Da quando con Beatrice in quel 1996 andai ad abitare al numero 2 di Borgo San Frediano passarono poche settimane per trovare attaccato sui muri delle strade d’Oltrarno il volantino col volto di un bel ragazzo: c’era scritto a grandi lettere “Potente”. Quello era il nome di battaglia di Aligi Barducci, comandante delle brigate che dalle montagne scesero a liberare Firenze dal nazi-fascismo. In cima al volantino c’era la dizione “ANPI Oltrarno – via Sant’Agostino”. Una via che si trovava proprio vicino casa: bastava attraversare Piazza del Carmine, prendere via Santa Monaca, tagliare via dei Serragli e ci si trovava lì, alla sede.
Con Beatrice avevamo già messo in scena uno spettacolo sulla Resistenza intitolato “Da parte a parte”; io con quello che avevo imparato dalla mia laurea in Storia, lei per aver letto e ascoltato un sacco di libri e racconti di quelle vicende fiorentine, tenute poi sempre accese nella sua prodigiosa memoria.
Dal momento in cui varcammo la soglia della sede ANPI di Oltrarno sentimmo però di essere accolti in una specie di nuova famiglia: non erano libri e racconti, ma le persone che avevano vissuto quegli eventi, gli amici e i compagni di quei personaggi che rappresentavano la nostra mitologia civile, ed in particolare due di questi, che campeggiavano con le loro foto incorniciate sulle pareti: Aligi Barducci e Bruno Fanciullacci. Quest’ultimo era stato il capo dei GAP, i gruppi di partigiani che operavano in città. Due giovani di quel quartiere, quelle strade, quelle piazze, due ragazzi cresciuti insieme a quelle persone attempate che lì intorno ad un tavolo cominciarono a raccontarci chi erano e che cosa avevano fatto insieme.
Il presidente della sezione era Enio Sardelli, un signore gentilissimo, delicato, modesto, molto intelligente e di quella simpatia dalla battuta lesta tipica dei quartieri popolari fiorentini.
Dopo circa un anno di racconti e letture, scrissi un testo in forma di poema popolare su Aligi Barducci intitolato “Potente – storia di una gioventù preziosa”, che mettemmo in scena ogni anno l’8 agosto in piazza Santo Spirito nel luogo e nel giorno in cui fu ferito a morte il comandante, e anche in altri luoghi; e ricordo ancora con particolare commozione quando alla fine di uno spettacolo per primo si alzò in piedi ad applaudire Angiolo Gracci, il comandante “Gracco”, che vide morire al suo fianco Potente e prese il suo posto come comandante di tutte le brigate partigiane.
L’altra data da tenere in vita in Oltrarno era il 17 luglio 1944: per una tragica coincidenza fu il giorno della strage di Piazza Tasso nella quale i fascisti spararono sulla gente che prendeva il fresco e uccisero cinque persone, fra le quali un bambino di 8 anni, Ugo Poli, ma fu anche il giorno della cruenta morte di Bruno Fanciullacci, il giovane cresciuto in quelle stesse strade.
Decidemmo con l’ANPI di fare un film anche su questa storia e cominciai le ricerche, andando a visionare tutti i documenti reperibili all’Istituto Storico della Resistenza, a quell’epoca diretto da Ivano Tognarini, ma presso il quale trovai un appassionato aiuto da Maria Giovanna Bencistà, che teneva a quelle preziose carte più che se fossero stati i gioielli di famiglia, felice di poterle illustrare e condividere con chiunque volesse tenerle in vita.
Oltre ai documenti d’archivio e ai testi, riuscìi a sentire una numerosa quantità di voci di persone di quel quartiere che avevano vissuto in maniera diretta l’evento della strage. Nel 2002 fu completato il film “Firenze 17 luglio ’44”.
[disponibile su YouYube, l’articolo prosegue dopo il video]
Solo dopo la visione del film però, e la comparsa di altri protagonisti delle vicende di quegli anni che avevano assistito alla proiezione, mi resi conto di una verità che riguardava la profonda storia dell’antifascismo fiorentino: tutte le strade portavano al Conventino.
Decisi dunque di andare visitarlo, lo filmai, e a quell’epoca (primi anni del 2000) era ancora in parte vivo come lo era stato nel corso del novecento. Da Piazza Tasso basta attraversare il Viale Francesco Petrarca, prendere per la salita di via Villani, e tra questa e via Giano della Bella si trova il Conventino.
Cos’era il Conventino? Era la punta di diamante dell’Oltrarno, come una sublimazione delle migliori energie creative e sociali delle antiche arti e dell’artigianato di quel quartiere, racchiuso proprio nel luogo un po’ più alto, all’inizio della collina di Bellosguardo e appena a ridosso delle antiche mura cittadine che in quel tratto si dipartono da Porta Romana. È un edificio ricavato da un’ala del Monastero di Santa Teresa, dell’ordine di clausura delle Carmelitane Scalze (che è anche l’ultimo complesso monastico edificato a Firenze). Suddiviso in numerose stanze, in ognuna lavoravano uno o più maestri artigiani dell’Oltrarno: scultori, pittori, corniciai, falegnami, intarsiatori, verniciatori, decoratori, alabastrai, e via dicendo. Ed ancora ne trovai alcuni, sommersi da impressionanti statue e sculture di varie fogge.
