Quando la rivolta è episodica, ovvero il capro espiatorio senza capro né coda

Il capro espiatorio veniva per prima cosa reso sacro, lo si toglieva cioè dalla sua condizione profana per dedicarlo agli dei. Tutti gli ipotetici capri espiatori sui quali oggi convogliare e raccogliere le ire della gente mancano di questa opportunità, di avere cioè una individualizzazione tale da farne oggetto di sacralizzazione prima e di sacrificio dopo. Oggi il disagio, la precarietà, le umiliazioni, la rabbia silente per i bisogni insoddisfatti, covano sotto il visibile, pronte a manifestarsi. Sino a non molto tempo fa, chi apparteneva ai ceti subalterni godeva comunque di alcuni gradi di libertà: potere uscire, ubriacarsi, sballarsi, fare sesso. Poteva, come abbiamo visto, narcisisticamente abitare le bolle digitali della socialità on line, ma, al tempo della pandemia, a meno degli Hikikomori che avrebbero continuato a vivere la propria autoreclusione, molte di quelle libertà adesso gli sono di fatto negate. Ad un tratto l’oppositore universale si faceva palese: il potere globale che dichiarava lo stato di eccezione che si manifestava con il lockdown e con il distanziamento sociale, era individuabile come il censore, come il nemico.

Il nemico contro il quale ci si scaglia oggi, è sempre generalista. L’operazione di individuazione della controparte è un processo impegnativo, la gente ne vuole uno a caso, individuabile senza sforzi. Tutt’altra cosa, ovviamente, quando il nemico è esplicito, quando è, per esempio, il poliziotto bianco che spara al fratello nero. Il nemico generalista di oggi è quello che percepisci in prima istanza, con quelle capacità pressoché automatiche che riguardano quello che Gilbert Simondon chiama il preindividuale, qualcosa di simile all’istinto. La percezione in sé, quella che non è ancora raffigurata in una rappresentazione da tenere in memoria; la sensazione non configurata. Per questo si risponde all’appello quando l’appello stesso è generico e generalista o quando la rivolta è già per le strade.

Quando non ci sono spiegazioni comprensibili a pelle, l’unica spiegazione è il complotto, ma anche il complotto deve essere generalista, non deve avere dei contorni definiti, non deve richiederti nessun sforzo mentale. 

Le grandi manifestazioni, i grandi numeri si fanno con gli appelli generalisti; con parole d’ordine semplici, più vicine all’invettiva che non al riconoscervisi. A un’invettiva che è semplice suono, semplice manifestazione del suo essere, semplice articolazione senza processo di significazione. In molti hanno risposto all’appello delle “sardine”, in molti si sono ritrovati alle adunanze dei 3V, in molti hanno manifestato denunciando il complotto che starebbe dietro al pericolo pandemico.

Dopo tutte le batoste subite, dopo tutte le restrizioni accettate, dopo aver vissuto nel grigiore dell’austerity, basta che un qualsiasi pericolo si palesi all’orizzonte, per far sì che la gente si ribelli. Non ci si fida più delle spiegazioni e delle assicurazioni delle istituzioni, di ogni forma di istituzione a qualsiasi campo essa appartenga. Troppe volte hanno mentito. Tutto sta peggiorando intorno alle persone come se ogni cambiamento fosse un cambiare in peggio. Per questo l’opposizione al 5g che, dal punto di vista della tipologia e dell’intensità dell’esposizione, non è più invasivo delle tecnologie che lo hanno preceduto come il tre o il quattro che sono stati implementati senza suscitare le stesse rimostranze. Ma questa ribellione è soltanto un comportamento reattivo. Non ci sono orizzonti ai quali guardare, neanche da poter intravedere, non c’è, nelle grandi manifestazioni che attraversano le strade di Berlino, nessun sole dell’avvenire che si stagli a quegli orizzonti. Non ci sono progetti, soltanto passioni tristi. La rivolta è allora episodica. Una fiammata inconsistente. E non venite a dirci che servono forme di organizzazione che riescano a tramutare la spontaneità in un progetto, perché è proprio quel voler organizzare che la rivolta ha identificato come nemico.

Jay David Bolter dice che l’hillbilly, il buzzurro, il bifolco, non si sente più in difetto per la propria condizione culturale. La ostenta orgoglioso (e certi programmi tv esaltano questo atteggiamento) è pronto a prendersela con qualsiasi cosa possa provenire da quella che gli appare essere l’élite culturale. Spinto da un sistema che gioca sulla guerra degli ultimi contro i penultimi, ognuno  difende i privilegi che ha, anche quando sono poca cosa; ecco il razzismo di ritorno, l’amplificazione delle intolleranze di genere, di specie e di religione anche perché chi le nega è l’intellettuale bugiardo che ti ha sicuramente ingannato come infatti dimostra il peggioramento della tua condizione sociale. Il bullismo che si combatte a scuola ha così pervaso l’età adulta. Che si vada d’accordo o che si sia in conflitto, il confronto non è più dialogico. L’opinione, vera o falsa che sia, non si può mettere in discussione. Si vive nella post verità che poi sono più verità ognuna partorita dalla pluralità delle opinioni.

Notevole eccezione a questa tendenza sono le grandi manifestazioni antirazziste che hanno infiammato le strade e le piazze di Minneapolis, Portland, New York, Washington e molti altri centri grandi e meno grandi negli Stati Uniti, dove l’orizzonte sociale e politico è chiaro e visibile: Black Lives Matter!

*perUnaltracittà-laboratorio politico