L’8 dicembre ormai non è più una festa religiosa: è invece la giornata che apre il mese dello shopping natalizio prima e dei saldi poi.
Per una grande fetta dei lavoratori è l’apertura del periodo più duro dell’anno: chi lavora nel commercio, infatti, è messo a dura prova, con turni che prevedono il lavoro forzato nelle festività, il lavoro notturno e la rinuncia ai riposi, effetti del Decreto “Salva Italia” di Monti che ha di fatto liberalizzato gli orari di apertura degli esercizi commerciali.
L’USB porta avanti da tempo una campagna di sensibilizzazione su questo aspetto che influisce sulla vita privata di migliaia di lavoratori: il 1 maggio scorso la mobilitazione interessò Zara, l’8 dicembre sarà la volta di Ikea.
E non solo perchè Ikea chiude i propri negozi pochissimi giorni l’anno, ma anche perchè – nonostante cerchi in tutti i modi di costruirsi un aspetto lontano da quello di multinazionale senza scrupoli (dalle pubblicità progresso alle campagne di sensibilizzazione sull’ecologia) e nonostante sia una multinazionale svedese (chi non sogna le sei ore di lavoro che da qualche tempo sono legge in Svezia?) – nei fatti il colosso dell’arredamento mondiale non è proprio così corretto.
Ikea fa un uso considerevole di appalti a cooperative e nel corso degli anni i lavoratori di cooperativa hanno sempre più svolto mansioni che prima erano affidate ai lavoratori assunti direttamente da Ikea: dove ci sono lavoratori in appalto, ci sono luoghi di lavoro condivisi da persone che non hanno pari diritti e pari trattamento economico. Cosa che i sindacati di base contestano da sempre all’azienda, che l’8 ottobre scorso ha risposto licenziando due RSU del negozio di Carugate (Milano), rei di aver procurato pubblicità negativa con l’organizzazione di un un presidio in solidarietà dei lavoratori delle cooperative alle prese con un cambio di appalto particolarmente penalizzante. Un provvedimento che ha le tinte di una vera e propria ritorsione.
Ma questo non è l’unico caso in cui Ikea ha dimostrato di portare avanti una politica anti sindacale: a Roma non ha permesso lo svolgersi della manifestazione dell’8 dicembre fuori i propri negozi. Ma – fatto ancor più grave – in occasione dello sciopero del 21 ottobre scorso ha recapitato una lettera di contestazione ad una dipendente che aveva aderito alla manifestazione. Lettera che è stata revocata dopo poche ore, e dopo le proteste del sindacato, senza scuse né spiegazioni del gesto.
Ikea aderisce a Federdistribuzione, che rappresenta le aziende della GDO [grande distribuzione organizzata] italiana. Nel 2014 Federdistribuzione è uscita da Confcommercio e da allora non ha ancora un contratto nazionale di riferimento. Ikea, in attesa di questo nuovo contratto, applica ai propri dipendenti il contratto nazionale del commercio bloccato al 2011. Quindi i suoi dipendenti non hanno diritto agli aumenti contrattuali previsti dai successivi rinnovi.
Eppure non si può neanche pensare che Ikea attenda in maniera passiva le scelte di Federdistribuzione, visto che ne è parte attiva e un suo rappresentante siede nel Comitato esecutivo.
Diversi lavoratori del negozio Ikea di Sesto Fiorentino hanno intrapreso una vertenza sindacale e sperano non solo di veder riconosciuti gli aumenti contrattuali negati finora, ma anche di diventare una causa pilota, per lo sblocco dei contratti di tutti i loro colleghi della penisola.
Non pochi, insomma, i motivi che hanno spinto l’USB a scegliere proprio l’Ikea come obiettivo per continuare la sensibilizzazione sul mondo del contratto del commercio.
‘A Roma, dove confluiranno anche i lavoratori di Firenze, è stato impedito di manifestare davanti ai punti vendita IKEA ma porteremo la protesta nel cuore del commercio cittadino, per raggiungere largo Goldoni.’ spiega Francesco Iacovone, dell’USB Lavoro Privato ‘Sarà un 8 dicembre di lotta, contro questo modello di commercio che svende la vita di milioni di uomini e di donne sull’altare del profitto’.
*Erica Massa
Erica Massa
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ogni ikea fatturerà dai 200mila ai 600mila euro italiani al giorno.
Questi soldi italiani vanno a finire in svezia e con le loro leggi non ne pagano manco le tasse.
Tra l’altro taglia gli stipendi, costringe ad orari e turnazioni assurde, cambia di ruolo i dipendenti (cosi tutti fanno tutto e nessuno e indispensabile), usano il lavoro gratuito di staggisti, usano ditte in appalto riducendo al minimo i costi e strizzando all’inverosimile chi ci lavora.
Non permettono lo sciopero e fanno del mobbing quotidianità.
Benvenuti a ikea…………..
Magari li mandassero in Svezia. Li mandano in Olanda, dove hanno un regime fiscale estremamente favorevole. COmunque è importante sostenere i lavoratori di Milano: IKEA come altre grandi aziende della GDO giocano molto sulla separazione tra settore logistica (affidato alle cooperative) e settore vendite, che controllano direttamente. E in questo modo frammentano i lavoratori, mettendoli gli uni contro gli altri. NOn è un caso che proprio a Milano l’azienda abbia assunto un atteggiamento così repressivo.
Purtroppo nel privato come nel pubblico l’appalto non esiste per risparmiare in termini economici o per liberarsi di settori che all’azienda madre non interessa trattare. L’appalto serve soprattutto per dividere i lavoratori. E’ per questo che è fondamentale che le RSU delle grandi aziende e dei pubblici servizi si impegnino per mantenere l’unità dei lavoratori ed includano nel percorso sindacale quanto più è possibile i lavoratori degli appalti interni alla loro azienda