Dove una grande strada si gettava placidamente in una grande piazza, ora c’è una diga di transenne betoniere e lavori in corso: è la tramvia.
Agli automezzi resta appena lo spazio di manovra portandosi via qualche brandello di muro, agli autoarticolati, neppure quello.
Così il tir che ci prova, messo alle strette, molla lì il rimorchio mentre la motrice va per conto suo non si sa dove.
I possenti piedi d’acciaio ancorano il container per chissà quanto tempo, mentre il traffico alle sue spalle ribolle.
Nella strettoia si ammonticchiano autobus, utilitarie, berline, un’ambulanza a fari accesi e una macchina della guardia di finanza a fari spenti.
Sembra che un dio abbia rovesciato sulla terra ogni sorta di mezzo meccanico per far giocare i suoi figli con le macchinine.
Incerto dell’accaduto, do risposte vaghe a chi mi chiede informazioni mentre percorro a ritroso il luogo dell’ingorgo, poi l’assurdità della situazione mi dona forza, mi rende sfacciato: “Non si passa, le conviene girare” oppure “faccia scendere i passeggeri, ne avrà per una mezz’ora”.
In casa mia ci sono dei poliziotti e dei vigili urbani, buon sangue non mente. Anche dei giornalisti e dei politici, perciò inoculo una goccia di veleno nei consigli che dispenso: “Colpa della tramvia, eh, si sa, con questa giunta di centro-centro!”
Faccio male?
Bontà loro lasciare fermi per ore un camionista che aveva dei tempi di consegna da rispettare, due autisti e cento passeggeri che meritavano di rincasare per pranzo, quattro volontari e un morituro bloccato nell’ambulanza.
Potevo fare di più.
Forse sì, ai due poliziotti bloccati nella pininfarina grigioverde potevo chiedere di uscire con la paletta, se erano autorizzati a dirigere il traffico, ma che volete, sotto un colpo di Stato a due giorni dal plebiscito quando mi accosto a una divisa ho sempre paura che qualcuno fraintenda: i compagni potrebbero accusarmi di intelligenza con il nemico e i fascisti di essere dell’Isis.
E così da ultimo tutti ci guardiamo in cagnesco mentre le città si fermano, le strade sprofondano e i manifesti che reclamavano gli ultimi scampoli di libertà si accartocciano nei fumi delle marmitte che fremono.
*Massimo De Micco
Massimo De Micco
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