Le colpe dei potenti hanno tre gradi di giudizio, vanno in prescrizione e si insabbiano, quelle presunte dei subordinati si puniscono, e subito, senza se e senza ma! E voi avete capito cosa sta succedendo?
Sui licenziamenti nel pubblico impiego
“…E dal momento che questo principio è l’ingiustizia, ecco che l’uomo ingiusto diventa, regolarmente, il giusto, e non solo per effetto di un’illusione o di un inganno, ma in quanto è sostenuto dall’onnipotenza della legge che governa la riproduzione della società”
(Adorno Theodor, 1954, [1951], Minima moralia, 1946-47, Einaudi, pag. 221)
Due pesi e due misure
I membri del consiglio di presidenza di Giustizia e Libertà hanno chiesto a fine marzo 2017 le dimissioni della ministra Marianna Madia dopo l’inchiesta del Fatto Quotidiano sulla sua tesi di dottorato: “Il Fatto ha documentato che la tesi di Dottorato del ministro Marianna Madia contiene intere frasi plagiate da opere di altri autori. Comunque si vogliano leggere le percentuali di testo non originale è un fatto molto grave, ed è gravissimo che i grandi giornali italiani non se ne stiano occupando. Perché qui non si tratta di quantità. Si tratta di qualità, si tratta di etica”. Il dottorato è stato conseguito presso IMT di Lucca. Libertà e Giustizia afferma: “Ora, questo comportamento diventa gravissimo quando riguarda chi è ora un ministro della Repubblica. Ed è politicamente insostenibile quando riguarda un ministro che ha proposto una riforma della Pubblica amministrazione che brandisce il vessillo della ‘meritocrazia’ e si propone la caccia si ‘furbetti’. Ora la ministra Marianna Madia ha la possibilità di migliorare davvero la Pubblica Amministrazione. Dimettendosi” (F.Q., “Tesi di Dottorato copiata”, Il Fatto Quotidiano, 30 marzo 2017).
La Ministra tedesca dell’istruzione Annette Schavan aveva plagiato parti della sua tesi di dottorato e il titolo le è stato revocato dall’Università di Dusseldorf dove l’aveva conseguito e la ministra ha presentato subito le dimissioni.
La ministra Madia ha risposto minacciando “valuteranno i giudici i danni che ho subito”. Da fine marzo niente più nuove sul tema. Insabbiato? Timori delle denunce della ministra? Molti articoli parlano di “presunto plagio” sapendo che i potenti quando vengono colpiti attaccano, possono attaccare, hanno i soldi per le cause, a differenza di chi sta in basso. Con il nuovo testo unico sul pubblico impiego, noto come Madia, fra le cause di licenziamento ci sono “le false attestazioni per ottenere posti e promozioni”. Le regole evidentemente sono per i sudditi, non per i re, per questo vanno calpestati.
Non abbiamo letto nulla su questo argomento su Toscana Notizie
Il 15 maggio 2017 su Toscana Notizie appare uno scarno comunicato: “In applicazione di quanto previsto dalle nuove regole in materia di sanzioni disciplinari nella pubblica amministrazione, un dipendente della Regione Toscana è stato licenziato per falsa attestazione in servizio tramite timbratura del cartellino. Il provvedimento è stato preso dall’ufficio disciplina nei giorni scorsi, sulla base della cosiddetta normativa Madia che ha introdotto la procedura abbreviata” (Paolo Ciampi, “Licenziato dipendente”, Toscana Notizie, 15 maggio 2017).
Così apprendiamo che in Italia si possono insabbiare i processi per le stragi di stato, si possono non punire le torture avvenute durante il G8 di Genova 2001 perché non c’è una legge sul reato di tortura, apprendiamo che non è un reato grave che presuppone il licenziamento in tronco la tangente che ruba miliardi ai fondi pubblici, ma lo è l’uso scorretto del cartellino, è ovvio, non si può non punire l’uso scorretto del cartellino! Sarà perché in una società capitalista il tempo è denaro, peccato che lo stipendio del pubblico dipendente, non del raccomandato, ma di quello assunto con concorso, (e non del dirigente che è super-pagato) in Italia sia simile a un sussidio di disoccupazione di altri paesi europei! Visto che un’ora del lavoro del funzionario della Regione Toscana è pagata 10 euro lordi, e noi le tasse le paghiamo per intero, si tratta di ben poca cosa dal punto di vista economico, quando parliamo di una frazione di tempo in meno di lavoro.
