Cosa sta accadendo in Cile? Dalla rivolta studentesca alla rivolta popolare

Sabato 19 ottobre Santiago del Cile si è svegliata con l’esercito a pattugliare le strade e le piazze, sotto lo “stato d’emergenza”, decretato venerdì sera dal presidente Sebastián Piñera.

Presidiano anche la Moneda, il palazzo presidenziale dal quale Allende, sotto le bombe, attraverso Radio Magallanes mandava il suo ultimo messaggio al popolo cileno e ai popoli di tutto il mondo prima che Pinochet e i suoi assassini aprissero la pagina più nera della storia del Cile. Era dal 1988-1989, ultimi anni della dittatura militare, che i militari non tornavano per le strade del Paese…

Lo “stato d’emergenza” è il tentativo di metter fine alle proteste nate all’indomani dell’aumento del prezzo dei biglietti della Metro della capitale. La misura prevede che il generale dell’esercito Javier Iturriaga sarà a capo della sicurezza nazionale nonché responsabile di Santiago. Lo “stato d’emergenza” comporta il divieto di riunioni pubbliche, della libertà di movimento, del diritto a protestare e consente ai militari di esercitare funzioni di polizia. Significa cioè la sospensione, per un periodo di 15 giorni (rinnovabili), dei diritti civili e politici della popolazione.

I primi risultati di questo passo verso un ritorno al passato sono già sotto gli occhi di tutti: più di 300 arresti, decine di feriti, e 3 morti.

La goccia che fa traboccare il vaso: l’aumento del prezzo del biglietto della metro

Come si è arrivati a questo punto? Riavvolgiamo il nastro per capire qualcosa in più e torniamo al 15 ottobre, quando tutto sembra iniziare. Se il 14 ottobre in Europa si apriva con la notizia della condanna dei leader sociali e politici catalani a 100 anni di prigione, dall’altra parte del mondo, in Cile, la settimana cominciava con le prime proteste studentesche contro l’aumento del prezzo dei biglietti della metropolitana di Santiago.

Non è il primo aumento, ma l’ennesimo; per l’esattezza, il ventesimo in dodici anni di vita dell’infrastruttura cittadina. Dodici anni fa un biglietto costava 420 pesos (0,59 dollari), mentre con l’ultimo aumento, nelle ore di picco (a Santiago il biglietto ha un costo differente in base alla fascia oraria di utilizzo), si è passati da 800 a 830 pesos, vale a dire da 1,13$ a 1,17$. La metro della capitale cilena è così una delle più care al mondo.

Soprattutto se rapportata agli stipendi delle lavoratrici e dei lavoratori cileni, che non hanno affatto retto il passo. La Fundación Sol ha pubblicato uno studio nel quale presenta la spesa mensile dei lavoratori per i viaggi da casa al lavoro e viceversa. Ha così scoperto che i lavoratori che guadagnano il salario minimo, pari a 301.000 pesos (424 dollari), spendono circa il 20% del proprio stipendio per andare e tornare da lavoro (non sono inclusi viaggi extra-lavorativi). Non va molto meglio per i lavoratori della fascia immediatamente superiore (fino a 770 dollari al mese), che insieme a quelli col salario minimo costituiscono il 70% della forza lavoro totale.

Dinanzi all’ultimo aumento era dunque prevedibile che il malcontento montasse. O forse no, visto che Piñera era convinto che il Cile fosse una “oasi” in mezzo alle convulsioni che agitano il resto del continente, dall’Ecuador mobilitato – e al momento vittorioso – contro il “paquetazo” di Moreno, al confinante Perù, in piena crisi politica e istituzionale.

Contro le sue previsioni il Cile si infiamma. Benzina sul fuoco la versa il Ministro dell’Economia, Juan Andrés Fontaine, che di fronte allo scontento ha affermato che i passeggeri avrebbero potuto svegliarsi all’alba, così da poter accedere al servizio pagando un biglietto più economico. Non è la prima volta che un esponente delle classi dirigenti, in un qualsiasi paese del mondo, fa uscite del genere. Viene da chiedersi se si tratti di provocazioni pianificate, se abbiano intenzione di parlare a settori specifici della società. O, forse, più semplicemente, non c’è alcun piano dietro a parole come queste. C’è, invece, il distacco sempre più marcato tra le élite e il popolo, che pure dicono di voler rappresentare. C’è l’impossibilità/incapacità di mettersi nei panni dei settori popolari della popolazione. Le parole di Fontaine sono insomma la certificazione di un’alterità assoluta, di una diversità che si fa quasi antropologica tra popolo ed élite.

#EvasiónMasiva

Dopo il provvedimento di Piñera, i primi a muoversi sono gli studenti delle scuole superiori. Lanciano sui social l’hashtag: #EvasiónMasiva. Invitano, cioè, all’“evasione di massa”, a saltare i tornelli della metro e viaggiare senza biglietto. Una forma di protesta che in Europa abbiamo visto più volte nella forma di “non ti pago!”. La protesta cresce di ora in ora. Migliaia di giovani si uniscono e toccano praticamente tutte le stazioni della metropolitana. Un servizio usato da quasi 3 milioni di cittadini al giorno.

