Piani neoliberisti

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Nel biennio 2009-2011, a Firenze sono portati ad approvazione, da Giunte di uguale segno politico ma di diversa natura antropologica, due piani strutturali. Entrambi gli strumenti, redatti mentre a livello globale imperversano gli effetti nefasti di un finanzcapitalismo basato sull’immobiliare, sono svuotati di senso pianificatorio: insofferenti a regole che possano costringere le manovre di mercato, essi non si prefiggono né di placare la mercificazione degli spazi urbani, né di perseguire il bene comune. Acquisendo anzi strumentazioni mutuate dal mondo finanziario, l’urbanistica si fa tossica. E il Comune la riduce a strumento per far cassa.

 

«Biagi&Co.»: un piano per la bolla edilizia

Aprile 2009: il piano strutturale[1] della giunta Domenici, presentato in Consiglio comunale a ridosso delle elezioni (Veltroni docet), è ritirato per un cedimento della maggioranza. Una manifestazione cittadina e un presidio sotto Palazzo Vecchio accompagnano il tramonto di un PS senza qualità[2]: sono «premiati anni di battaglie e mobilitazioni, messe in atto da cittadinanza attiva e forze sociali dal basso»[3] contro un documento prodotto da un’amministrazione «decapitata»[4] dalle indagini giudiziarie.

Il piano arriva orfano in consiglio: l’assessore Gianni Biagi e il dirigente comunale del Settore Urbanistica, Gaetano Di Benedetto, sono entrambi dimissionari a seguito dell’apertura di un’inchiesta su Castello da parte della magistratura[5]. Il PS, peraltro, non era nato sotto una buona stella: adottato una prima volta nell’aprile 2004, è rimesso in discussione dai risultati del Forum cittadino per il piano strutturale e forse anche dall’entrata in vigore della nuova legge regionale per il governo del territorio, la LR 1/2005[6]. Nel 2007 ne è adottata la seconda versione – «se possibile aggravata rispetto a quella del 2004»[7] – bersaglio di forti critiche sia da parte della cittadinanza, che dell’università. Si tratta, afferma l’urbanista Paolo Baldeschi durante un convegno alla facoltà di Architettura, di un piano i cui contenuti sono espressi con un’«enfasi inversamente proporzionale alla loro consistenza»[8] e i cui obbiettivi prescindono dalle competenze di un piano urbanistico. Valga come esempio l’individuazione – quale obbiettivo «della strategia tematica per l’ambiente urbano» – della «maturazione di Firenze come cerniera dell’universo rurale e dell’universo urbano della Toscana». I toni sono sopra le righe.

Strategie e contenuti, invece, volano basso e si configurano come «lasciapassare» alla rendita fondiaria e immobiliare. I comitati e la cittadinanza contestano: la prevista colata di cemento, stimata in 4,5 milioni di metri cubi che si aggiungono ai non computati 1.400.000 mc di Castello[9] e alla voce giunta in extremis (in fase di controdeduzioni) di altri 435.000 mc sulle aree ferroviarie in disuso; l’assenza di una visione generale per il reimpiego degli edifici e delle aree dismesse o in dismissione[10]; l’aggressione alle aree agricole superstiti. Criticano infine aspramente il metodo: l’art. 44 delle NTA – che prevede l’apertura ai privati nella scrittura del regolamento urbanistico, attraverso «procedure di evidenza pubblica» (procedure sulle quali dovremo tornare nel prosieguo) – è, da solo, la rappresentazione della rinuncia alla titolarità pubblica nel disegno di trasformazione della città.

 

Renzi: un piano strutturale che allude, ammicca, elude

Eclissatosi il piano Domenici, un secondo Piano strutturale è elaborato dalla giunta entrante che, fin dal suo insediamento, esprime la volontà di un deciso rinnovamento e – in linea con la parabola discendente della disciplina – dissolve l’assessorato all’Urbanistica, assunto ad interim dal neosindaco Renzi. Il PS, redatto di gran furia rimaneggiando, più nella forma che nella sostanza, il vecchio «piano Biagi&Co» e ignorando come «non pertinenti» le osservazioni presentate da comitati, associazioni e dagli “esperti critici”[11], è approvato a ridosso del San Giovanni del 2011, a distanza di cinquant’anni esatti dall’approvazione del Piano Detti: secondo il sindaco sarebbe il segno tangibile di una continuità con Giorgio La Pira (che tuttavia non trattenne a sé l’urbanistica ma, com’è noto, la delegò a un progettista di riconosciute qualità come Edoardo Detti).