Fu grazie a quell’appartata vicinanza col quartiere, proprio a partire dagli anni ’25-’26 del ‘900, che andò consolidandosi il nucleo di un multiforme ed animatissimo antifascismo della prima fino all’ultima ora, che univa il popolare al colto, i pennelli ai libri proibiti, il martello alle riviste vietate, lo scalpello ai volantini clandestini.
È nelle stanze del Conventino che in quegli anni si poteva trovare il foglio illegale “Non mollare”, diretto da Carlo e Nello Rosselli, Nello Traquandi e Dino Vannucci, fino ad arrivare ai giorni dove circolavano tra le mani di quegli artigiani gli scritti di “Giustizia e Libertà”.
È nelle stanze del Conventino che scolpiva in marmo le sue copie di autori classici e contemporanei Gino Varlecchi, anarchico e socialista, padre spirituale e politico del giovane Aligi Barducci, che lì passava i pomeriggi e le sere, insieme al suo coetaneo amico Marcello Frullini, figlio del falegname che sempre lì aveva la sua bottega. E furono proprio Gino e la moglie Emirene che scrissero la più bella e importante biografia di Potente, dove si trovano anche le lettere che Aligi inviava dall’Africa (dov’era stato inviato per il servizio militare) a Marcello, nelle quali dialogano animatamente di filosofia e di politica. Furono Gino e gli altri artigiani a diffondere tra i giovani frequentatori del Conventino i libri di Marx, Nietzsche, Dostoevskij, Cechov, Tolstoj, Darwin, Bakunin, London, Gorki, Baudelaire, Montale, ed altri. Così come era Gino che accompagnava i ragazzi a visitare i musei della città di Firenze, dove i grandi geni del Rinascimento potevano essere visti ed ascoltati attraverso la voce di quella strana guida turistica che sapeva come tenere in mano gli attrezzi del mestiere.
E sempre nelle stanze del Conventino si potevano vedere all’opera artisti del calibro di Venturino Venturi o Pietro Annigoni, così come altri che avevano legami diretti con l’Istituto d’Arte di Porta Romana o l’Accademia di Belle Arti.
È nelle stanze del Conventino che lavorava l’alabastraio Cantini, nonno di Oriana Fallaci, e anche il padre Edoardo e lo zio Ferdinando, intagliatori del legno, tutti ferventi ed attivissimi antifascisti, tra i quali ha vissuto la propria infanzia quella bambina che sarebbe divenuta una celebre scrittrice.
Il Conventino era il luogo del lavoro e dell’educazione artistica unita all’educazione civile e politica, dell’incontro fra bassa e alta cultura, fra lavoro manuale e intellettuale, che si faceva giorno dopo giorno, rischiando tutto, protetti dal silenzio dell’allora amministratore Dott. Enrico Dani, un liberale che fu poi il rappresentante del suo partito nel Comitato di Liberazione Nazionale fiorentino.
In questi giorni è apparso un annuncio del Comune di Firenze che mette all’asta il “Nuovo Conventino”, una struttura costruita negli anni ’80 che è adiacente al “Vecchio Conventino” e che come dice il testo stesso ha una “medesima destinazione d’uso artigianale”. La destinazione d’uso indicata dal Comune di Firenze invece è residenziale, ossia appartamenti. Così il nuovo viene snaturato in residenze e della parte vecchia non si hanno notizie significative. Qual è la progettualità politica del Comune rispetto a questo luogo di memoria e lavoro di Firenze?
Quante commemorazioni e discorsi sulla “Memoria” ho sentito negli anni, quanto pathos retorico ho udito effondersi da sopra i palchi, quanti buoni propositi sui luoghi e i momenti storici da far rivivere per i nostri giovani. E quanti altri discorsi sulla rivalorizzazione dell’artigianato fiorentino, sulla sua tradizione conosciuta in tutto il mondo, sulle straordinarie capacità dei maestri dell’Oltrarno da promuovere in Italia e all’estero.
Con un eventuale abbandono del Conventino si attuerebbe in un sol colpo l’azzeramento degli spazi vitali della memoria e del lavoro, ovvero quelli che sono fatti di pietre, strade, piazze, strumenti, operai, maestri, persone, voci, suoni, odori: quelli che rendono una città differente dalle altre e unica tra tutte le altre. Non in tutti gli spazi può ricrescere la memoria e la vita – anzi – quasi sempre sono legate ad un luogo preciso. Come nel caso del Conventino.
*Daniele Lamuraglia, scrittore, attore e regista
Daniele Lamuraglia
Scrittore, attore e regista. Ha scritto e messo in scena opere di teatro contemporaneo, collaborando con Antonio Tabucchi per Cristo Gitano (2002), con Alessandro Serpieri per Shakespeare Messages System (2003). Ha realizzato due film, Firenze 17 luglio 1944 (2003) e Il piccolo grande senso del dovere (2010). Ha pubblicato Il Libro di Cristo Gitano per Pagnini Editore con la prefazione di Antonio Tabucchi (2005); I 100 geni che hanno cambiato il mondo per Mondadori (2010); Opere teatrali per A&B Editrice con la prefazione di Alessandro Serpieri (2011); un saggio sul teatro in Differences on Stage pubblicato da Cambridge Scholars Publishing (2013). Ha scritto la Prefazione a La liberazione di Firenze, di Giovanni Frullini, Pagnini Editore (2006). Ha scritto articoli per riviste di comunicazione e cultura, come Quaderno di comunicazione, Millepiani Eterotopia, Q Code Magazine.
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