A chi fa gola Firenze? Guida alle grandi holding che si appropriano della città: Art-Invest Real Estate /8

  • Tempo di lettura:8minuti
image_pdfimage_print

L’acquisizione dell’ex Monte dei Pegni di Via Palazzuolo ad opera del gruppo tedesco Art Invest Real Estate è al centro di questa ottava scheda (qui la settima). Si tratta di un caso emblematico dello stretto intreccio tra la cattiva politica e gli interessi speculativi di cui renderemo conto, per di più in una delle ultime zone popolari e multiculturali della città, quartiere ormai destinato, ma non rassegnato, alla colonizzazione turistico immobiliare.

 

Art-Invest Real Estate

Art-Invest Real Estate (AIRE) è uno dei più importanti gruppi tedeschi di gestione e investimento immobiliare, con sede a Colonia e interessi nelle più importanti regioni metropolitane della Germania. Ora anche in Italia. A Firenze ha rilevato l’ex Monte dei Pegni di via Palazzuolo per trasformarlo in un altro albergo di lusso, di cui la città non sente proprio il bisogno.
Il gruppo è strutturato in quattro sub company (AIRE Management, AIRE GmbH & Co. KG, AIRE Funds, AIRE Property Management), ciascuna specializzata nei vari segmenti della finanza immobiliare.
Gli investimenti sono effettuati con operatori in grado di disporre di cospicui flussi finanziari e con investitori istituzionali come le compagnie di assicurazione, le banche, i fondi pensione, le fondazioni e i family office. Per tutti questi la società si è attrezzata con ben 18 fondi di investimento immobiliare.
L’Art Invest non opera in maniera autonoma, ma è una delle società affiliate alla holding tedesca di gestione strategica Zech Group, con sede a Brema, sotto il cui ombrello si uniscono sei business unit con le rispettive società di gestione operativa. La società madre coordina il lavoro delle sei divisioni, sviluppa la strategia generale dell’intero gruppo che opera prevalentemente nel settore degli investimenti immobiliari, alberghiero, delle tecnologie ambientali, industriali e consulenza internazionale. Il gruppo nel 2017 impiegava circa 8.000 addetti conseguendo un profitto di circa due miliardi di euro.

Se proviamo a generalizzare, vediamo che il meccanismo estrattivo è sempre lo stesso: holding multinazionali dalla complessa struttura, ramificata a cascata, sono in grado di rastrellare e concentrare ingenti flussi finanziari planetari, alla costante ricerca delle occasioni di investimento, in questo caso, immobiliare e turistico/alberghiero, considerato, in maniera avventata vista la recente crisi del mercato immobiliare internazionale, un settore a forte valenza anticiclica.

La loro mission è quella di distillare un continuo flusso di profitti da reinvestire in una sorta di catena di Sant’Antonio, per soli ricchi e a scala planetaria. Gli ambienti di vita, i territori, le città d’arte sono al centro di questi processi estrattivi che, come sanguisughe, si appropriano della produzione, della cooperazione sociale e della ricchezza dei beni comuni locali per riproporli poi, in maniera artefatta e svilita, sul mercato del lusso internazionale.

L’estrazione neoliberista non riguarda solo la valorizzazione della rendita immobiliare. Questi non sono dei palazzinari, non si accontentano dell’enorme incremento di valore degli immobili. Intorno a questi, intorno a parti di città e territorio sottratti agli abitanti, cercano di tessere “forme di vita” mercantile spettacolare in grado di attivare processi di valorizzazione capitalistica ben più articolati, radicati sia nell’ampio spettro della corrispondente produzione mercantile che nel ventaglio di servizi orientati al business.