Inoltre la pena per l’uso scorretto del cartellino non differenzia una scollamento di pochi minuti da assenze protratte perché queste sottigliezze sono delegate ai giudici che in questo caso possono intervenire solo quando la sanzione è comminata. Ma la punizione è urgentissima?!
Va ricordato che l’assenza dal lavoro senza giustificazione era già, prima di Madia, una delle ragioni di licenziamento nel pubblico impiego. In questo caso invece il licenziamento in tronco senza nessun grado di giudizio, avviene non per assenza dal lavoro, ma per “falsa attestazione in servizio tramite timbratura del cartellino”, che può ridursi ad un mero errore nella timbratura. Licenziamento immediato che come sappiamo non è previsto per reati ben più gravi (mafia e tangenti).
La presunzione di colpevolezza
Ma i giornalisti che scrivono sul tema con tanto odio per i dipendenti pubblici, hanno mai timbrato, da un minimo di quattro a sei volte al giorno o più? Hanno mai riempito gli estenuanti moduli in burocratese che devono giustificare tutti i permessi personali, ma anche il servizio esterno alla sede, la missione, il corso di formazione etc, etc? Sanno che in caso di missione per i dipendenti della Regione Toscana il tempo di viaggio non è considerato tempo di lavoro e quindi si configura come un tempo di lavoro non retribuito? Sanno che va fatta una timbratura e compilato un modulo per ogni piccolo spostamento? La disposizione che va effettuato servizio esterno (cioè lavoro fuori dalla sede di servizio, tipicamente in altra sede della regione ma nella stessa città della propria sede), o missione (fuori dalla propria città di assegnazione) è del dirigente ma il dipendete deve compilare il modulo di richiesta del servizio esterno e inoltrarla allo stesso dirigente, come se chiedesse un permesso personale, poi deve compilare quella dello svolgimento del servizio esterno, o svolgimento della missione, ovviamente dopo e solo se il dirigente ha vidimato il permesso per il servizio esterno o la missione. E sanno che se il dipendente va in missione oltre a chiedere di andare in missione attraverso un modulo, deve pure comprarsi i biglietti e chiedere l’anticipo? No, questo trattamento che presume la colpa non è un trattamento destinato a tutti i lavoratori: probabilmente per i giornalisti viene valutato come lavorano, non ogni singolo spostamento (per esempio l’interruzione del lavoro per cibo, gabinetto, caffè, bottiglietta d’acqua, dopotutto siano esseri umani), ritenuto irrilevante ai fini della loro attività.
Il lavoro dei dipendenti pubblici è sottoposto a molteplici vagli: oltre alla timbratura del cartellino che segna la presenza in servizio, c’è la valutazione degli apporti individuali contenuti nei piani di lavoro ogni sei mesi con tanto di voti (da 0 a 7) sui vari compiti e attività e sui vari comportamenti. Poi ci sono gli strumenti elettronici: telefono e computer. Su ogni computer è installato un software che è in grado di controllare tutto proprio come immaginato dal Orwell, ma ovviamente è a fin di bene, contro i cattivi, ma questo lo credono solo i fessi e i criminali che ritengono che il fascismo sia contro il male, e non il male in sé.
La cosa sconcertante è che la Regione Toscana fa seguire i corsi anti-corruzione obbligatori ai dipendenti che non hanno nessun potere decisionale e non a chi potrebbe essere corrotto, perché prende decisioni discrezionali (compresi i politici esentati ovviamente da questi corsi che sono uno scarica barile a cui non crede nessuno). Ma siamo in un paese che non ha fatto i conti con il fascismo e se ne sente ancora il peso.
