[6] Anche in questo caso il pensiero corrente è fuorviante quando ritiene che la qualità si ottiene aggiungendo edifici, cittadelle, poli, “ben progettati”, magari d’autore, e adatti alla carta patinata, invece di chiedersi qual’è il fondamento della qualità dello spazio e come questa possa generarsi dall’esistente e dalla progettazione dello spazio vuoto.
[7] Insieme al completamento della linea 1 e al «metrotreno» sulla coppia interna dei binari ferroviari del cosiddetto “laccio” da San Salvi a Rifredi. Cfr. Osservazione n. 12, Rete tramviaria, in Puc, Verso il nuovo Piano strutturale. Le osservazioni di perUnaltracittà lista di cittadinanza, Firenze, 2011.
[8] Cfr. Roberto Budini Gattai, Dal Regolamento urbanistico al Regolamento dei conti, “La Città invisibile”, 13 aprile 2015; Id., I piedi sulla città, o del Regolamento urbanistico di Firenze, “La Città invisibile”, 9 marzo 2015.
[9] Questa ipotesi è stata studiata con il gruppo dei tecnici del comitato No tunnel Tav. Cfr. Alberto Ziparo, Maurizio De Zordo, Giorgio Pizziolo (a cura di), Tav sotto Firenze. Impatti, problemi, disastri, affari e l’alternativa possibile, Alinea, Firenze, 2011.
[10] Si fa riferimento a Villa di Rusciano, Ornella De Zordo e Roberto Budini Gattai: «Non va venduta», com. stampa Puc, Firenze, 2 aprile 2012. Si veda anche Alienazioni e cambio di destinazione d’uso, De Zordo: «Ecco la norma che cancella l’urbanistica», com. stampa Puc, Firenze, 9 Marzo 2012.
Roberto Budini Gattai
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