3. Per una nuova geografia della territorializzazione di stampo mafioso
La capacità di penetrazione e di controllo di molti comparti dell’economia territoriale ha costituito forse il principale veicolo per la “conquista” da parte della criminalità organizzata di gran parte del territorio nazionale. Da questo punto di vista colpisce il primo comune sciolto dopo l’approvazione della Legge sullo scioglimento delle amministrazioni infiltrate dalla criminalità (Mete, 2009), non sia stato un ente meridionale, ma Bordighera, in Liguria.
Peraltro, nell’ambito dei territori, sia meridionali che settentrionali, è possibile ed anche necessario distinguere tra le diverse nature e modalità di presenza criminale e di condizionamento di economia e politica.
Al Sud è interessante diversificare tra le situazioni di radicamento originario della criminalità (le terre, interne e rurali, dei “capobastone”) dalle “nuove mafie urbanizzate” presenti nelle città,con necessità di ulteriori distinzioni tra piccoli centri urbani e poli medio-grandi.
Va considerato anche che una certa “diffusione” o “estensione” urbana, che ha segnato molte aree siciliane, calabresi o campane, ha confuso i confini tra urbano e rurale, per cui centri rurali sono diventati “quartieri dormitori” della grande città conurbata.
In generale in questo tipo di situazioni può rivelarsi proficuo l’applicazione del criterio di “enclave criminale”, aree circoscrivibili, talora coincidenti con i confini comunali, pressoché totalmente controllate dalla criminalità (De Leo, 2015). All’interno di tale categoria è forse utile diversificare tra le realtà rimaste prevalentemente rurali (per esempio Cinisi, in Sicilia) e quelle che hanno subito forti trasformazioni per interventi infrastrutturali, industriali o commerciali (Gioia Tauro, in Calabria). Mentre nel primo caso si nota un’economia rimasta per lungo tempo a livello di sussistenza, con profitti relativi provenienti dagli interventi degli investimenti in agricoltura o dal controllo del misero mercato edilizio; nella seconda situazione la penetrazione in pressoché in tutti i tipi di investimenti, pubblici e privati, è stata occasione di forte consolidamento e crescita economica e socio-politica delle cosche. Un carattere pressoché costante delle amministrazioni controllate – in tutto o in parte dalla criminalità – è costituito da rilevante inefficienza gestionale, spesso vera e propria sciatteria, dovuta certo anche alla necessità di rispondere ad istanze spesso illegittime se non apertamente illegali.
Come nota ancora, tra gli altri, Daniela De Leo, l’abusivismo è stato un settore di forte ampliamento e legittimazione dell’azione criminale. Ovviamente più ci si addentra in realtà grandi e diversificate, più di va verso un’altra delle categorie interpretative proposte dall’autrice: quella del “disordine spaziale”. All’interno di questo si possono individuare aree specifiche, “periferie degradate e controllate”, le “aree dell’informale organizzato”, e infine le “aree contese ibride” (De Leo, 2015). Una categoria fondamentale per comprendere il controllo dei territori e delle città è quella della “lottizzazione criminale del territorio” (Sciarrone, 2009). Questa categoria è particolarmente rilevante perché permette di riconoscere le continuità nell’evoluzione, nei passaggi dalla criminalità del territorio rurale, alle forme del controllo delle città del sud, all’organizzazione della penetrazione e delle successive strategie di dominanza su strutture economiche e urbane al nord (DIA, 1998-2015).
Se si può riscontrare qualche differenza, questa sta forse nelle categorie di “adiacenza” e di “contiguità” spaziale prevalente al Sud, per cui una banda siciliana o calabrese allarga il suo dominio da un territorio rurale all’area urbana più prossima; laddove “l’arrivo” nelle città, medie e grandi del centro-nord, spesso è favorito dal tipo di attività:un soggetto criminale tende a esplicare il tipo di azione, per cui era già una presenza consolidata nelle aree di origine, nella realtà nuova, di attuale insediamento. E quindi usa quella attività per radicarsi in quella cittadina o quartiere. Con processi di mediazione continui tesi ad evitare i conflitti dovuti alle “pretese” sulle medesime aree da parte di soggetti diversi.