Sui giornali che parlano del licenziamento nessuno ha usato la formula “presunto uso scorretto del cartellino”. Sintomo che non temono cause contro di loro. I subordinati non fanno paura, si presume che non siano in grado di difendersi. E in un paese che ha fatto dell’ingiustizia la sua bandiera purtroppo questo è in parte vero. Ma la storia ci insegna che una strada c’è.
Punire in basso a casaccio per salvaguardare i veri colpevoli del dissesto del paese
Tutti in regione sanno che l’obbligo ad un orario di lavoro giornaliero predefinito ce l’hanno solo i dipendenti e non i dirigenti (e questo è vero in tutta Italia in base al CCNL per il personale con qualifica dirigenziale del comparto regione- autonomie locali del 10/4/1996). Quindi lo stesso comportamento del dipendente licenziato se adottato da un direttore o un dirigente non avrebbe comportato il licenziamento. Il CCNL citato infatti non prevede riferimenti all’entità del debito orario giornaliero del dirigente, né tanto meno esiste un orario predefinito, quindi risultano prive di rilievo le assenze orarie. I contratti sono differenti, ma siccome non sono una legge di natura, né una legge divina, ma una legge elaborata dai parlamenti e dai governi, il responsabile di questa iniqua differenza è presto trovato. E quindi? Due pesi e due misure, e questo è il nocciolo sella questione. I direttori sono scelti dal presidente della regione e quindi automaticamente leali al politico in modo diretto, non mediato dalle leggi, come dovrebbe essere; i dirigenti sono scelti dai direttori che sono scelti dalla politica; le posizioni organizzative sono scelte dai direttori. Restava fuori dalla cooptazione il funzionario che poteva appunto applicare la legge e applicare la ragione tecnica e non rispondere direttamente all’ordine del politico. Ora, facendo capire ai dipendenti che la discrezionalità è massima e prima o poi tutti possono incorrere in un piccolo errore, con gravi conseguenze, il pubblico dipendente verrà disciplinato. Anche quello che aveva deciso di accettare di non fare carriera per non asservirsi alle richieste del potere, non mediato appunto dalla legge. Ecco lo scopo della campagna contro i dipendenti pubblici: disciplinare, ma non per servire meglio la collettività, ma per servire meglio le élite al potere, senza discussioni e anche al di fuori della legge, ma legalmente, è ovvio. Tutto quello che fa l’élite al potere è legale per definizione. E quello che è fuori per una svista, presto va in prescrizione o diventa legge. Ma attenti a chi non timbra correttamente il cartellino! Che criminali! Mi rubano preziosi centesimi!
Il valore dell’autonomia: per sostenere il bene comune
Se guardiamo in prospettiva il diritto del lavoro vediamo lontano lontano, un periodo di grande forza negli anni Settanta che poi è stato smontato pezzo per pezzo con accuratezza certosina. Qui siamo all’ultimo stadio: limitandoci al discorso sul pubblico impiego, ormai quasi tutto quanto il dipendente pubblico può ottenere in termini di miglioramento economico e di qualità del lavoro, come la soddisfazione nel lavoro, dipende dalla discrezionalità del direttore e del dirigente. Questo esclude un punto focale per la qualità del lavoro nel pubblico impiego: il dover rendere conto alla collettività e non al singolo dirigente con incarico politico e quindi di parte. Il pubblico dipendente dovrebbe rispondere all’interesse collettivo (della maggioranza, delle classi subalterne) e non ai politici al potere, i cui ordini dovrebbero essere mediati dalle leggi, uguali per tutti, almeno fino a quando le leggi non cambiano. Ricordiamo che l’obbligo del concorso pubblico nel pubblico impiego e quindi il diniego della cooptazione dei funzionari pubblici da parte dei politici, nella nostra costituzione repubblicana era dovuto all’obiettivo di evitare rapporti funzionario-politico troppo stretti che avrebbero potuto portare ad asservimenti illeciti, alla corruzione e agli scandali che hanno caratterizzato la storia italiana dalla nascita dello stato.
