2.1 Una certa propensione al controllo spaziale, da parte della mafia, delle comunità di riferimento può farsi risalire ai caratteri di nascita del fenomeno, nonché alle strutture sociali dei territori meridionali, siciliani, calabresi e campani, in cui si è originata. La “trasformazione” dei mazzieri al servizio dell’aristocrazia terriera in “capobastone” e poi in “guardiani” del latifondo, produttivo o meno che fosse, conteneva già il senso di un controllo “areale” del territorio, che – fino agli anni sessanta – si fermava ai limiti dei centri urbani maggiori.
In quei piccoli infatti giocava un ruolo decisivo il ribaltamento del rapporto capobanda-notabile, in cui il secondo diveniva via via subalterno, favorendo il “padrinato” del primo sull’intera comunità (Lupo 2008; Piselli, Arrighi 1985). Al tempo il clan di appartenenza era necessariamente limitato e, se esercitava un controllo efficace sul contesto locale, si presentava in generale come una struttura molto debole, sia socialmente che “militarmente”, alimentata infatti soltanto dall’accaparramento di parte del reddito agricolo locale in genere modesto.
La crescita economica più sensibile dei clan criminali nella fase avviene – secondo Arlacchi – qualche tempo dopo, allorché le politiche meridionalistiche e l’intervento straordinario iniziano a spostare ingenti quote di capitale, non solo fisso, verso le regioni meridionali. Pino Arlacchi individua nella realizzazione dell’autostrada – più la Salerno-Reggio Calabria che la Milano-Napoli – il più grande veicolo di distribuzione di risorse anche a favore della criminalità. Al tempo la Stato possedeva caratteristiche e organizzazione per “sbaragliare” mafia e ‘ndrangheta sul piano “militare”; ma decideva di trattare – o usare – con le bande criminali per garantire controllo e consenso sociale ed elettorale (idem): una svolta decisiva.
2.2 Arlacchi nota come la strutturazione economica delle bande criminali ne favorisca la crescita, la proliferazione, la strutturazione sociale e militare che porterà al controllo di contesti territoriali sempre più vasti. Nel comparto relativo alla costruzione di infrastrutture, dapprima soprattutto grandi e poi via via più piccole, si trova uno dei motivi della crescita spaziale della mafia in quel periodo: dalle guardianie si passa ai movimenti di terra più semplici, e quindi si acquisisce la capacità di controllar operazioni sempre più complesse, fino – in alcuni casi – all’intero ciclo del subappalto.
La mafia diviene “imprenditrice”. Il controllo di gran parte del ciclo di produzione del cemento aiuta la rapida penetrazione, fino al dominio pressoché totale – almeno in alcune regioni del Sud – in un altro comparto che caratterizza le trasformazioni territoriali del periodo: la crescita urbana, specie extranorma, ovvero abusiva (Arlacchi 1983).
2.3 Francesco Rosi nel suo Le mani sulla città fornisce una magistrale lezione di urbanistica, un quadro delle relazioni tra evoluzione delle varie forme di rendita urbana e consumo di suolo; che va molto oltre il contesto spaziale e temporale di immediato riferimento – la Napoli dei primi anni sessanta – per prospettare interpretazioni valide per il territorio dapprima meridionale e quindi nazionale per il cinquantennio successivo.
In quello scenario emergono corruzione e speculazione politica ed economica, ma la camorra a un primo sguardo sembra restare sullo sfondo. Tuttavia – osservando attentamente – si può capire come il settore delle costruzioni ed il ciclo del cemento abbiano costituito settori chiavi per la crescita della “territorializzazione di stampo mafioso”.
Qualche anno dopo, Nella Ginatempo e Giuseppe Fera (Fera, Ginatempo 1985) studiando i “fenomeni di autocostruzione spontanea” in Sicilia e Calabria si imbattono nel ruolo sostantivo, tendenzialmente dominante della criminalità organizzata.