E arriviamo a giovedì e venerdì (17 e 18 ottobre). La protesta diventa di massa. I ragazzi si danno appuntamento ancora una volta tramite social, arrivano in metro ed “evadono” il biglietto. Dopo un iniziale spaesamento, la reazione del governo è durissima. I carabinieri vengono inviati nelle stazioni delle metro e le trasformano in una specie di caserme. Botte, manganellate, arresti. La violenza della repressione non tarda ad arrivare. Ancor più odiosa perché si scaglia contro minorenni. In alcuni casi addirittura si spara. Fa il giro del web il video di una ragazza che si allontana dalla scena degli scontri col sangue che le gocciola copioso dal corpo.

Si dà fuoco ad alcune stazioni. E mentre Rodrigo Albornoz, vicepresidente della Democracia Cristiana (DC), twitta quello che sembra più di un oscuro presagio, lamentandosi degli “atti di violenza” e mettendo in guardia questi niños (ragazzini), dicendo loro che c’è la possibilità che finiscano “feriti o morti”, il terreno dello scontro passa dal sottosuolo all’intera città. Gli studenti e le studentesse salgono in superficie e cominciano a riempire strade e piazze della capitale.

Ma perché sono gli studenti a protestare? Beh, direte voi, sono tra le categorie più colpite da un aumento dei prezzi del trasporto pubblico. E invece no. Loro sono esenti dagli aumenti. Il che rende ancor più sorprendente la loro risposta. Dai banchi del governo si innervosiscono e se lo chiedono furiosi. Cosa vorranno mai questi studenti? La risposta arriva da una delle leader di una delle associazioni studentesche: “Se guardiamo alla nostra storia, l’analisi che facciamo è che gli studenti e le studentesse hanno avuto il ruolo di una scintilla per le altre lotte. Anche se non ci tocca direttamente, protestare col metodo dell’“evasione” è un atto necessario davanti alla crisi economica che colpisce le nostre famiglie e le persone che a stento guadagnano il salario minimo. Loro hanno paura di protestare; iniziamo a farlo noi e, con loro, dimostriamo l’indignazione collettiva dinanzi a questo tema.”

Non è una rivolta studentesca; è una rivolta popolare!

Sabato sera Piñera fa una prima marcia indietro: comunica la sospensione dell’aumento del biglietto della metro. Una prima vittoria della mobilitazione! Piñera spera che, unitamente allo “stato d’emergenza” e al coprifuoco in vigore tra le 22:00 e le 7:00 e che si allargano anche a Concepción e Valparaiso, possa servire a placare gli animi. Javier Iturriaga in conferenza stampa parla esplicitamente della necessità – e della speranza – di un “ritorno alla normalità”.

Troppo tardi. La protesta già non è più quello che era nelle prime ore. Ai giovani si affiancano ora intere famiglie, padri e madri, nonne e nonni. E rimangono in strada, sfidando i blindati e i carri armati, pentole alla mano, in una delle più tipiche espressioni di protesta in America Latina: il “cacerolazo”.

Gli aumenti del prezzo della metro rimangono quasi sullo sfondo. A riassumere bene i motivi che ormai si fondono e si confondono nelle strade è su Twitter addirittura Claudio Bravo, portiere del Manchester City e della nazionale cilena: “Hanno venduto ai privati la nostra acqua, il nostro gas, la nostra luce, la nostra istruzione, la nostra sanità, le nostre pensioni, le nostre medicine, le nostre strade, i nostri boschi, il deserto di Atacama, i ghiacciai, i trasporti. Qualche altra cosa?”

Non si tratta più, se anche mai lo fosse stato, di una protesta di carattere “trade-unionista”, una battaglia puntuale per il ritiro di un provvedimento specifico. In campo non c’è solo una “rivolta studentesca”, ma una rivolta popolare, alla cui avanguardia ci sono giovani e giovanissime/i, che svolgono il ruolo di miccia per tutti gli altri segmenti delle classi popolari. Ed è questa saldatura che fa più paura a Piñera e alle classi dirigenti cilene (e non solo).

Ad esempio, i lavoratori della metro di Santiago, malgrado gli incendi, hanno preso posizione a favore del movimento. Il presidente del sindacato della Metro S.A., Eric Campos, ha spiegato che metà del costo del biglietto pagato dagli utenti va in realtà a ripianare i debiti della Transantiago, una società che gestisce un servizio di bus di proprietà privata, fondata agli inizi del XXI secolo dal “socialista” Ricardo Lagos e più volte al centro di scandali finanziari. Secondo Campos, il costo di queste scellerate operazioni che regalano soldi ai privati “lo stanno pagando i padri e le madri di questi studenti che oggi con piena ragione manifestano perché vedono che coi loro salari non ce la fanno”. E aggiunge: “senza alcun timore crediamo sia giunta l’ora di discutere seriamente della necessità di statalizzare il trasporto pubblico”.

La protesta ha già esondato i confini di Santiago ed è arrivata in tutto il Cile. Manifestazioni si segnalano addirittura sull’isola di Rapa Nui (meglio conosciuta come Isola di Pasqua). Ma, soprattutto, è arrivata in alcuni dei centri nevralgici del paese. I portuali di Valparaiso, ad esempio, hanno dichiarato la necessità dello sciopero generale. Non si tratta di lavoratori qualsiasi. Valparaiso non è solo la sede del Congresso, ma col suo porto è uno dei gangli vitali dell’economia cilena, uno dei perni su cui si basa il suo modello export-oriented. Bloccare questo snodo significherebbe paralizzare un pezzo fondamentale dell’economia nazionale, e non solo.

E la parola d’ordine già non è più #EvasiónMasiva, ma #RenunciaPiñera. La lotta è già lotta per un cambio più complessivo.