Naturalmente tutto ciò è reso possibile dalla irrilevanza delle amministrazioni centrali e locali che, nella maggior parte dei casi, hanno tradito la loro missione di difesa e cura dei beni comuni per vendersi, per un piatto di lenticchie, ai potenti di turno. Come se ne fossero i proprietari, svendono e privatizzano in maniera indebita, il nostro patrimonio, dalle isole, di straordinaria bellezza e potenzialità rigenerativa, a intere parti di città e territori, in una sorta di cinico esproprio dei beni comuni reso possibile proprio dalla loro complicità.

Sul campo restano ambienti di vita profondamente segnati dalle ingiustizie e dalle diseguaglianze generate e alimentate da questi processi, città svendute e letteralmente “fatte a pezzi”. Ma una nuova consapevolezza si sta diffondendo sempre più, nuovi soggetti sociali si affacciano, sia a livello locale che globale, per superare l’attuale sistema capitalistico di organizzazione della società.

A Firenze Art Invest Real Estate acquista nel 2017 l’ex sede del Monte dei Pegni della Cassa di Risparmio di Firenze. Si tratta di un vasto complesso immobiliare che da Via Palazzuolo giunge sino a Borgo Ognissanti, fiancheggiando la Chiesa di San Paolino e, sul retro, l’ex Ospedale di San Giovanni di Dio, per una superficie utile complessiva di oltre 10 mila metri quadri. È costituito, nella sua parte rivolta su Via Palazzuolo, dalle strutture del convento annesso alla chiesa di San Paolino, ricostruito nel ‘600 e rimaneggiato nell’800; negli anni ’50 è stato ampliato sul retro mediante strutture per il deposito dei beni in garanzia, sino a comprendere parte di un edificio vincolato che si affaccia su Borgo Ognissanti, dal quale si potrebbe anche accedere al parcheggio sotterraneo interno all’area. Strategica la collocazione, a pochi passi dalla stazione di Santa Maria Novella e dalla zona degli alberghi di lusso della città (Ognissanti, Via il Prato, Lungarno Vespucci). Ma anche problematica, perché all’interno di una delle ultime enclaves popolari e multiculturali della città, quella di Via Palazzuolo, di cui non potrà che accelerare la gentrificazione, ossia l’espulsione degli attuali abitanti, disfunzionali alle pretese del turismo di lusso che ormai domina Firenze. Inascoltate le proteste degli cittadini e di alcuni comitati in difesa del carattere popolare dell’area.

Le metastasi turistiche e immobiliari sono contagiose, e sembra che nuovi appetiti si stiano concentrando sull’adiacente Convento dei Carmelitani, ormai in via di smobilitazione.
La trasformazione dell’ex Monte dei Pegni in albergo di lusso può essere considerata emblematica di quanto solitamente avviene in città, ossia dello stretto intreccio tra la cattiva politica e gli interessi della speculazione. L’intervento della pubblica amministrazione è determinante sia nell’attivare il ciclo di valorizzazione immobiliare che nel massimizzare i profitti attesi.

Semplici ma efficaci i passaggi necessari. Innanzitutto, nel vuoto pianificatorio cittadino, si procede con il cambiamento della destinazione d’uso, in questo caso da direzionale/residenziale (11 gli appartamenti presenti) a turistico ricettiva, sollecitata nel 2003 da un Piano di Recupero di iniziativa privata della Cassa di Risparmio, proprietaria dell’area.

L’amministrazione comunale dell’epoca approva e, per rendere più agevole la trasformazione, a partire dal 2006 modifica la Classificazione degli immobili, eliminando di fatto la tutela sull’intero complesso che, come nel caso dell’ex Teatro Comunale, viene lasciata solo sulla facciata principale di Via Palazzuolo, mentre tutto il resto può essere smantellato. Naturalmente il valore del complesso architettonico schizza verso l’alto. Già a fine 2003 l’immobile è venduto ad una società romana a poco più di 11 milioni di euro. Fatto incredibile è che questa società, dopo sole due settimane, rivende lo stesso immobile, su cui esiste solo la proposta di un Piano di Recupero, a 14,5 milioni di euro, realizzando una plusvalenza di 3,135 milioni! La cattiva politica nel 2009 approva il Piano e la relativa variante urbanistica assecondando le richieste della proprietà di monetizzare gli standard e l’edilizia ad affitto agevolato, di realizzare il parcheggio sotterraneo in Zona Unesco con tanto di Vincolo archeologico, ecc.