Il piano Renzi è uno strumento pubblicitario a pro del rampante primo cittadino, in cui si scambia ripetutamente il contenuto col messaggio, la verità con l’illusione: sostenuto da un battage mediatico sovradimensionato, il piano procede per slogan politici che alludono – ammiccanti – ai temi del dibattito disciplinare. Malgrado le dichiarazioni, esso non prende le distanze dal precedente PS e ne assume il quadro conoscitivo (che non si distinse certo per accuratezza).

Ma la cifra del piano è, senza dubbio, la rinuncia alla tutela, compito essenziale della disciplina che già Maurizio Lupi (Forza Italia), nel suo primo DdL di riforma urbanistica, tendeva ad espungere dal governo del territorio[12]. Rinuncia riscontrabile nelle scarne analisi e nelle poco convincenti proposte che il documento dedica alla città intramœnia, ai borghi storici estramurari e alla campagna residua, nonché nella perseverante assenza di previsione di un piano particolareggiato di recupero per il centro storico. Anche il paesaggio collinare rischia di non essere sufficientemente salvaguardato[13]. In termini tecnici, l’approccio si traduce nel manchevole riconoscimento delle “invarianti strutturali”, che la LRT 1/2005 indica come gli elementi della città e del territorio da sottoporre a tutela[14].

Scrive Vezio De Lucia che «la tendenza a scorporare la tutela dall’urbanistica induce a trasformare gli strumenti della pianificazione ordinaria in atti volti a disciplinare esclusivamente l’edificazione e l’infrastrutturazione del territorio»[15]. La proposizione coglie appieno la duplice natura – infrastrutturalista e cementificatoria – del PS fiorentino.

La natura infrastrutturalista è plateale fin dal primo rigo del piano, che in ogni sua parte si rende strumentale all’incremento della rete viaria. Le tavole sono un banchetto infrastrutturale imbandito per la leccardìa dei costruttori: i privati spizzicheranno qua e là, fuori da un qualsiasi progetto organico di mobilità e di sosta improntato alla pubblica necessità, e fuori da qualsiasi bisogno espresso dalla cittadinanza: tangenziali, passanti, circonvallazioni ipogee e di superficie, tramvie nel sottosuolo del quadrilatero romano, parcheggi interrati[16], sottopassi, sovrappassi, ponti, penetranti urbane, road pricing. Mai tuttavia sono citati la costruzione del nuovo aeroporto, né la TAV che attraverserà con doppio tunnel il cuore della città.

La natura cementificatoria, pur prorompente, è negata dal mendace slogan dei “volumi zero” ripetuto a tambur battente dal sindaco televisivo. Slogan smentito dall’entità effettiva dei volumi, peraltro cresciuti vistosamente – come ormai d’abitudine – in fase di controdeduzioni[17]. Gli esperti critici stimano la colata in due milioni di metri cubi[18]: i residui del PRG, le volumetrie del parco ferroviario, quelle di Castello, più le trasformazioni connesse all’alienazione dei beni comunali, alla dismissione di caserme, tribunali, uffici postali, industrie etc. cui si vanno ad aggiungere i non computabili “volumi occulti” (premialità, volumi ipogei etc.). Quanto ai contenitori dismessi – su cui dovrebbe vertere il progetto per la città postindustriale – il PS non prospetta alcun programma organico di recupero e, anzi, dà spazio a una creativa, futura «adozione di atti negoziali in luogo di atti autoritativi»[19].

Consustanziale all’idea della città in eterna crescita è il ricorso del PS alla “perequazione urbanistica” che, per sua natura, in quanto contrattazione pubblico-privato, «rifiuta la partecipazione popolare»[20]: attraverso procedure perequative saranno gestiti i volumi provenienti dall’abbattimento di «volumi incongrui» interni alla città consolidata che potranno “atterrare” (con aumento di volume fino al 30%) in altri settori del territorio comunale non edificati; ma non basta, la loro demolizione dà anche luogo alle figure inquietanti dei diritti edificatori da iscrivere in un apposito registro dei crediti edilizi[21], malvisto dall’Antimafia[22].