Cosa era successo nei contesti meridionali? Per chi non era emigrato, i trasferimenti di capitale, variabile, sotto forma di ampliamento/consolidamento “fino alla crescita elefantiaca” di un certo terziario e della pubblica amministrazione, nonché per assistenza tout court e alle rimesse degli emigrati; insieme a quello fisso per infrastrutture, attrezzature territoriali, e quindi per la realizzazione dei grandi “poli” industriali di sviluppo, con i meccanismi di redistribuzione tipici di quello che Ugo Ascoli (1984) ha chiamato “welfare all’italiana”, avevano portato più che a processi di formazione di capitale d’investimento di una certa rilevanza, a miriadi di piccole accumulazioni diffuse (Indovina 1976; Becchi Collidà 2000), cercando opportuni settori d’investimento, che legati tra l’altro ai maggiori agi del “vivere e abitare urbano contemporaneo” ha nuove dinamiche legate – oltre che alle nuove domande abitative – a terziario e Pubblica Amministrazione, insieme al declino – talora vero e proprio crollo – del primario, porteranno a grandi tassi di urbanizzazione anche delle aree meridionali; successivi alle migrazioni verso il settentrione del periodo del “boom” e immediatamente seguente (Rapporto ITATEN, in Clementi, Dematteis, Palermo 1996).
Paradossalmente, l’esito delle applicazioni del quadro normativo riformista, che ha interessato il settore urbanistico a cavallo tra fine anni sessanta e inizio settanta, dalla Legge Ponte a quella sulla Casa e alla concessione onerosa, con l’obbligo di gestire lo sviluppo urbano con il Piano Regolatore, al Sud ne favorisce l’evasione. Quadri tecnico-amministrativi abituati a gestire piccole trasformazioni con uno strumento “semplice” quale il vecchio Programma di Fabbricazione o a “tollerare una certa quota di edilizia spontanea”, non “riuscivano” a maneggiare infatti i nuovi strumenti.
Senza entrare nel dibattito di quegli anni sull’intenzionalità o meno di un’eccessiva arrendevolezza – fino al disarmo – delle politiche e della gestione urbanistica nel periodo, è certo che l’esito ha significato abnormi fenomeni di crescita e trasformazione territoriale “fuori norma”, ovvero abusivi (Soriero 1985; De Lucia 1999). Le mafie costituivano il soggetto che si poneva quale “controllore e garante” di questa forma “speciale” di crescita urbana; essa si poneva infatti come elemento di “mediazione” rispetto alle politiche, permettendo l’accettazione “istituzionalizzata” dell’abusivismo.
D’altra parte il controllo – diretto o indiretto – delle imprese del settore permetteva alla criminalità di rispondere ad un’esigenza prioritaria della produzione edilizia abusiva: la possibilità di contenere, fino ad incredibili contrazioni, tempi e costi di produzione. Dinamiche che hanno segnato pesantemente la crescita delle città meridionali, favorendo altresì, “l’urbanizzazione di mafia e ‘ndrangheta” che dai piccoli centri di campagna, “entravano” nelle città anche medie e grandi di Sicilia, Calabria e Campania (idem).
2.4 Gli anni ottanta si aprono con un evento che marca decisamente il territorio nazionale – oltre che le comunità: il terremoto dell’Irpinia. Disastro gravissimo, con migliaia di morti, paesi distrutti in tutto o in parte; lo stravolgimento di un territorio. Disastro utile a chiarire definitivamente i fallimenti delle politiche “per il Mezzogiorno”: a fronte di migliaia di miliardi trasferiti al Sud, le aree interessate – più che altro “osso” secondo Rossi Doria – presentano condizioni di vita e dell’abitare assai misere, per soggetti ancora dediti soprattutto ad un primario residuale.
Per quel “Sud del Sud” costituito dalle zone interne dell’Irpinia si decide non solo una rapida ricostruzione, ma si programma – a tappe forzate – di promuovere anche quello sviluppo economico e industriale che in quelle aree era pressoché sconosciuto (De Lucia cit.). Nei decreti speciali per l’Irpinia del periodo successivo si finanzia non solo la ricostruzione, ma la realizzazione di nuove attrezzature ed infrastrutture. Ancora si incentiva la nascita o la rilocalizzazione di imprese industriali. Guardando alla politica dei “grandi poli”, che presenta già grandi contraddizioni e tende ad assumere i contorni del “fallimento” che sarà raccontato da lì a qualche anno dalla pubblicistica, prima specifica e quindi divulgativa, si punta ad un modello di industrializzazione “più piccola e legata il più possibile alle risorse locali”.
Le articolazioni della strumentazione urbanistica (anch’essa non molto praticata fin lì in zona) avrebbero dovuto favorire oltre la ricostruzione lo sviluppo equilibrato e – come usava allora – “ecologicamente compatibile”.
