Evo si è dimesso. La lucha sigue!

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Domenica 10 novembre si è consumato il golpe contro Evo Morales. In conferenza stampa il presidente boliviano ha rassegnato le proprie dimissioni, dopo che le Forze Armate l’avevano “invitato” a rinunciare a nuove elezioni e a una nuova candidatura.

Ci sarà il tempo per analisi più approfondite. Questo è il tempo della solidarietà e della mobilitazione. In gioco in Bolivia ci sono le vite di migliaia di attivisti, militanti e semplici cittadini. A cominciare dalla vita di Evo.

0.  È un golpe. Che piacciano o meno Evo Morales e García Linera che un presidente sia costretto a dimettersi dopo che i vertici delle Forze Armate lo “invitano” pubblicamente a ritirarsi si chiama “colpo di stato”. Chi non denuncia il golpe è complice.

1. È un golpe “civico-policial”, organizzato dai comitati civici di Santa Cruz, messi su dai possidenti e dall’oligarchia dell’oriente boliviano. Successivamente si sono ammutinate, in maniera coordinata, diverse divisioni della polizia. Nella giornata di domenica 10 novembre si è aggiunto l’esercito, con quella sorta di “ultimatum” dato a Evo affinché rassegnasse le sue dimissioni.

2. È un golpe fondamentalista, che mira a riportare la Bibbia “al governo”, a rimettere il Paese nelle mani di Dio.
L’immagine simbolo del fondamentalismo è quella di Camacho all’interno del Palacio Quemado, vecchia sede presidenziale, inginocchiato dinanzi a una bandiera boliviana e alla Bibbia.

3. È un golpe razzista, perché disprezza profondamente i popoli originari, gli indigeni. Basta ascoltare la piazza, in cui più d’una volta si udiva “indios de mierda” o “andate a lavarvi”.
L’immagine simbolo del razzismo è l’assenza assoluta della wiphala, la bandiera indigena, nelle manifestazioni di piazza nel bastione dei golpisti, Santa Cruz.

4.  È un golpe misogino e “patriarcale”, perché disprezza e attacca le donne.
L’immagine simbolo del patriarcato e del sessismo è quella che ritrae la sindaca di Vinto, Patricia Arce, col viso e il corpo ricoperti di pittura, i capelli rasati a forza, costretta a camminare scalza per 3 km perché trofeo da esibire. Una donna “umiliata” è il progetto dei golpisti.

5. È un golpe anti-sindacale, perché hanno attaccato e continuano ad attaccare le sedi del movimento sindacale e quelle dei movimenti sociali che sono al fianco di Evo Morales.
L’immagine simbolo di questo fascismo è quella di José Aramayo, direttore della radio della Confederación Sindical Única de Trabajadores Campesinos de Bolivia, ammanettato a un albero.

6. È un golpe mafioso, che ha ottenuto le dimissioni di numerosi esponenti del MAS con incarichi governativi o istituzionali appiccando il fuoco alle loro case o, preferibilmente, a quelle dei loro familiari. La vendetta trasversale è caratteristica delle organizzazioni mafiose.
L’immagine simbolo è la casa saccheggiata della sorella del presidente Evo.

7.  È un golpe che fa gli interessi degli USA: Camacho, leader golpista emerso all’indomani delle elezioni del 20 ottobre, ha avuto più d’un colloquio col dipartimento di Stato USA. Non credo abbiano mangiato pasticcini. Sarà tutto alla luce del sole quando inizieranno a rimettere piede nel Paese la CIA, le diverse agenzie statunitensi e, soprattutto, quando la Bolivia tornerà a esser terra di conquista per i capitali a stelle e strisce.

Evo si è dimesso. I golpisti cantano vittoria. Ma non è la fine della partita. Né tanto meno della storia.
Non c’è tempo per la disperazione.

“Volveremos y seremos millones” (“Torneremo e saremo milioni”). È la profezia di Tupac Katari che si incarna nelle ultime parole di Evo: “La lucha sigue!”

*Giuliano Granato

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Giuliano Granato

Giuliano Granato, nato a Napoli nel 1985, laureato in Relazioni internazionali con tesi in Storia Contemporanea dell'America Latina. Ha lavorato come facchino, cameriere, ha dato lezioni private e poi, prima a Londra e poi in provincia di Napoli, come impiegato. Prima di essere licenziato per motivi di carattere politico-sindacale. Membro del coordinamento nazionale di Potere al Popolo!

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