La “migrazione criminale” verso nord è avvenuta spesso nella prospettiva della gestione di operazioni specifiche (subappalti e movimenti di terra, centri commerciali, poli turistici, ricostruzioni post disastri, ciclo dei rifiuti ecc.) e si è quindi poi territorializzata (vedi Rapporti DIA e Procura di Reggio Calabria sulle infiltrazioni nelle opere dell’Expo di Milano e sulla stessa ripartizione dell’area metropolitana in “zone di competenza”).
I recenti casi di comuni medio-piccoli sciolti in Lombardia, Emilia, Liguria dimostrano anche una certa capacità di “adeguamento” della criminalità ai caratteri di un territorio e del suo sistema amministrativo: allorché trova una “macchina amministrativa già funzionante” essa si adegua a quei livelli di efficacia prestazionale, individuando le attività da cui trarre maggiori profitti e tramite cui tendere al massimo controllo possibile dell’economia locale. Quando non è già presente, per esempio, l’edilizia abusiva continua ad essere contrastata, anche con maggior vigore, dal momento in cui la criminalità inizia a penetrare e controllare quell’apparato amministrativo (DIA, 1998-2015).
4. Alcune questioni dirimenti per la costruzione di strategie di contrasto
È probabilmente vero che la “riterritorializzazione virtuosa” dei contesti a dominanza criminale non necessita di urbanisti militanti o eroi, ma solo di “buona urbanistica” (Granata, 2016). Per tendere verso di essa, tuttavia, appare necessaria una certa capacità di interpretazione credibile di storia, natura e caratteri della dominanza criminale su un territorio.
Le distinzioni macrogeografiche richiamano subito le caratteristiche affatto diverse di presenze che esplicano oggi tipi di azioni assai differenti.
La storicizzazione del fenomeno è importante. Da lì possiamo trarre elementi di conoscenza circa la comparsa del fenomeno, la sua evoluzione, la sua morfologia, i suoi rapporti con l’economia locale, i livelli di penetrazione e di controllo alle politiche pubbliche, non solo urbanistiche.
Sud e Nord sono categorie cogenti circa l’origine del fenomeno, i caratteri ed il suo attuale radicamento. Nell’ambito dell’osservazione dei centri urbani, è importante cogliere le differenze dovute a dimensioni, caratteri economici prevalenti, efficacia della gestione, qualità dello spazio e del paesaggio urbano. E altresì sostantivo cogliere se la presenza criminale sia settoriale/tematica – ovvero prevalente nel controllo di alcuni comparti -, ovvero areale – tendente cioè a controllare tutta l’economia locale. Inoltre decisivo è comprendere il livello di pervasività, quindi di infiltrazione e controllo nei meccanismi di gestione (solo edilizia o urbanistica, quanti comparti, che tipo di relazioni con gli apparati di finanziamento e col credito).
Da ultimo appare fondamentale verificare l’eventuale presenza di un’azione sociale che coglie il disagio dovuto anche all’involuzione criminale dell’uso dello spazio locale ed è suscettibile ad esprimere azioni di contrasto.
*Alberto Ziparo
Bibliografia di riferimento
De Leo D., 2015, Mafie & Urbanistica, Angeli, Milano
DIA, 1998-2015, Relazioni semestrali Direzione Investigativa Antimafia, e-p, Roma
Granata E., 2016, Fare urbanistica con responsabilità, in “Letture di Planum”, 6- 2/16
Mete V., 2009, Fuori dal comune. Lo scioglimento delle amministrazioni locali per infiltrazioni mafiose, Bonanno, Catania
Sciarrone R., 2009, Mafie vecchie mafie nuove, Donzelli, Roma
[L’articolo è stato pubblicato sul sito del LaPEI-Laboratorio per la Progettazione Ecologica degli Insediamenti dell’Università di Firenze. Si vedano anche Urbanistica e legalità/1 – Un filone di ricerca di frontiera?, Urbanistica e legalità/2 – Il controllo criminale del territorio e Urbanistica e legalità/3 – Da Tangentopoli alla Legge obiettivo]