Oltre a non costituire un avanzamento culturale o disciplinare, il PS elude il suo significato profondo di progetto fondativo – fisico e sociale – della comunità per il suo ambiente di vita. L’assenza di un progetto generale per la città, organico e condiviso, risulta tanto più ingiustificabile quando si pensi che il PS, nella sua parte statutaria, è da riguardarsi propriamente come una «carta costituzionale del territorio»[23]. Ma, per la giunta Renzi, il progetto e l’«idea di città» risiedono proprio nella creazione di occasioni speculative estranee a un sistema di regole condivise.

 

Pianificazione autocratica

L’analisi del solo strumento di piano rischia tuttavia di lasciare in ombra quanto, pur suscettibile di esservi ricompreso, rientra nel sovrammondo normativo, nell’extrapianificatorio. Vediamo come.

La fiducia istituzionale nella contrattazione pubblico-privato, mirabilmente esplicitata nel citato art. 44 del mai approvato piano Domenici, è solo apparentemente liquidata: la “pianificazione” renziana, pur incardinata sui medesimi principi, si premura di non mostrare alla luce del sole i favori che intesse per la rendita privata, e procede con atti dirigenziali che, provenienti dalle stanze del sindaco, non passano per l’aula consiliare. Attraverso un artificio derivante dalla combinazione di un articolo sulle norme di salvaguardia (NTA, art. 7) e un provvedimento dirigenziale emanato due settimane prima dell’approvazione del PS[24], sono individuate venti aree di ristrutturazione urbanistica sulle quali è consentito il cambio di destinazione d’uso: tra di esse, la Manifattura Tabacchi, il Panificio Militare e l’ex Gover. Aree che rappresenterebbero le occasioni di recupero urbano, a fini sociali, sulle quali in una situazione di normale pianificazione avrebbe dovuto imperniarsi il piano[25]. Dunque: venti «piani di recupero a indirizzi zero»[26] predetermineranno il RU, «ancorché in variante al PRG»[27] (cioè con legittimità formale, ma fuori dalle procedure democratiche). In una domanda di attualità presentata da perUnaltracittà, a ragione si chiede: «nel Piano strutturale le principali aree di trasformazione come Castello o Novoli si ereditano dal passato, si danno per fatte e non si conteggiano; i venti Piani di recupero con cambio di destinazione si sottraggono alla procedura ordinaria. Che resta da regolamentare?»[28]

E, soprattutto, chi deve regolamentare, se non la proprietà stessa? Così, a piano approvato, i medio-grandi proprietari sono chiamati a raccolta per scriverne il regolamento attuativo, nel solco tracciato dal piano Domenici da cui Renzi prometteva di prendere le distanze. Il Comune procede alla consultazione dei proprietari di «immobili in trasformazione» di superficie maggiore ai 2000 mq, tramite una procedura di evidenza pubblica – il “bando di pubblico avviso”[29] – funzionale alla formulazione del regolamento: saranno i privati detentori di aree in trasformazione a indirizzare la normativa, nel nome della prevalenza dell’interesse particolare sugli interessi diffusi dei cittadini.

Sono accolte 217 istanze, riversate nel RU zelantemente redatto dall’ufficio tecnico comunale in linea coi dettami del principe. Ignorate invece quelle istanze collettive e “dal basso”, provenienti da comitati e realtà cittadine che da anni portano avanti esperienze culturali e sociali di grande rilevanza cittadina in spazi abbandonati. Con la collaborazione di urbanisti critici, il centro sociale Next Emerson risponde al bando richiedendo, per la fabbrica che da anni sta occupando, l’introduzione di una voce di destinazione d’uso che preveda «sia l’autogestione dell’edificio che l’uso culturale, sportivo e sociale»[30]. Nel RU – un «piano senza piano»[31] redatto sottovuoto con la regìa del nuovo assessore all’urbanistica Elisabetta Meucci – la scheda dedicata all’area non dà speranza: in un rendering che vi è pubblicato, una batteria di villette a schiera occupa già il sedime della fabbrica da demolire.

Sovrabbondante in termini di schede prodotte (975 pagine!) ma privo di progetto, il RU si limita a declinare operativamente l’idea renziana della gestione urbana, privatistica e mercantilistica[32]. All’insegna dell’amnesia.

