La privatizzazione della sanità fa bene al Coronavirus. Lo dimostra uno studio scientifico

La crisi sanitaria di Covid-19 ha avuto ripercussioni molto differenti nei vari paesi. Se le sue conseguenze economiche stanno investendo un po’ tutti, il numero di contagiati noti e di morti varia notevolmente. Se ha colpito molto la minore gravità dell’epidemia in Germania (fino a far sospettare che le autorità barassero sul numero effettivo!), meno si è parlato di come in paesi contigui geograficamente ma anche simili per sviluppo economico e struttura socioculturale ci siano risultanze molto differenti come contagi e mortalità: USA-Canada, Francia-Belgio, Spagna-Portogallo sono coppie esemplari di tale divergenza.

Un recente studio dei ricercatori Jacob Assa e Cecilia Calderon (datato fine maggio) verifica una correlazione fra l’intensità dell’epidemia e alcuni fattori-chiave, ponendo anche il problema del fatto che in generale i paesi ricchi sono stati colpiti più di quelli poveri. I 37 paesi OECD, nello specifico, contano il 59% dei casi accertati e il 78% dei morti (dati aggiornati a giugno), nonostante costituiscano meno del 18% della popolazione interessata a livello mondiale.

Un dato abbastanza intuitivo è la correlazione fra popolazione anziana e severità del fenomeno, che la ricerca conferma. Più controverso è il ruolo della globalizzazione : paesi più coinvolti in essa (prendendo come riferimento la classifica dell’indice dell’Istituto KOF Swiss Economic Institution di Zurigo) sono stati più colpiti? La risposta è: sì ma in mondo non decisivo. Nella fattispecie essi hanno generalmente un numero di casi maggiore, ma non più morti.

Lo studio sposta il focus dai fattori causa dalle condizioni che per permettono la diffusione alla risposta ad essi, incentrandosi sulle capacità dei sistemi sanitari dei paesi.

Il fattore che viene messo in luce come centrale è la privatizzazione della sanità: i paesi che l’hanno promossa sono stati colpiti in modo assai maggiore. La ricerca stabilisce una correlazione assai robusta fra entità della spesa privata da un lato e i due indicatori dall’altro (numero di casi e di morti) rispetto ad altri fattori.

Va specificato che pur senza un numero consistente di studi, la privatizzazione della salute vede una correlazione fra essa e una maggior diseguaglianza in termini di aspettativa di vita: non troppo sorprendentemente, nei paesi in cui il mercato la fa da padrone in campo sanitario, la polarizzazione poveri-ricchi è molto netta anche nella durata dell’esistenza.

Tale dato si riverbera nell’incidenza di Covid-19: considerando un insieme di fattori diversi (livello di ricchezza del paese, di urbanizzazione, di globalizzazione e di democraticità) il fattore privatizzazione emerge come quello più forte, cioè come causa del coefficiente più elevato sul numero di casi e morti in rapporto alla popolazione.

Gli autori scrivono nelle conclusioni che la estrema probabilità di altre pandemie simili dovrebbe portare a riconsiderare le politiche neoliberali diffuse negli ultimi decenni, dato che i possibili vantaggi nell’immediato possono determinare seri problemi sulla salute globale nel lungo periodo.

Va aggiunto che non risultano studi che prendano in considerazione nemmeno ipotetica l’immigrazione come fattore significativo, e confrontando a spanne, al di fuori di un solido quadro analitico, la lista dei paesi più colpiti dal virus con la classifica degli Stati con maggiori percentuali di residenti non-nativi, non pare emergere una corrispondenza, dato che alcuni dei primi compaiono a stento – se non sono del tutto assenti – in essa; il che suggerirebbe, in assenza di studi forniti del necessario bagaglio metodologico, una maggior prudenza in fatto di dichiarazioni imprudenti o francamente inopportune da parte di esponenti politici.

*Matteo Bortolon