A fronte di ulteriori trasferimenti di decine di miliardi verso Napoli e l’Irpinia – durante quasi tutto il corso del decennio – si può dire che l’obiettivo della ricostruzione – per certi versi ancora in corso – è stato in parte raggiunto. Laddove i tentativi di realizzare “infrastrutture e strutture per lo sviluppo” hanno portato a singolari “monumenti di un’archeologia dell’industrializzazione tentata”, con moltissime incompiute e tante attrezzature realizzate, ma mai utilizzate e presto abbandonate.
Dalla prospettiva di osservazione delle note presenti, si può affermare che quegli eventi hanno costituito uno dei salti di qualità nell’ampliamento e nella formazione delle nuove mafie campane, le “nuove camorre”. L’emergenza, la necessità di “fare presto”, una propensione alla gestione clientelare dell’allora partito di maggioranza relativa, che coincideva a livello nazionale, regionale e locale, hanno favorito – oltre alla corruzione – l’allargamento e il consolidamento della criminalità. Che operava in modo duplice: da una parte intercettando – more solito – una serie di finanziamenti, con le tradizionali attività di guardiania e subappalto; dall’altra proponendo direttamente anche soggettività imprenditoriali per gestire parte delle attività allocate.
Si può affermare che l’accaparramento di risorse pubbliche da parte della criminalità è stato nell’occasione talmente rilevante da consolidarne certamente il ruolo di “soggetto economico” locale, ma anche di favorirne la crescita in aree non direttamente interessate dagli investimenti post-sisma.
2.5 Grandi opere, Colombiadi, Italia ’90. Nello stesso periodo, l’altra occasione di crescita ed ampliamento delle mafie è stata rappresentata dalla nuova cascata di Grandi Opere, prevista dal Piano Energetico e poi dalle Colombiadi e dai Mondiali del 1990. Insieme alla “famosa” legge 64/86 che pretendeva di rilanciare modelli di sviluppo che già erano in discussione, attraverso nuove fasi di realizzazione di attrezzature e “poli di sviluppo industriali e infrastrutturali” ribattezzati “attrezzature o piattaforme” per distretti industriali improbabili. Tutto ciò culminava alla fine del decennio in quel mega scandalo – allargato a tutto il territorio nazionale – che svelava i meccanismi di corruzione e connessione che erano stati generati da provvedimenti quali quelli citati: la vicenda nota come “Tangentopoli”, che al Sud diventava spesso “Mafiopoli” (Bocca 1992).
*Alberto Ziparo
Riferimenti bibliografici
Arlacchi P., 1983, La mafia imprenditrice. L’etica mafiosa e lo spirito del capitalismo, Il Mulino, Bologna
Ascoli U., 1984, Welfare State all’Italiana, Laterza, Bari
Becchi A., 2000, Criminalità organizzata. Paradigmi e scenari delle organizzazioni mafiose in Italia, Donzelli, Roma
Bocca G., 1992, Inferno. Profondo Sud, male oscuro, Mondadori, Milano
Clementi A., Dematteis G., Palermo P. (eds.), 1996, ITATEN. Le forme del territorio nazionale, Laterza, Roma
De Lucia V., 1999, Se questa è una città, Donzelli, Roma
Fera G., Ginatempo N., 1985, L’autocostruzione spontanea nel Mezzogiorno, Fanco Angeli, Milano
Indovina F. (ed.), 1976, Mezzogiorno e crisi, Angeli, Milano
Lupo S., 2008, Quando la mafia trovò l’America. Storia di un intreccio intercontinentale, 1888-2008, Einaudi, Torino
Piselli F., Arrighi G., 1985, “Parentela,clientela e comunità”, in Bevilacqua P., Placanica A., Storia d’Italia. La Calabria, Einaudi,Torino
Soriero G., 1985, La Calabria dei presepi, in Bevilacqua P., Placanica A., cit.
* L’articolo è stato pubblicato sul sito del LaPEI-Laboratorio per la Progettazione Ecologica degli Insediamenti dell’Università di Firenze. Si veda anche il programma del ciclo di seminari Urbanistica e legalità organizzato nell’ambito delle attività didattiche del dottorato di ricerca in Architettura. La prima parte dell’articolo è uscita su “La Città invisibile”, n. 56 [n.d.r.].