 

Autoreferenzialità fiorentina

Le vicende amministrative che abbiamo ricordato si inquadrano in una situazione regionale che, nell’avvicendamento elettorale, vede l’urbanistica cambiare di segno politico e culturale. Iniziamo dal principio.

Per due legislature, fino al 2010, è assessore all’urbanistica e alle infrastrutture della giunta Martini, Riccardo Conti. Nel decennio, la regione è investita da un’alluvione cementizia favorita da una generale deregolazione, dal sempre maggior potere che la riforma Bassanini attribuisce ai sindaci, e dal travaso nelle spese ordinarie comunali dei proventi delle concessioni edificatorie (che il disapplicato art. 12 della L. 10/1977, detta “Bucalossi”, legava invece alle opere di urbanizzazione, al risanamento dei centri storici, all’acquisizione delle aree da espropriare). In clima di austerità e di tagli ai trasferimenti statali ai comuni, concedere nuove edificazioni costituisce uno dei maggiori introiti per le casse comunali.

Caratterizzato da una forte conflittualità con i comitati per la difesa del territorio[33], l’assessorato Conti cede il passo ad Anna Marson, paladina della tutela del paesaggio e della difesa dei suoli agricoli. Lascia tuttavia l’amaro in bocca agli “attivisti dal basso” che ne avevano ben accolto la nomina, la scissione delle deleghe attuata dal presidente Enrico Rossi tra territorio (Marson) e infrastrutture (Ceccobao, poi Ceccarelli) – solo quest’ultima con portafoglio – prima compresenti nell’unico assessorato Conti (e nuovamente riunite nell’attuale legislatura, la seconda di Rossi).

In questo scenario, la pianificazione fiorentina, frutto di decisioni autocratiche dalla forte risonanza mediatica, fuori da una seria programmazione e da una condivisione delle scelte, procede in solitario e per frammenti, indifferente a quanto in Regione sta producendo l’opera dell’assessore Marson: Parco della Piana metropolitana, Piano paesaggistico, nuova legge 65/2014 sul governo del territorio. Atti e strumenti di sapore ecologista volti alla riproduzione delle qualità paesaggistiche e alla limitazione del consumo di suolo fertile. Renzi, divenuto primo ministro, ne ostacolerà l’attuazione da palazzo Chigi[34].

*Ilaria Agostini

[Il testo è apparso nel libro Urbanistica resistente nella Firenze neoliberista: perUnaltracittà 2004-2014, a cura di Ilaria Agostini, Aión, Firenze, 2016, pp. 47-55; del libro, abbiamo già pubblicato i capitoli: Un’altra idea di città, della curatrice; Dal Palazzo al città, e ritorno di Ornella de Zordo; L’urbanistica in consiglio comunale di Maurizio Da Re; Comunicare il pensiero critico di Cristiano Lucchi]

Note al testo

[1] Nel 1995 la legislazione toscana ridefinisce il piano urbanistico comunale – il “vecchio” PRG – suddividendolo in parte strategico-statutaria (Piano strutturale, PS) e parte operativa (Regolamento urbanistico, RU) della durata di cinque anni (LR 5/1995, artt. 23-28).

[2] Un corteo per le vie cittadine ha luogo il 4 aprile 2009 e vede tra i promotori: Csa Next Emerson, Movimento di lotta per la casa, San Salvi chi può, NoTunnel Tav, Comitato cittadini Belfiore-Marcello, PUC [perUnaltracittà].

[3] Fermato il Piano strutturale: «Premiati anni di battaglie», com. stampa PUC, Firenze, 20 aprile 2009.

[4] Appello per fermare il Piano Strutturale di Firenze. Fermiamo l’ultimo furto alle generazioni future, com. stampa PUC, Firenze, 2 aprile 2009. L’appello promosso da PUC vede tra i primi firmatari, oltre alla consigliera comunale, Paolo Baldeschi, Giorgio Pizziolo, Sergio Brenna, Paolo Berdini.

[5] Sull’annosa vicenda cfr. anche Paolo Baldeschi, Gianni Barbacetto, Maurizio De Zordo, Edoardo Salzano, L’affaire Castello, Unaltracittà/Unaltromondo, Firenze, 2008; Paolo Baldeschi, Il progetto Castello, specchio dell’urbanistica fiorentina, “eddyburg”, 6 gennaio 2009.

