Sono passati 7 anni dalla scomparsa del padre, ma la voce di Massimiliano Posarelli, mentre me ne parla, tradisce ancora emozione: “Mio padre ha lavorato per una trentina d’anni presso uno stabilimento chimico di Rosignano, la Solvay, dove fanno chimica di base, soda, acqua ossigenata, bicarbonato ad uso alimentare. A periodi ha lavorato nel Reparto Calderai dove si facevano riparazioni delle tubazioni sull’impianto, tubazioni che per l’80% erano rivestite di amianto, per essere riparate, inoltre, bisognava romperle con il martello e si disperdevano particelle. Inoltre, quando facevano saldatura, usavano teli in amianto per evitare che la colatura di fuoco cadesse a terra e finisse per incendiare qualcosa. Tutti i suoi colleghi rimasti vivi, infatti, sono malati. Io voglio giustizia, anche se nessuno potrà ridarmi indietro mio padre, ma non riesco a rassegnarmi al fatto che a Livorno non è stato possibile venire a capo del processo: quello penale, infatti, è terminato perché è morto l’ex direttore, quindi sono andato sul civile e la giudice non mi ha ammesso le prove. Tengo a dire che nel 2002 venne celebrato un primo processo, che però finì con l’assoluzione perché nessuno si costituì parte civile”.
Sul tema vedi la puntata di Gazebo (Rai Tre) “Una storia di una anormale amministrazione“, con Lorenzo Scurati e Bobo Rondelli
“Mio padre è andato in pensione nel 1993, dopo il 2002 nessuno ci ha avvisati su eventuali ripercussioni”, continua Massimiliano. “Si è ammalato nel 2010. È una malattia silenziosa, a lunghissima incubazione, che si manifesta dopo tantissimi anni. A Cecina esiste una Medicina del Lavoro addetta a questa attività. A mio parere però ci dovrebbe essere una maggiore attenzione e in particolare sarebbe necessario sottoporre tutti i lavoratori esposti ad amianto a controlli sanitari. Dopo la sua morte sono stato chiamato dalla responsabile che ha escluso che mio padre fosse morto a causa dell’amianto, sosteneva che era colpa del fumo. Al che le ho detto: “Ma lei come fa a saperlo? Conosceva per caso mio padre?” A Rosignano, ci sono più di 100 tra malati e morti. È troppo chiedere un processo a Livorno? Bisogna dare neanche un senso alla morte di queste persone, vorrei capire, ho bisogno di conoscere la verità, invece finora non mi hanno data la possibilità di capire”.
Nella relazione del medico legale si dice che il padre si poteva salvare. “Io dico che si poteva e si doveva fare di più, magari predisporre un piano di controllo, se questa industria chimica che è presente nella città ha creato danni a tante persone, non può abbandonarle, hanno lavorato una vita, hanno firmato un contratto di lavoro, ma non sapevano che era un contratto di morte”.
Massimiliano, quando si è ammalato suo padre?
“Tutto inizia nel 2010, mio padre è morto a novembre dello stesso anno per un adenocarcinoma del polmone. Il suo è stato un lungo calvario, le sue sofferenze sono iniziate prima. Mio padre ha iniziato a sentirsi ad agosto, anche se i dolori alle gambe, in particolare alla gamba sinistra, sono iniziati qualche mese prima. Il nostro medico curante ha sottovalutato la situazione, diceva che era una semplice sciatica, i dolori persistevano, anzi, aumentavano, poi sono arrivati altri sintomi e papà ha iniziato ad avere una tosse secca. Mia madre ha insistito per fare controlli più approfonditi e così il nostro medico di base ha prescritto una lastra al polmone, è andato in ospedale e lì il radiologo gli ha prescritto una terapia antibiotica per una sospetta broncopolmonite. Nel frattempo, a settembre, eravamo entrati in contatto con un medico che frequentava il nostro negozio e ci eravamo consultati rispetto al dolore alla gamba e che ci ha consigliato di fare una risonanza senza contrasto, dopo aver visto i risultati, senza allarmarci, ci prescrisse una PET. Non ci disse nulla apertamente, prendemmo appuntamento, ma papà iniziò a peggiorare.”
Come ha scoperto di avere l’asbestosi e il tumore polmonare?
Alla sera papà aveva sempre la febbre, siamo tornati dalla dottoressa, ha proseguito la cura per circa 20 giorni, ma la febbre andava peggiorando e papà era sempre più debilitato fino a che un giorno ci fu un episodio di sangue, la dottoressa continuò a dire di non preoccuparci, che poteva essere un capillare che si era rotto, ma la febbre non passava e solo dopo diverse insistenze la dottoressa si è convinta a fare la tac. Da lì la scoperta, il radiologo ci disse di rivolgerci a un chirurgo perché c’era qualcosa che non andava, siamo andati a Livorno dove papà ha fatto tutti gli esami del caso, ma ormai era tardi perché ormai il tumore era in metastasi. Un vero peccato perché se il tumore al polmone è diagnosticato al primo stadio è possibile intervenire, estirparlo chirurgicamente e poi sottoporre il paziente a chemioterapie. Però nel nostro caso, fino quasi alla morte, nonostante ci fossero chiari sintomi di tumore polmonare da amianto, a Romano, mio padre, veniva negata l’esatta diagnosi. Abbiamo fatto dei controlli, in particolare la broncoscopia per capire che tipo di tumore fosse e ci hanno detto che era un adenocarcinoma, papà ha fatto un ciclo di chemio, molto leggero, perché era già debilitato. A novembre è morto. Io avevo sentito parlare dell’amianto, mi sono attivato, circa tre anni dopo la morte di mio papà, caso volle che conobbi una dottoressa, radiologa all’ospedale di Siena, le ho portato i dischetti della Tac, mi ha fatto una relazione che rivelava che papà aveva asbestosi e le placche pleuriche che gli hanno causato questa malattia. Per farla breve, per conoscere la verità sono dovuto andare a Siena, non a Rosignano. L’asbestosi e le placche pleuriche sono state diagnosticate solo post mortem.
Come ha conosciuto l’avv. Bonanni e l’ONA?
Ho partecipato ad una assemblea dell’ONA che si è tenuta a Rosignano Solvay già nel maggio del 2010 e poi ancora nell’ottobre dello stesso anno e fu in quella circostanza che illustrai all’avv Ezio Bonanni i sintomi. Fu proprio l’avv. Ezio Bonanni a non vederci chiaro sulla storia di mio padre, in particolare gli risultava strano che a un lavoratore esposto ad amianto che aveva i chiari sintomi di un tumore polmonare gli fosse praticata una cura antibiotica, per di più senza un preventivo esame TAC o PEC. Ho informato il medico curante della ASL che continuava ad insistere nel sostenere che occorreva la cura antibiotica, poi alla fine invece, quanto è stata fatta la TAC PET si è scoperto che le metastasi avevano invaso tutto l’organismo e il mio povero babbo è morto pochi giorni dopo. Purtroppo c’è poca attenzione per la vita umana, la vita di questi lavoratori viene considerata meno di zero. Ci sono degli assassini che però rimangono impuniti. Il processo penale per la morte del mio babbo si è chiuso perché l’imputato, ultranovantenne, nel frattempo è morto. L’amianto ha distrutto la mia vita e quella della mia povera madre, che poi è morta di crepacuore. Viviamo in uno stato che non tutela la vita umana e la sua dignità e che permette delle vere e proprie stragi silenziose, come quella dell’amianto.
*Ufficio stampa ONA
Redazione
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