Esattamente un anno fa ci scagliammo contro le ronde. Ronde dei “fiorentini” contro la mala vita di chi vive in strada, manifestazioni populiste che hanno diffuso l’idea che il problema siano i poveri e non la miseria e che hanno contribuito ai risultati elettorali che conosciamo. Una bella mattina gli abitanti di Firenze hanno aperto il giornale e hanno scoperto la mala vera, quella che non si limita a riciclare in attività lecite i proventi di attività illecite, ma traffica in prostituzione e droghe in quegli stessi locali che apre e arreda, nelle strade del lusso tutte intorno a Via Palazzuolo, decritta ormai come sentina di tutti i vizi e chiamata Piccolo Bronx da chi non conosce il Bronx.
In questa città come in tutte quelle che vivono di locali e di camere in affitto, ai poveri tutto è proibito, ai ricchi tutto è permesso. Così la via nobile di Firenze può ospitare nei suoi confortevoli palazzi quelle attività di cui (troppo spesso a vanvera) si incolpa la vicina povera, Via Palazzuolo. Ora che mesi e mesi di discrete indagini sulla strada “per bene” hanno dato risultati assai più sostanziosi di un blitz con cani ed elicotteri in Via Palazzuolo, tutti siamo chiamati a toglierci l’affettato dagli occhi, sia esso San Daniele o kebab. Assaporiamo il piacere di restare senza certezze.
Pensavamo che quel bar all’angolo fosse un ristoro tranquillo e piacevole. Di fronte al cancello di una villa famosa, la raffinata pasticceria sonnecchiava sotto pitture che richiamavano Simone Martini e il Pisanello e avevano il pregio di essere fintamente medievali in una città che è la Disneyland del Rinascimento. Svegliandoci da quel sogno cavalleresco ci hanno detto che in realtà era il bar di Cosa Nostra.
Altre cose noi credevamo.
Credevamo che i leghisti ormai fossero pochi e li hanno votati i molti.
Pensavamo che Renzi non se ne sarebbe mai andato e l’hanno cacciato via.
Pensavamo che in questa città non si potesse sparare di nuovo a un uomo nero a caso. Ora il mondo ci appare per quello che è, fatto di fatti che sono un sussistere di stati di cose, cose che sono live black matters.
Tra queste cose, c’è la penetrazione della mafia in città d’arte come Roma, Venezia e Firenze. Che la mafia uccida a Roma e a Venezia si sa, su Firenze omertosamente si tace. Eppure le persone indagate per riciclaggio in un bar del centro furono implicate in fatti di sangue che risalgono agli anni Ottanta, avvenuti in Sicilia e in Toscana. Delitti su delitti, condanne su condanne, mai un ravvedimento ed eccoli qui, padroni a casa loro. Senza mozioni bipartisan per revocargli la licenza e chiudere il loro locale, che mentre scrivo rimane aperto. Lo stesso locale, con un’altra gestione, ebbe un ruolo nel caso Magherini perché una dipendente rilasciò in tribunale una deposizione che contraddiceva quanto affermato dal personale ai giornalisti. Dunque altre domande, altre ragioni di allarme. Ma non è più tempo di lanciare allarmi, è invece il momento di fare domande, dare le risposte e metterle insieme.
Ecco dunque una serie di domande, risponda chi può:
0.1 Quanti comitati per la legalità e la sicurezza esistevano a Firenze nella strada interessata da quella presenza mafiosa?
0.2 Quali rapporti intercorrevano tra questi comitati e i mafiosi?
0.3 C’erano collegamenti tra questo scampolo di mafia e le istituzioni?
0.4 Il sistema di ronde 2.0 basato sulla meticolosa osservazione di quanto avveniva in strada ad opera di un capostrada, di tre refrenti e di una rete di cittadini connessa on line, era riuscito a individuare la presenza mafiosa?
0.5 I comitati per la legalità e la sicurezza, il capostrada eccetera hanno giocato qualche ruolo significativo nell’individuazione della presenza mafiosa?
0.6 Qual è il ruolo che hanno avuto invece altre presenze organizzate, più aperte e meno legalitarie? Hanno saputo individuare e contrastare il fenomeno o si sono svegliate una mattina con l’invasore in casa?
Vorrei che le risposte che si possono dare, quelle che non mettono a repentaglio chi risponde o che non condannano in anticipo chi ancora aspetta un processo, siano date qui pubblicamente come commenti all’articolo. Per riprendere una riflessione sulle nostre città che non sia più falsata dallo scontro elettorale.
*Massimo De Micco
Massimo De Micco
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Il fatto è che nel mio paesello della Sicilia sudorientale, alla mia generazione fin dalle elementari,l’hanno bombardata con la storia della mafia, per paura che crescessimo omertosi come le generazioni precedenti, quelle che hanno permesso pizzi, rapimenti, stragi etc…
Non è che in Sicilia la mafia non ci sia, ma credo che almeno la mia generazione nel mio paese è cresciuta con la consapevolezza della sua esistenza e che abbia perlomeno imparato a riconoscere certe dinamiche (al di là del fatto se poi le abbia accettate o meno).
In contesti diversi l’esistenza della mafia è negata, perché la sua presenza è meno evidente, meno folcloristica (la figura del mafioso con la coppola e il fucile è roba da Il padrino), e si tende perfino, a volte senza capirlo, a ricalcare certe dinamiche che per qualcuno come me potrebbero essere mafiose, mentre per altri sono scontate.
Perciò mi chiedo se davvero si conosce il problema e se si può riconoscere qualcosa che forse non si conosce.
E’ vero, Fedra, che le mafie sono molto presenti al Nord e in molte regioni d’Italia. E non se ne parla abbastanza, cadendo nel cliché del mafioso siciliano. Anche per questo abbiamo di recente aperto una rubrica su La Città invisibile dedicata alla mafia in Toscana, e curata da due ricercatrici che sull’argomento hanno lavorato e contibuano a farlo. Forse ti può interessare leggere gli articoli usciti finora: https://www.perunaltracitta.org/category/la-citta-invisibile/parliamo-di-mafie/
E’ vero Fedra, la mafia in Italia o si ignora o si emula. Una volta ammessa l’esistenza del problema, tanto da parte della classe dominante quanto a livello popolare si tende a imitarne il segreto, la paranoia, la mania di controllo, la fiducia nella violenza. Rarissimi i casi di antimafia nonviolenta, Danilo Dolci e pochi altri. Non certo i blitz, non certo le ronde.
A riprova dei nostri ragionamenti e per tornare al caso concreto, c’era sempre un uomo in piedi dall’altro lato del negozio. Cosa controllava, per conto di chi? Non lo sapevamo ma inquietava tutti, specialmente “chi non ha nulla da nascondere”