[6] Cfr. Comune di Firenze, Piano Strutturale. Relazione generale, Firenze, 2007, p. 3, e Raimondo Innocenti, Il recupero e la trasformazione delle aree dismesse nel Comune di Firenze, Scala, Firenze, 2009, p. 14.

[7] Giorgio Pizziolo, 2004-2007: le trasformazioni del piano strutturale, in Mariella Zoppi (a cura di), Il nuovo piano di Firenze, atti della Giornata di studio sul nuovo Piano Strutturale di Firenze, suppl. a “Contesti. Città territori progetti”, n. 2, 2007, p. 21.

[8] Paolo Baldeschi, Il piano strutturale di Firenze, estrema torsione della politica toscana di governo del territorio, “Contesti. Città territori progetti”, n. 2 (suppl.), 2007, p. 85.

[9] Cfr. infra il saggio di Antonio Fiorentino [di prossima pubblicazione in questa rubrica, NdC].

[10] In questi anni, la mobilitazione cittadina per il destino dell’ex Panificio Militare è esemplare: cfr. Antonio Fiorentino, Il quadro del disastro, “Quaderni di inchiesta urbana”, Unaltracittà/Unaltromondo, Firenze, 2008, s.n.p. [20-23].

[11] Si vedano ad esempio le osservazioni elaborate da PUC (raccolte in perUnaltracittà, Verso il nuovo Piano strutturale. Le osservazioni di perUnaltracittà lista di cittadinanza, Firenze, 2011) o dal comitato San Salvi Chi Può (reperibili su https://sites.google.com/site/sansalvifirenze/).

[12] DdL 3519S, Principi in materia di governo del territorio, 2005. Sul DdL cfr. Maria Cristina Gibelli (a cura di), La controriforma urbanistica, Alinea, Firenze, 2005. Ministro delle Infrastrutture nel governo Renzi, Maurizio Lupi presenterà una seconda bozza per la riforma della legge urbanistica nazionale in senso neoliberista (cfr. Ilaria Agostini, Urbanistica tossica, “il manifesto”, 3 agosto 2014).

[13] Nelle NTA si legge, ad esempio, che nell’«Invariante del paesaggio collinare» è consentita la costruzione di «scuole medie superiori […]; attrezzature universitarie; attrezzature sanitarie e ospedaliere; complessi sportivi e ricreativi urbani […]; attrezzature per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani e impianti di depurazione; carceri; uffici di enti pubblici sovracomunali; [nonché] la realizzazione, l’adeguamento e l’ampliamento di infrastrutture, attrezzature e servizi pubblici e privati di livello comunale» (PS, art. 11.4.5).

[14] Cfr. Comune di Firenze, Piano strutturale, Firenze, 2011, tav. 2 (Invarianti strutturali). Si veda inoltre: Ilaria Agostini, Firenze: un piano già vecchio, “eddyburg”, 20 maggio 2013 (intervento al convegno Per una nuova urbanistica regionale. La riscrittura della legge sul governo del territorio, Firenze, Palazzo Vecchio, 23 aprile 2013).

[15] Vezio De Lucia, I peggiori anni della nostra vita, in Gibelli, La controriforma urbanistica cit., p. 81.

[16] In Comune di Firenze, Piano strutturale 2010. Avvio del procedimento, 2010, si legge che «prima azione da mettere in campo, per il centro storico, è promuovere la realizzazione di parcheggi interrati» (p. 45: si noti anche che è proprio con questa affermazione che si introduce, nominandolo per la prima volta nel documento, il tema del centro storico).

[17] Cfr. Piano strutturale: «Un piano sempre meno a volumi zero», com. stampa PUC, Firenze, 6 giugno 2011: «Anche le osservazioni della NIT (ovvero della proprietà Fondiaria di Castello), delle Ferrovie sulle aree ferroviarie – oggetto del Protocollo d’Intesa del 2008 –, quelle delle Poste sugli attuali uffici postali, e quella del cinema Fulgor vanno ad aumentare quel carico invisibile che o il Piano dà già per costruito e quindi non conteggia, o che vede interi pezzi della Città finora di proprietà o di interesse pubblico diventare a destinazione prevalentemente privata».

[18] Sulla quantificazione delle volumetrie cfr. Antonio Fiorentino, La straordinaria occasione delle aree dismesse: speculazione o liberazione della città?, in Gruppo Urbanistica PUC, Per una carta costituzionale del territorio fiorentino, 2010, pp. 23-27.

