Le analisi sulle presenze criminali in Toscana tratteggiano un’immagine ben lontana da quella delle altre regioni del centro-nord. Secondo le ricostruzioni delle agenzie di contrasto, l’area appare potenzialmente permeabile, grazie al relativo benessere che la caratterizza, ma non appartenente alle «terre di mafia». Inoltre, secondo le rappresentazioni diffuse dai media, diversi sarebbero gli ostacoli che i gruppi criminali incontrerebbero nei tentativi di infiltrazione, tutti riconducibili alle specificità politiche e culturali regionali, quali ad esempio la solida cultura civica, la sensibilità della classe politica locale. Rientra in questo quadro anche la solerzia degli apparati di contrasto che, a partire dagli anni Novanta, sono simbolicamente rappresentati dalla figura di Antonino Caponnetto, ex magistrato e membro dei pool antimafia con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
La realtà appare tuttavia più complessa e articolata, un’analisi diacronica, un focus su alcune aree della regione e sui diversi tipi di presenze mostrano come taluni elementi di contesto possano favorire l’infiltrazione in specifici settori economici.
In merito al primo aspetto, il panorama criminale mafioso in Toscana è caratterizzato da due fasi: nella prima – da metà anni Settanta fino ai primi anni Novanta – sono prevalenti i gruppi mafiosi siciliani che ambiscono a radicarsi durevolmente sul territorio, inviati o trasferitisi in regione per provvedimenti giudiziari, come il soggiorno obbligato. La strage di via dei Georgofili del 1993, congiuntamente all’intensa attività di indagine e di contrasto da parte degli apparati dello Stato che ne deriva, fa da spartiacque e segna l’avvio della seconda fase. Nella seconda metà degli anni Novanta si registra l’arretramento dei clan siciliani e la loro sostituzione da parte di gruppi calabresi e, in misura ancora più marcata, campani. Le attività di camorristi e ‘ndranghetisti diventano meno visibili e sono prevalentemente orientate al reimpiego/riciclaggio del denaro proveniente dai traffici illeciti. La violenza conclamata di matrice mafiosa è difatti negli ultimi anni assente, mentre si riscontrano comunque i cosiddetti «reati spia», quali ad esempio gli incedi dolosi di attività commerciali.
Per quanto riguarda le specificità delle aree regionali, nessuno dei gruppi attivi presenta posizioni monopolistiche né a livello territoriale né sul piano degli affari, gestiti con ampi margini di autonomia e in assenza di conflittualità sia tra clan della stessa mafia sia tra formazioni criminali differenti. Sul fronte esterno, relativo alla cosiddetta area grigia, dalle fonti giudiziarie non emergono rapporti tra criminalità organizzata, politici locali e funzionari pubblici, mentre si evincono contatti più frequenti tra esponenti mafiosi, liberi professionisti e imprenditori.
La rubrica intende presentare una ricostruzione delle presenze criminali in regione tentando di superare una visione mafiocentrica, con toni spesso allarmisti, che ruota attorno ai mafiosi, alle organizzazioni e ai traffici illeciti. Per analizzare e illustrare i processi di diffusione delle mafie in Toscana è privilegiata, infatti, una prospettiva che tiene insieme le caratteristiche specifiche del contesto – non solo regionale, ma anche di alcuni territori specifici – con elementi che riguardano i comportamenti degli attori, le loro competenze, le loro reti sociali.
*Graziana Corica e Rosa Di Gioia

Graziana Corica Rosa Di Gioia

Ultimi post di Graziana Corica Rosa Di Gioia (vedi tutti)
- Mafie in Toscana: Prato, il quadro criminale/4 - 18 Marzo 2019
- Mafie straniere in Toscana: gruppi cinesi e Prato/3 - 30 Gennaio 2019
- Mafie straniere in Toscana? Qualche interrogativo/2 - 20 Novembre 2018