Combattere le disuguaglianze: unica via per cambiare il sistema

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Gli episodi di ribellione contro il green pass che stanno attraversando le nostre città sono evidentemente segno dell’emergere prepotente di un disagio sociale che ha invece molte cause che risalgono a ben prima della pandemia e che si chiamano perdita di diritti, disuguaglianze sociali, precariato, licenziamenti, bassi salari, sicurezza sul lavoro, delocalizzazioni. Ma anche della crescente distanza dei luoghi della politica e delle istituzioni dal mondo reale.

Tutto sembra focalizzarsi sul certificato vaccinale, con una concentrazione esclusiva e quasi feroce che suscita non poche perplessità. Non si ricorda un blocco ad oltranza di infrastrutture o di produzioni per la quotidiana mattanza sui luoghi di lavoro.

Certo, mettere l’obbligo di green pass senza obbligo vaccinale, scaricando ancora una volta ogni responsabilità sui singoli comportamenti, è una scelta più che discutibile, opportunista e ipocrita; è altrettanto vero che tutta la gestione della pandemia ha mostrato così tante ombre che non si sa da dove cominciare: dall’inerzia sulla questione centrale del brevetto sui vaccini, all’impoverimento del servizio sanitario pubblico, lo smantellamento della medicina del territorio, e con la gente costretta a lavorare senza protezione in pieno lock down – per dirne alcune.

 

Ma ora più che mai è necessario sviluppare un pensiero critico ad ampio raggio. Piuttosto che pensare di rifiutare i farmaci perché appannaggio di Big Pharma, non sarebbe il caso di pretendere di portare la produzione e la gestione della salute sotto il controllo della collettività? Non una semplice nazionalizzazione, ma la creazione di strutture in cui le comunità possano controllare aspetti fondamentali degli strumenti di vita, a partire appunto dalla salute ma anche altri, dall’acqua pubblica a alla scuola ai trasporti. Emiliano Brancaccio aveva proposto la “pianificazione collettiva”, una locuzione da riempire di contenuti politici. Ma la politica tace.

Da tempi immemori si sente parlare della “scomparsa dei corpi intermedi”, che era diventata una formuletta. Ora siamo davanti alla rappresentazione plastica di quello che vuol dire: non c’è nessun soggetto politico o sociale che si pone come polo di elaborazione, discussione, disvelamento di scenari e prospettive. In fondo è anche quello che sta succedendo alla GKN: qui l’assenza è colmata dal protagonismo diretto, solo che nel caso della GKN c’è un collettivo operaio con una altissima coscienza politica, su un caso nazionale ma che parte dal loro specifico. Ma perché chi avrebbe la possibilità di farlo, non lancia una lotta a tutto campo, anche con uno sciopero generale, per unificare i vari fronti e dare a questo profondo scontento uno sbocco organizzato e di classe?

Aggiungiamo che occorrerebbe riscoprire l’antico obiettivo di riappropriarsi del sapere, scientifico e non solo, per superare l’egemonia del padronato nella gestione della conoscenza. Il monito gramsciano “istruitevi perché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza”, tutte le mille iniziative di controinformazione o le varie campagne che si sono sviluppate nel tempo, le multinazionali, il nucleare, l’inquinamento dai processi produttivi, partivano dalla ricerca della conoscenza, per usarla in modo alternativo. Oggi sembra che si sia alla riappropriazione dell’ignoranza, che naturalmente fa molto gioco a chi manovra il giocattolo.

E una profonda riflessione merita anche l’affermazione di questa idea di libertà, tutta individuale e autoreferenziale. Più che alla Costituzione e alla Liberazione fa pensare alle dottrine neoliberiste: uno dei caratteri più profondi di quella che ormai è una vera mutazione antropologica degli ultimi decenni è proprio l’affermarsi di una concezione monadica, un esasperato individualismo (che trova ambiente fertile nelle bolle, meglio se virtuali così la relazione non è effettiva, né affettiva). E’ il trionfo del pensiero neoliberale da Von Hayek e Von Mises..del pensiero di Margaret Thatcher quando diceva che la società non esiste, esiste solo l’individuo, l’individuo come imprenditore di se stesso. Non c’è solidarietà, né liberazione collettiva, né giustizia sociale quando la rivendicazione – anche di massa – è focalizzata solo sulla dimensione del singolo e dei suoi interessi.

E i neoliberisti possono paradossalmente essere entusiasti, ancora di più vedendo che è il naturale nemico che imbraccia le loro concezioni e la loro dimensione di pensiero.

Così che alla fine questo polverone ha dato visibilità ai fascisti, di tutte le gradazioni, pronti a cavalcare ogni scontento e indirizzare la rabbia nella direzione consueta facendo in sostanza il gioco di confindustria, delle multinazionali, di chi vuole che nulla cambi.

Non si può tacere l’aspetto repressivo che viene agito dallo Stato, e non solo nell’immediato: esasperare le contrapposizioni, evocare presunti “opposti estremismi” serve a dare una stretta repressiva su ogni forma di dissenso, a criminalizzare ogni forma di conflittualità sociale, per passare quindi a una stretta ulteriore, generalizzata. Con l’assenso di quelle forze che stanno dentro o dietro al governo, i garanti e guardiani addetti a sorvegliare che non si disturbi il pilota automatico, cosicché il governo Draghi possa navigare in acque tranquille nel plauso di Europa e del capitale tutto.

E invece va disturbato il manovratore, e non lo si fa chiedendo una “libertà” riferita a una Costituzione di cui si calpestano altri capisaldi riferiti a equità sociale e uguaglianza; ma mobilitandoci collegando le lotte con lo sforzo di una visione più generale, perché ci sia un piano straordinario di investimenti per la sanità pubblica, per la scuola, i trasporti, per una legge contro le delocalizzazioni, per i diritti e la sicurezza sul lavoro.

Perché la realtà ci parla di una drammatica crescita dei livelli di povertà, della disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza, di diritti negati e perduti. Questo orizzonte deve essere il nostro riferimento.

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All'opposizione in Consiglio comunale a Firenze dal 2004 al 2014, la lista di cittadinanza perUnaltracittà è poi diventata laboratorio politico per partecipare alle vertenze sul territorio e dare voce alle realtà di movimento anche attraverso la rivista La Città invisibile.

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