[19] Dal citato DdL Lupi (art. 5, c. 4).

[20] Pier Luigi Cervellati, Dal tracollo dell’urbanistica bolognese al progetto di «città di città», in Paola Bonora, Id. (a cura di), Per una nuova urbanità dopo l’alluvione immobiliarista, Diabasis, Reggio Emilia, 2009, p. 27.

[21] Comune di Firenze, Piano strutturale 2010. Norme tecniche di attuazione, 2010, art. 36.4.

[22] Cfr. Ferruccio Sansa, Miracolo (edilizio) a Milano, “il Fatto Quotidiano”, 6 luglio 2010.

[23] Gruppo Urbanistica PUC, Per una carta costituzionale del territorio fiorentino cit.; sulla natura statutaria del PS cfr. anche ReTe dei Comitati per la difesa del territorio, L’ambiente, il territorio, i beni culturali, la salute. Documento in occasione delle prossime elezioni regionali in Toscana, 8 ottobre 2010, in Id., La vertenza toscana, a cura di Claudio Greppi, 2010, pp. 86-96, www.territorialmente.it.

[24] Comune di Firenze, provvedimento dirigenziale n. 04748 del 9 giugno 2011, avente per oggetto: Proposte dei piani di recupero in variante al Prg vigente e conformi agli indirizzi del PS adottato con deliberazione n. 57 del 13/12/2010 – Criteri utili a definire le fattispecie che possono essere portate avanti nelle more dell’approvazione del Ru. In merito a questo passaggio, rimando al mio Pubblica felicità e magnificenza civile. Le elusioni dell’urbanistica fiorentina del XXI secolo, in Daniele Vannetiello (a cura di), Dove va l’urbanistica?, Aión, Firenze, 2011, pp. 8-11.

[25] «Il principio fondante il Piano Strutturale è quello di affidare la trasformazione della città al solo recupero di aree già urbanizzate attraverso [appunto…] interventi di sostituzione edilizia e di ristrutturazione urbanistica tesi a recuperare diffusamente qualità urbana ed ambientale» (Comune di Firenze, Piano strutturale 2010. Norme tecniche di attuazione, art. 1.5).

[26] Ecco come si aggirano le regole con i Piani di recupero a indirizzi Zero, com. stampa PUC, 25 luglio 2011

[27] Provv. dirig. n. 04748 cit.

[28] Ecco come si aggirano le regole con i Piani di recupero a indirizzi Zero cit.

[29] Peraltro emanato con “determina” e quindi direttamente dal sindaco. Il pubblico avviso è previsto dall’art. 13 del reg. 3/R/2007 alla LR 1/2005.

[30] Cfr. supra il saggio di Ornella De Zordo.

[31] Urbanistica a Firenze. Un regolamento urbanistico che ignora l’interesse collettivo, com. stampa PUC, Firenze, 11 febbraio 2013.

[32] Sul RU cfr. gli articoli apparsi su “La Città invisibile”: Roberto Budini Gattai, I piedi sulla città, o del Regolamento Urbanistico di Firenze, n. 16, 11 marzo 2015; Id., Dal Regolamento Urbanistico al Regolamento dei conti, n. 18, 13 aprile 2015; e il mio Firenze: il regolamento urbanistico elusivo, n. 16, 11 marzo 2015.

[33] Una delle innumerevoli lottizzazioni nelle campagne toscane è all’origine di un’annosa querelle tra Conti e i comitati: cfr. Alberto Asor Rosa, Il cemento assale la Val d’Orcia, “la Repubblica”, 24 agosto 2006.

[34] Sull’impugnativa della LRT 65/2014 da parte del governo Renzi che ne impediva l’entrata in vigore, cfr. Vandana Shiva, Ilaria Agostini, Una legge per ricordare che noi siamo la terra, “la Repubblica”, 23 gennaio 2015; Ilaria Agostini, Paolo Berdini, Alt alla legge urbanistica, passi l’ipermercato!, “La Città invisibile”, n. 12, 14 gennaio 2015.

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Ilaria Agostini

Ilaria Agostini, urbanista, insegna all'Università di Bologna. Fa parte del Gruppo urbanistica perUnaltracittà. Ha curato i libri collettivi Urbanistica resistente nella Firenze neoliberista: perUnaltracittà 2004-2014 e Firenze fabbrica del turismo.

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