Gli accadimenti che in questi mesi interessano così tragicamente il paese denunciano in modo inequivocabile (se non era già chiaro a tutti) la fragilità del nostro territorio sempre più spesso interessato da calamità di origine naturale o indotta, che ne minano il già complicato equilibrio.
Per quanto il “bel paese” sia celebrato in ogni dove, e per quanto generazioni di storici, scienziati, pianificatori ed esperti di ogni disciplina continuino a raccontarci l’infinita ricchezza del nostro patrimonio ambientale e antropico, siamo ancora a discorrere su ciò che avremmo dovuto fare e che non abbiamo fatto, per prevenire e governare gli eventi catastrofici che periodicamente investono parte delle nostre regioni.
Strano paese il nostro.
Paese nel quale produciamo un’infinità di articoli, saggi, libri e riviste, leggi e regolamenti, interrogazioni e interpellanze sulla salvaguardia del territorio (principale ricchezza, testimonianza delle nostre passate fortune e risorsa per le future).
E dove, a seguito di ogni disgrazia, ci interroghiamo su cosa non abbiamo fatto e su cosa dobbiamo fare, cerchiamo i responsabili senza mai trovarli, ci esercitiamo con grande destrezza nel gioco del cerino acceso, poi con scientifica determinazione proseguiamo nella distruzione, cancellazione e rimozione di tutto quanto costituisce baluardo contro il dissesto.
Viviamo come equilibristi su una corda, consapevoli che da un momento all’altro potremmo rovinosamente cadere.
Siamo però certi che ci siano soluzioni per uscire dall’angolo in cui ci siamo cacciati, e tra le tante mi permetto di suggerirne una.
Un programma di ampio respiro articolato in progetti, che veda coinvolte nella tutela e salvaguardia del nostro territorio le migliori forze del paese. Una sfida contro l’arroganza di chi conosce solo la peggiore accezione del termine “business”, sfida affidata ad una nuova classe politica in grado di ribaltare l’attuale rapporto tra “affari” e “sviluppo”.
Non più quindi poche grandi e costosissime opere in grado solo di generare irreversibili impatti territoriali e generare conflitti sociali, ma un ambizioso programma di interventi mirati a limitare, nel tempo e per tutto il territorio nazionale, l’insorgere di quei fenomeni di dissesto che stanno distruggendo pezzo per pezzo il nostro paese.
Penso alla necessità di combattere l’erosione costiera che coinvolge centinaia di chilometri di nostre spiagge, con effetti negativi sull’economia e sulla permanenza di insostituibili valori ambientali e paesaggistici.
Penso alla necessità di governare le alluvioni, che oltre a determinare morte e distruzione, concorrono alla compromissione di produzioni agricole ed industriali.
Penso alla necessità di frenare l’avanzata del dissesto idrogeologico (dovuto, in parte all’abbandono delle attività agricole nelle zone economicamente più svantaggiate, ed in parte al quasi totale abbandono della cura dei boschi).
Penso alla improcrastinabile necessità di salvaguardare definitivamente dai terremoti intere popolazioni attraverso la messa in sicurezza del nostro patrimonio abitativo privato e pubblico, con particolare riferimento a quello costituito dalle migliaia di piccole e piccolissime realtà che sono la nostra cifra identitaria; questo per consentirci di essere un paese civile non solo a parole, ma anche nei fatti. A riguardo si deve amaramente constatare che l’Italia è come il Giappone ma noi non siamo come i giapponesi.
Per fare tutto questo sono indubbiamente necessarie ingenti risorse economiche ma prima di tutto un approccio diverso alla definizione delle priorità.
Non sono più accettabili l’egemonia della finanza sulla economia reale, il neoliberismo imperante e la contrapposizione tra sviluppo e lavoro; così come non è più accettabile che rappresentanti di grandi società e gruppi di interesse, anche con importanti ruoli istituzionali, invece di saldare i propri debiti, si permettano di insegnarci come generare crescita in questo paese.
