Tra i molti disastri e i molti soprusi del decreto Sblocca Italia la parte che riguarda la possibilità (e quasi l’ordine) di vendita del patrimonio pubblico è una di quelle con le più gravi conseguenze, sia per le modalità e le implicazioni dirette che per quelle che ne derivano.
Sotto la populistica strizzatina d’occhio di liberarsi e di vendere un’eredità di beni ormai inutili e costosi da mantenere, per fare così invece un po’ di cassa si apre e si regala in realtà ad un avido mercato mondiale lo straordinario ed irripetibile patrimonio dei beni pubblici, che contengono le manifestazioni più alte e significative sia del territorio italiano che dei suoi monumenti, e quindi del suo paesaggio unico al mondo.
Questo significa due cose: da un lato la totale subordinazione ai desiderata della finanza e dei mercati internazionali che così appagherebbero, con il primo ministro Renzi, un desiderio a lungo sognato, mentre per gli italiani si assisterebbe alla conseguente perdita di autonomia nazionale su uno dei beni fondanti della stessa identità della popolazione italiana. Dall’altro questa svendita significa Il totale stravolgimento della stessa Costituzione che il nostro popolo era riuscito a darsi per promuovere la sua dignità e il suo futuro.
Nel complesso dunque questa svendita (perché le modalità sarebbero quelle delle vendite agevolate e senza limitazioni o garanzie di salvaguardia del bene alienato) impoverirebbe la popolazione , che perderebbe per sempre il suo bene originario e che riceverebbe solo le briciole dell’ ”affare”, mentre il ricavato andrebbe a finanziare il pacchetto delle grandi opere sostenute dal decreto stesso. Così oltre il danno, la beffa! O il raddoppio del danno.
Vi sono poi tutta una serie di notazioni umilianti, per gli Enti e le popolazioni costretti a vendere, quali “il premio in percentuale” per quei comuni che svendono rapidamente, ovvero la procedura per la quale il privato acquirente può essere lui a decidere cosa e quando un bene è in vendita, come ad un mercato di animali, o di schiavi. Queste “finezze” sono probabilmente della penna del ministro Lupi, che del resto in parallelo sta preparando una legge urbanistica di totale deregulation che dire permissiva e neoliberista è già un complimento. La combinazione del decreto con la legge Lupi, determineranno una “licenza di uccidere e di cacciare” sul territorio che sarà senza limiti.
Se poi si fa un’ultima correlazione con il cosi detto sblocco della burocrazia, dove per “burocrazia” si devono intendere anche tutte le misure di garanzia territoriale, dalle attività di controllo della sovrintendenza, a quelle delle autorità geologiche ed idrauliche, alla gestione della V.I.A, a quelle di tipo partecipativo, ecco che il quadro dell’affossamento del territorio italiano e quello del rapporto con i suoi abitanti è sempre più evidente.
Ma come abbiamo detto le conseguenze di un tale arrogante diktat investono il quadro costituzionale stesso (art, 41, 42, 9…), tanto da risultare incostituzionali, o peggio, tali da pretendere di introdurre, di fatto, variazioni costituzionali sostanziali con normative di legge ordinarie, e con la conseguente e oppressiva prassi quotidiana stessa. Questo subdolo costume berluscon-renziano non può essere tollerato.
Ma nell’estate del 2014, in parallelo ed in contrapposizione a queste terrificanti decisioni, circolava per l’ Italia una cultura di innovazione e di rinascita a partire proprio dall’approfondimento e la rilettura di quelli stessi articoli della Costituzione, portata avanti in particolare dal prof. Maddalena, con il suo libro Il territorio bene comune degli italiani. Qui, lavorando su questi temi e confrontandosi con i movimenti attivi e “formicolanti” sul territorio nasce una prospettiva di vasto respiro che si alimenta e che al tempo stesso vitalizza il territorio italiano e quindi la sua natura, il suo paesaggio, la sua storia e il suo futuro proprio sulla base del suo riconoscimento di “Bene Comune” divenuto realtà.
Dunque due visioni contrapposte, una di dissoluzione totale e di frammentazione parcellizzata e svenduta, ed una di ricomposizione in progress, verso una consapevolezza e verso un uso organico e vitale di una ricchezza comune e condivisa.
Certamente il territorio italiano, nei prossimi tempi, non rimarrà comunque immobile, ed anche i suoi abitanti cambieranno rapidamente i loro comportamenti e le loro azioni. Credo che sia indispensabile attivare allora quante più esperienze di riuso del bene comune territoriale siano possibili, proprio andando a cogliere in ogni luogo tutte le possibili relazioni ecologiche ed economiche positive tra persone e luoghi stessi, opponendosi ad ogni alienazione, cercando nella prassi quotidiana la costruzione di Beni Comuni concreti ed evolutivi, con una grande ricchezza di creatività e di innovazioni, mentali e pratiche. Già numerose esperienze (per esempio Mondeggi) con diversi livelli di consapevolezza e di sperimentazione, sono in corso, insieme ad un movimento generale di rivendicazione della costituzionalità del territorio inteso come Bene Comune, che forse potrebbe a scala nazionale, anche esprimersi e dare luogo ad un Referendum Popolare, come lo stesso Maddalena spesso suggerisce.
Giorgio Pizziolo
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