Intervista di Franca Falletti a Mirella Branca.
Si è tornati a parlare recentemente, in più occasioni, della Stazione di Santa Maria Novella a Firenze e degli interventi a cui è stata sottoposta nell’ultimo decennio, dalla collocazione dell’affresco di Talani nel lontano 2006 alla recentissima apertura di un Tapas bar negli storici ambienti della Palazzina Reale. Chiediamo a Mirella Branca, funzionaria della Soprintendenza coinvolta all’epoca nella tutela dell’edificio, di fare con noi il punto sugli aspetti di maggiore criticità e darci un suo parere, partendo proprio dalla ingiustificata e incongrua permanenza dell’opera di Talani nel grande spazio di accesso ai binari.
A distanza di quasi dieci anni, siamo sempre qui a discutere dell’affresco di Talani alla Stazione di Santa Maria Novella, che era stato autorizzato dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici come installazione temporanea nel 2006, inizialmente per un periodo di 6 mesi, e che è ancora lì, di proroga in proroga. A quell’epoca, nella mia qualifica di funzionaria storica dell’arte responsabile per la Soprintendenza, affiancavo i colleghi architetti nella tutela dell’edificio. Mi sono fieramente opposta a quest’installazione, lasciando anche agli atti una memoria scritta in questo senso, sottolineando come si trattasse di una grave offesa all’architettura. I motivi sono fin troppo ovvi e prescindono da un giudizio sull’opera di Talani: intrusione nelle pareti murarie studiate sin nei minimi dettagli, con specifiche indicazioni degli spazi destinati alle decorazioni murali; perdita di simmetria rispetto alla parete sul lato opposto, anch’essa con inserito un orologio. Penso che nessuno abbia dubbi sul carattere provvisorio di questa installazione e a nessun Soprintendente sarebbe venuto in mente di considerarla definitiva. La Soprintendenza ha dato nel 2014 un’autorizzazione tecnica allo spostamento dell’affresco nel nuovo vano scala di collegamento tra la Galleria di testa e il nuovo Centro commerciale nel sottosuolo. Si parla anche di un’altra ipotesi prospettata dal Comune di collocazione all’interno del Museo del Novecento. Comunque, anche rispetto alla data di autorizzazione allo spostamento sono passati quasi due anni. E’ arrivato il momento di dire basta a una ferita che per dieci anni è stata inferta all’edificio. Un’opera d’arte, in questo caso l’opera di architettura per eccellenza rappresentativa del Novecento a Firenze, è fatta anche di una sua dignità intrinseca che deve essere rispettata. Intendo dire che quella porzione di muro con l’orologio la vogliamo vedere libera noi, non i nostri nipoti. È passato fin troppo tempo. Ora basta.
Tu dici di esserti “fieramente opposta” a questa iniziativa, il che mi fa ricordare che tutta l’operazione fu alle sue origini spinta da Vittorio Sgarbi altrettanto fieramente” ma direi con esiti diversi dai tuoi, avendo il nostro ex funzionario i suoi buoni agganci politici. Insomma questo io personalmente lo considero un altro caso di prevaricazione della politica sulle scelte dei tecnici. Ma tornando a noi, si potrebbe obbiettare che la stazione è una struttura viva e funzionante, perciò anche la tutela deve, o comunque può, prendere in considerazione eventuali cambiamenti, magari sulla spinta del mutare dei tempi e delle modalità di utilizzo degli spazi. Come consideri il problema della tutela di un monumento così particolare?
Per l’esperienza che ho avuto di tanti anni nella tutela della stazione, soprattutto nel periodo immediatamente successivo al vincolo, che è del 3 aprile 1992, è difficilissimo tutelare la stazione. È una sfida continua. Con Riccardo Dalla Negra, architetto della Soprintendenza, facevamo molti sopralluoghi e mandavamo fotografi quasi a ritmo quotidiano, con ingiunzioni a rimuovere anche casette svizzere cresciute in una notte a scopi pubblicitari, ben consapevoli di andare anche un po’ al di là delle nostre strette competenze. Poco dopo il vincolo, abbiamo portato il direttore compartimentale di allora, l’ingegner Paolo Berti, dentro il salone biglietteria, nel quale si prevedeva la realizzazione di un monumentale scalone autorizzato nell’ambito dei lavori di “Italia ’90”. Gli abbiamo detto: Lo vede come è bello. Ma non possiamo proprio trovare un’altra soluzione? La soluzione è stata trovata e il salone oggi è lì, ancora intatto. A volte, con il buon senso e la disponibilità, si possono trovare ragionevoli alternative. La stazione è ancora in vita come tale, con i treni ad alta velocità, con pressanti esigenze commerciali, con aspetti pubblicitari del tutto trasformati. Ma la stazione è o è stata prima di tutto il frutto di un progetto sistematico coerente, razionale, perfetto nell’integrazione dei vari elementi. Dobbiamo rendere compatibili queste inevitabili trasformazioni con la necessità di permettere alle nuove generazioni di capire come è stata pensata.
E in quanto alla valorizzazione, pensi che sia possibile progettare qualcosa di più interessante che non un Tapas bar, oppure il suo essere un non-luogo attraversato in tutta fretta impedisce di metterne in luce la coerenza progettuale?
È vero che le persone alla stazione sono solo in transito, concentrate su orari e ritardi. Ma ho visto viaggiatori fermarsi a osservare, trascinandosi dietro il loro trolley, le foto d’epoca esposte quest’anno nelle bacheche originali di collegamento tra l’attuale libreria e il salone biglietteria. Forse non tutti sanno che la gran parte degli arredi è andata perduta, ma parecchio è ancora rimasto: mobili e suppellettili inseriti in fasi successive al vincolo del 1992. Anche semplici mobili da ufficio vincolati uno per ogni esemplare, tutti appartenenti al progetto originario. Perché quindi non possiamo pensare a più spazi di esposizione e di documentazione interattiva tali da fare intendere il senso storico del luogo? Uno di questi potrebbe essere l’ambiente destinato un tempo a saletta di attesa per la prima classe, che ha ancora alle pareti i pannelli lignei e le foto originali e che, dopo aver cambiato negli anni molte destinazioni, è attualmente chiuso. Il fatto che siamo di fronte a una stazione ancora in uso potrebbe rappresentare un impulso in più per ripartire in altro modo sulla sua valorizzazione. È qui in effetti il vero museo del Novecento a Firenze e merita di fare anche uno sforzo creativo per ripensarlo, a ottant’anni dalla sua inaugurazione, il 30 ottobre 1935. Si potrebbe poi, nell’ambito della questione del contemporaneo a Firenze, auspicare il ritorno al clima di aperto dibattito che ha caratterizzato la città almeno fino a tutti gli anni Settanta, lavorare per porre nuove basi in questo senso. Di conseguenza, proposte di nomi e di opere per installazioni temporanee scaturirebbero da un panorama dinamico in questa direzione, nel confronto con la Storia.
Mirella Branca, studiosa di questioni novecentesche, ha svolto per anni nelle Soprintendenze fiorentine, come storica dell’arte, una vasta attività di tutela e di valorizzazione del patrimonio architettonico e storico artistico del Novecento a Firenze, in base a una specifica competenza in questo settore attestata anche da un’ampia attività saggistica a carattere scientifico. In questo ambito, ha promosso e curato mostre e convegni di impronta sia storico artistica che letteraria.
Franca Falletti
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