Non è più ammissibile che i cattivi comportamenti siano magnificamente remunerati e che le colpe di pochi debbano ricadere sull’intera collettività, cosi come non può più essere considerata un dogma l’idea che la realizzazione di grandi infrastrutture sia l’unica soluzione per creare occupazione.
L’enorme quantità di denaro pubblico che si prevede di utilizzare per salvare banche, per gli armamenti, per realizzare opere della cui necessità non vi è alcuna certezza, dovrebbe più opportunamente essere impiegata per generare un virtuoso rapporto tra le parti più sane della nostra società creando un network relazionale in grado di affrontare con il lavoro, la ricerca, la professionalità e l’apparato produttivo, le emergenze strutturali del nostro territorio.
Solo così questo paese potrà uscire dalla crisi in cui è scivolato, acquistando, a livello internazione, prestigio e stima, anche proponendosi come paese leader nel campo della progettazione e realizzazione di opere ed impianti per la tutela territoriale a 360 gradi, considerato che il tema dei cambiamenti climatici e delle conseguenze sull’uomo e sulla natura è di grande attualità a livello mondiale.
Per fare questo c’è però bisogno di un programma di riforme attraverso il quale, partendo dalla revisione dell’attuale criterio di sviluppo che rischia di favorire solo le grandi imprese, si generino le condizioni per un modello economico più vicino ai bisogni della gente e rivolto al futuro, come fecero gli Stati Uniti nel 1933 con il New Deal. Ricordiamo le parole dell’allora presidente Roosevelt:
«la libertà di una democrazia non è salda se il suo sistema economico non fornisce occupazione e non produce e distribuisce beni in modo tale da sostenere un livello di vita accettabile».
Il risultato è raggiungibile, ma ci vuole una nuova classe dirigente che abbia il coraggio e la capacità di traguardare oltre i confini temporali del proprio mandato.
*Fabio Zita
Di seguito è riportata una stima degli oneri necessari per risanare il paese
Sicurezza sismica
- Il 44% del territorio nazionale è a elevato rischio sismico
- 21 milioni di persone vivono in aree a elevato rischio sismico (fonte: ANCE)
- 36 miliardi di euro è la somma necessaria per mettere in sicurezza il patrimonio edilizio sito nelle aree a elevato rischio sismico (fonte: Associazione Ingegneri-Architetti Oice)
- 121,6 miliardi di euro già spesi per la ricostruzione dal 1968 al 2014 (fonte: Consiglio Nazionale degli Ingegneri)
- 30 miliardi di euro sono necessari per l’ammodernamento sismico di tutti gli edifici pubblici (fonte: Protezione Civile)
- 93,7 miliardi di euro sono necessari per la messa in sicurezza dell’intero patrimonio abitativo (fonte: Consiglio Nazionale Ingegneri)
Dissesto idrogeologico
Fonte: Ministero dell’Ambiente):
- il 9,8 % del territorio nazionale ricade in aree ad elevata criticità idrogeologica
- ricadono in area ad elevata criticità idrogeologica : l’82% dei comuni; quasi 6 milioni di persone; 6.250 scuole; 550 ospedali; 500 mila aziende; 1.2 milioni di edifici residenziali e non residenziali
- 40 miliardi di euro è la somma necessaria per realizzare tutte le opere previste nei Piani di Assetto Idrogeologico-PAI
fonte: ISPRA:
- 154.011 abitazioni in aree a elevata criticità idraulica
- 22 milioni di abitanti in aree a elevata criticità idraulica
Fonte: Italia Sicura:
- 200 opere necessarie contro il dissesto idrogeologico
- 19 miliardi di euro è la somma necessaria per la realizzazione delle opere
Erosione delle coste
Fonte: Ministero dell’Ambiente:
- 3270 km di coste sabbiose
- 120 kmq la superficie territoriale della costa sabbiosa
- il 46% delle coste sabbiose ha subito erosione dal 1950 al 1999 il
- 600.000 mq di arenili, persi tra il 1999 e il 2007
- 539 km di costa potenzialmente a rischio di erosione
- il 30 % della popolazione vive stabilmente sul territorio costiero
- 500 milioni di euro è la somma necessaria per opere di ripascimento e strutturali
Fabio Zita
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