Il governo dell’uomo indebitato

Lo scaffale del debito (6)

Il debito appartiene a una mnemotecnica che contribuisce alla costruzione di una (cattiva) coscienza e di una colpevolezza, condizioni soggettive per mantenere la promessa collettiva del rimborso che i debiti contratti dallo stato implicitamente contengono. Così, lo stato, i governi tecnici e i media devono investire un’energia considerevole per colpevolizzare le popolazioni europee di un debito che non hanno mai contratto e di errori che non hanno mai commesso. L’imperversare di leggi, discorsi, testi, parole è direttamente proporzionale all’estensione di questa impostura. (p. 33)

lazzarato2Avevamo iniziato con un testo di Lazzarato e terminiamo lo “scaffale del debito” con un altro suo lavoro, questa volta invece della “Fabbrica dell’uomo indebitato” (qui la recensione) abbiamo “Il governo dell’uomo indebitato” entrambi con il medesimo sottotitolo e cioè: “Saggio sulla condizione neoliberista”. Se nel primo testo Lazzarato metteva a punto un’interpretazione del debito quale apparato di assoggettamento e espressione del capitalismo neoliberista, qui riesce ad affinare i suoi strumenti interpretativi mettendo a punto un recupero del pensiero di Deleuze e Guattari e dei loro strumenti sintattici applicandoli ai tempi attuali riletti secondo le intuizioni del Foucault dei seminari sulla biopolitica. Di quest’ultimo viene ripresa la distinzione tra società disciplinari e società securitarie o di controllo. Le prime sono quelle che fanno riferimento a luoghi di ritenzione (famiglia, scuola, caserma, fabbrica, manicomio, carcere), delle quali potremmo dire che generano forme di asservimento, le seconde operano interagendo con il soggetto usando anche le nostre rappresentazioni, la nostra psicologia, la nostra coscienza, l’interiorità stessa. Esse generano dunque forme di assoggettamento, un loro tipico prodotto è l’uomo imprenditore di se stesso che non è altro che uno zombie essendo ormai calato completamente nella parte dell’uomo indebitato. La società di controllo subentra a quella disciplinare alle fine degli anni 70 del secolo scorso.

I concetti ripresi da Deleuze e Guattari sono quelli di apparato di cattura, territorializzazione e suo contrario (deterritorializzazione), macchinico, flusso, che permettono di leggere una serie di eventi come concatenazioni riferibili a macchine dalle più semplici alle più complesse come quelle programmabili che generano risposte automaticamente. Una di queste è la macchina finanziaria che macina dati in input e, tramite algoritmi sempre più complicati dà risposte in uscita nella totale assenza di qualsiasi controllo umano se non quello della programmazione iniziale. Ci troviamo di fronte semplicemente ad algoritmi dettati da un credo neoliberista che predica la capacità di autoregolamentazione del mercato e che eseguono migliaia di transazioni in frazioni di tempo non percepibili dagli esseri umani.

Gli apparati di cattura corrispondono invece a paradigmi attraverso i quali è possibile interpretare il funzionamento e l’interazione di istituzioni caratteristiche e specifiche. Alla triade proposta da Carl Schmitt (appropriazione, divisione e produzione) l’autore fa corrispondere quest’altra: profitto, rendita e imposta, operazione che consente di svelare e ripensare i ruoli reciproci e nuove correlazioni tra politica, stato e mercato. Dove la politica che il pensiero “borghese” vorrebbe descriverci come il luogo caratteristico di un “vivere insieme” o come un “mondo comune” si mostra essere segnata da una appropriazione e una divisione originali e fondamentali, ma che hanno – secondo noi – un effetto particolarmente iniquo a partire dalla rivoluzione industriale. In questo ambito è così possibile leggere lo stato sociale come un elemento di redistribuzione e pacificazione, mentre in realtà esso è stato espressione di una specie di “guerra civile” che il dispositivo del debito (la scusa della sua esistenza) ha aggravato permettendo ad esempio, se non la semplice distruzione del welfare, la sua quasi completa privatizzazione. Lo stato sociale dovrebbe essere il luogo precipuo della distribuzione, della redistribuzione, ma è diventato il terreno del conflitto tra le varie classi sociali dove si determina a «chi prendere e a chi dare» (p. 44).