La convenzione con i privati del 2015 stabilisce sia la monetizzazione relativa ai 1.094 mq. di edilizia convenzionata, che non viene realizzata, in soli 328.200 € che la sistemazione delle aree contermini, numerose telecamere comprese, in sostanza complementari all’attività alberghiera.

Dopo alcune travagliate vicende giudiziarie che hanno mandato assolti tutti i protagonisti, arriviamo ai giorni nostri con l’acquisto, nel 2017 da parte del gruppo immobiliare tedesco, sembra per un importo di circa 27 milioni di euro, ben 16 milioni in più rispetto alla prima compravendita. Potenza dell’urbanistica dal “tocco d’oro” che, come il mitico Re Mida, trasforma in oro, in ricchezza sonante, tutto ciò che appare nei suoi monitor. Val la pena ricordare però che, punito da Apollo, a Mida crebbero delle lunghe e pelose orecchie d’asino e che, nel maldestro tentativo di nasconderle, alte canne al vento lo raccontassero al mondo intero.

La gestione dell’albergo in questione è affidata al gruppo 25hours hotel, con sede ad Amburgo, che ha al suo attivo la gestione di 13 alberghi (11 in Germania, uno a Parigi e un altro a Vienna). Dubai e Firenze sono le sedi dei nuovi investimenti. La società mira a diventare una global company anche in seguito al recente accordo strategico con il gruppo alberghiero francese Accor Hotel, uno dei leader mondiali degli hotel lifestyle, presente in 111 paesi con 4.840 hotel e 3,6 miliardi di euro di ricavi nel 2018.

A Firenze strutturano circa 170 camere, un centro benessere spa, una town house con giardino privato e piscina, ristorante, bottega di gastronomia e cocktail bar. I soliti ingredienti degli hotel luxury lifestyle, degli alberghi dell’opulenta ostentazione del lusso per la clientela benestante, per di più in una zona che avrebbe bisogno di politiche sociali di integrazione, di accoglienza dei più bisognosi, di risposte all’emergenza abitativa. La risposta indotta da queste trasformazioni sarà invece l’espulsione di coloro che animano, pur tra tante contraddizioni, il quartiere, ceto medio compreso, ossia anche gli attuali proprietari della propria abitazione, alcuni servilmente favorevoli all’installazione del nuovo albergo, che probabilmente non saranno in grado di sostenere la trasformazione del quartiere all’insegna dello sfarzo turistico.

Delle 170 stanze, circa 73 saranno ricavate all’interno dell’edificio storico, prospicente via Palazzuolo. Le restanti saranno localizzate nella struttura di nuova edificazione, posta all’interno, alta 15 metri, “probabilmente, la più rilevante costruzione ex novo in progress nel centro storico di Firenze”, ricordiamolo essere Patrimonio dell’Umanità ma forse non adeguatamente tutelato. 

Non lasciano in pace neppure il padre Dante e la sua Commedia, ridotta a fare da sfondo, patetico e anche offensivo per la cultura dell’intera città, all’articolazione delle camere in Inferno, Paradiso e Purgatorio.

Tra un cerchio infernale e una malabolgia gradiremmo vedere dibattersi i protagonisti di questa vicenda, non per desiderio di rivalsa ma per amore di giustizia.

*Antonio Fiorentino

The following two tabs change content below.

Antonio Fiorentino

Architetto, vive e lavora tra Pistoia e Firenze dove rischia la pelle girando in bici tra bus, auto e cantieri. E’ un esponente del Gruppo Urbanistica di perUnaltracittà di Firenze, partecipa alle attività di Comitati di Cittadini e Associazioni ambientaliste.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Captcha *