Alle pendici della collina di Boboli, nel complesso di quelle che furono un tempo le scuderie di Palazzo Pitti, ha sede il Liceo artistico statale di Porta Romana, meglio conosciuto nella città di Firenze e nel mondo, come Istituto d’Arte di Porta Romana.
La scuola nacque nel 1869 nella zona di Santa Croce per formare artigiani del legno e trasformarsi nel 1880 in scuola di Arti decorative e Industriali. Dall’inizio degli anni Venti del Novecento, a seguito del trasferimento nel prestigioso edificio che tuttora occupa, la scuola iniziò a vivere una stagione di vivace e intenso sviluppo che la vide primeggiare nel campo della formazione di artigiani di primario livello nonché di artisti e stilisti.
Dalle sue aule, in molti casi prima come studenti e poi come insegnanti, sono passate personalità quali Galileo Chini, Libero Andreotti, Giovanni Michelucci, Ottone Rosai, Armando Spadini, Marcello Guasti, Sandro Chia, Gino Coppedè, Enrico Coveri, Franco Zeffirelli. Senza tralasciare che lì si sono formati tutti quegli artigiani intelligenti e colti che hanno raccolto nel secolo passato l’eredità del nostro Rinascimento, quando Michelangelo esaltava “la man che obbedisce all’intelletto” e un sovrano come Francesco I di Francia ordinava la saliera per il suo tavolo a Benvenuto Cellini. Insomma, quando era a tutti chiaro che si pensa anche con le mani e fra arte e artigianato non esisteva che una labile linea di confine.
Oggi l’ex Istituto d’Arte, divenuto Liceo Artistico per volere di una delle tante riforme che hanno prostrato la nostra scuola, ha perso il senso del suo stare all’interno del sistema produttivo e la capacità di alimentarlo, in una città dove i “prodotti tipici” sono tutti made in China. Perse o sminuite molte attività di laboratorio, passate mediamente da 8 a 2 ore settimanali, si sono sviluppati gli insegnamenti teorici che nella loro genericità si affiancano come inutili repliche impoverite a quelli dei licei classici e scientifici.
Del resto, nel circolo vizioso che si è creato fra scuola e società, vengono meno ogni anno gli artigiani in grado di insegnare le materie pratiche tradizionali, come la formatura in gesso, tramite cui era possibile realizzare copie di sculture famose dai calchi presenti nella ricchissima Gipsoteca storica. E di fatto la Gipsoteca non esiste più, perché dopo essere stata quasi interamente svuotata circa 15 anni fa per lavori di ristrutturazione, non è mai stata riallestita e serve ora come spazio da dare in concessione per serate ed eventi privati, mentre delle forme in negativo indispensabili per fare copie sembra si sia persa la traccia, salvo un gruppo che è stato consegnato all’Accademia di Belle Arti.
Forse (e chi di competenza dovrebbe dircelo) sono in un deposito, insieme ad altro materiale ugualmente non rintracciabile, come le scenografie fatte dall’Istituto per il Maggio Fiorentino, che qualche solerte funzionario deve aver valutato di nessun interesse. Invece un interesse c’era, perché L’Istituto d’Arte era in grado di realizzare in proprio, grazie al possesso delle sue forme in negativo alcune addirittura ottocentesche, anche le costose copie del David di Michelangelo, di cui non raramente fanno richiesta soprattutto i ricchi signori dei paesi arabi e degli Stati Uniti.
Infine, nemmeno dobbiamo preoccuparci che i laboratori con i loro strumenti e apparecchi quasi altrove introvabili vengano lasciati in un improduttivo abbandono, dato che per tenerli in attività si affittano regolarmente alla Scuola d’Arte Sacra, istituto dell’Opus Dei, inaugurato alla presenza del Cardinale Betori da Matteo Renzi il 31 maggio 2013 e con la partecipazione economica dell’Ente Cassa. Quindi, tranquilli: tout se tient!
*Franca Falletti, funzionaria della Soprintendenza, ha diretto la Galleria dell’Accademia