Il terzo capitolo mostra le dinamiche del debito in USA dove ci si indebita per studiare e si lazzarato-in personausa una carta di credito per pagare il debito fatto con un’altra. Qui, più che il senso di colpa, funziona un meccanismo di iscrizione al debito che sembra essere ineluttabile e che circuisce ogni abitante di quella nazione partendo dall’istruzione per proseguire tramite la sanità e la casa. Ora, indagando i meccanismi, i passaggi e le interazioni tra funzioni e elementi caratteristici dell’ambito economico o ad esso limitrofi, si possono evidenziare o mettere in discussione le chiavi di lettura dei rapporti che si instaurano tra i vari contesti vedendo che la chiave neoliberista che pensa il mercato come agente autosufficiente e auto regolante è quella che meno regge a questo tipo di verifiche. Positivo comunque nell’autore l’atteggiamento a tenere aperto e attento lo sguardo nel poter intravedere soluzioni o possibilità per strutturazioni con effetti più egualitari. Se una forma di pensiero non ha visto spesso le relazioni possibili tra i vari contesti o ne ha travisato l’ordine e le gerarchie reciproche, questo diviene spesso il terreno dove il pensiero di Lazzarato trova la sua dimensione più utile. Riporto a questo proposito un solo esempio, quello relativo alla problematizzazione del rapporto tra capitale e società che soltanto tra gli anni sessanta e i settanta riesce ad essere preso in considerazione da una parte minoritaria dell’operaismo italiano, ma che costituisce ad oggi una delle riflessioni e analisi tra le più utilizzabili.

L’attenzione agli aspetti della governamentalità, che è il modo dell’organizzazione sociale del capitalismo attuale, svela la mancanza di riferimenti e la volatilità del concetto stesso di moneta, che è sempre più riconoscibile soltanto come moneta capitale, ovvero come moneta credito, come moneta debito. Se la moneta intesa come strumento di pagamento esprime un semplice potere d’acquisto, la moneta credito esercita un potere di comando sul lavoro e sulla società.

L’ultima parte – prima delle conclusioni – riprende con efficacia la terminologia biopolitica compendiata da quella di Deleuze e Guattari, mettendo anche al centro dell’attenzione gli aspetti semiotici dell’operare capitalistico. Interessante capire come il capitale nel muovere e determinare i flussi finanziari opera su sistemi a-significanti. Un algoritmo non è significante, non rimanda né ad un’idea né a una cosa, ma ha comunque un potere di operare che provoca “traduzioni” con esiti rilevanti e non imparziali.

Un ulteriore contributo per l’interpretazione e lo svelamento dei modi di controllo e di assoggettamento che sta mettendo in atto il capitale e che permette realmente un controllo sui corpi al di là e non solo dell’ambito genetico, è quello che proviene dalle riflessioni di Beatriz Preciado:

Il capitalismo farmaco-pornografico è una buona immagine di cosa sia una macchina sociale di valorizzazione e di produzione di soggettività. Beatriz Preciado delinea “un’economia tossico-pornografica complessiva all’interno della quale circolano organi, pillole, città, connessioni in comunicazione, immagini, testi, seghe, litri di silicone, composti chimici, dollari”, nella quale umani e non umani, macchine tecniche e oggetti, individui e reti si concatenano al di là del paradigma soggetto/oggetto. (p. 165, nota 29)

Beatriz Preciado ha individuato i meccanismi che creano il genere, ma questi meccanismi sono gli stessi o sono parenti di quelli che creano il soggetto o, dell’essere il soggetto, oggetto di manipolazione da parte dei modi di essere attuali del capitale.

Le conclusioni che ancora una volta tentano di essere anche delle vie di uscita, ruotano intorno al concetto di “rifiuto del lavoro” a partire cioè da una possibilità che è quella nella quale gli operai si confrontano e si riconoscono non nel tempo lavorato che li ruolizza ed isola, ma nel tempo liberato, il tempo stesso dello sciopero che ha valore di lotta la cui efficacia non sta dunque e non solo nella capacità di bloccare la valorizzazione del capitale, ma anche di renderli “uguali” (p. 206). Soltanto all’interno del modo di produzione capitalista ogni aumento di produttività viene convogliata nell’aumento dell’accumulo e mai utilizzata per liberare del tempo. Si ha così che soltanto le generazioni che hanno avuto la sfortuna di nascere sotto il capitale abbiano sacrificato più tempo al lavoro di qualunque altra.

Quasi si volesse mettere al centro il soggetto per liberarsi dall’assoggettamento che il capitale – tramite il dispositivo del debito – ha messo in atto.

*Gilberto Pierazzuoli, scrittore, attivo in perUnaltracittà

 

 

Maurizio Lazzarato, Il governo dell’uomo indebitato – Saggio sulla condizione neoliberista, DeriveApprodi, Roma 2013. Pagine 214 – € 13.00.

A questi link le altre recensioni:

https://www.perunaltracitta.org/2015/09/19/lo-scaffale-del-debito5-debito-e-colpa/

https://www.perunaltracitta.org/2015/09/04/3870/

https://www.perunaltracitta.org/2015/07/02/lo-scaffale-del-debito-3/

https://www.perunaltracitta.org/2015/06/22/lo-scaffale-del-debito-2/

https://www.perunaltracitta.org/2015/06/06/la-fabbrica-delluomo-indebitato/