Lo scopo della punizione esemplare per l’uso improprio del cartellino è semplice: disciplinare i dipendenti pubblici, obbligarli ad applicare senza farsi domande gli ordini impartiti, il comando è comando. Rompere le ultime riluttanze a vedersi come ruote di un ingranaggio e non come persone tutte intere che vogliono far funzionare bene un ente pubblico perché ha effetti sulla vita di tutti noi, compresi i lavoratori. Non si guarda alla qualità del lavoro perché questo metterebbe in crisi tutte le bande di raccomandati incapaci di scrivere una frase che stia in piedi. E mostrerebbe che la qualità dei servizi e delle normative offerte dalla pubblica amministrazione dipendono dall’organizzazione del lavoro ordinata dal datore di lavoro (direttori e dirigenti) e non dalla buona volontà dei singoli che si scontra contro i muri del “non disturbare il manovratore, sa lui cosa è meglio per tutti”, detto in altri termini, come ci ricordano sempre nel corso delle trattative sindacali, l’organizzazione del lavoro è competenza del datore di lavoro, è sotto gli occhi di tutti con quali conseguenze.
Il vero scopo: disciplinare mentre noi vogliamo salvaguardare e riprodurre i beni comuni
Il fatto di non timbrare correttamente può comprendere casi così diversi, che trattarli tutti come se fossero uguali è davvero ingiusto. D’altra parte i tre gradi di giudizio dovrebbero servire proprio a discernere i casi in cui non è come sembra. In cui si deve usare il “presunto” non per paura di cause ma per il rispetto dell’altro. Invece questo è uno dei casi in cui non c’è discussione. In caso di licenziamento in tronco non c’è nessun grado di giudizio, altroché tre. Ma lo stesso non avviene in Italia per le tesi di dottorato copiate: nessun automatismo, deciderà il giudice, chissà quando.
Le leggi le fanno i governi e i parlamenti e il fatto che la tangente in flagrante non provochi il licenziamento in tronco, mentre l’uso scorretto del cartellino lo provoca, dovrebbe far pensare e far capire a cosa serve questa regola.
Serve a spaventare i pubblici dipendenti, a disciplinare i dipendenti pubblici ma non con lo scopo di farli lavorare di più e meglio (e d’altra parte chi ha mai ottenuto qualcosa di buono attraverso la violenza della classe dirigente?), ma con lo scopo di impedire la loro autonomia (slegata da lobby politiche) nel condurre il lavoro per la collettività. Significa che il pubblico dipendente potrà contrastare con difficoltà l’uso improprio delle leggi, la cui interpretazione troppo facilmente cambia a seconda del potere sociale ed economico (e quindi, in un sistema che fa dell’ingiustizia la sua bandiera, politico) di chi fa l’istanza, a scapito dell’uguaglianza di fronte alla legge; potrà difficilmente opporsi nel caso di scelte inspiegabili dal punti di vista tecnico perché motivate da tangenti. Gli si toglie la possibilità di difendere il bene comune. Solo un dipendente pubblico rispettato e non dichiarato colpevole per definizione (addirittura furbetto, fino a prova contraria), può essere il rappresentante dell’interesse pubblico (dei più deboli, dove essere deboli è un pregio visto che la forza è basata sulla cieca violenza e sulla sopraffazione e non certo sulla giustizia) e non dell’interesse di chi è protetto da lobby politiche.
Fa così fragore, la storia del cartellino timbrato in modo scorretto, perché le classi al potere sono riuscite a indirizzare il disprezzo mediatico sul dipendente pubblico invece che sui politici responsabili delle scelte socialmente ingiuste, degli accordi con la mafia, con la criminalità e con le imprese più corrotte. Sono riuscite ad indirizzare la colpa delle loro ruberie sul dipendente pubblico, che si presume colpevole, invece che su chi offre finanziamenti pubblici in cambio di tangenti a spese di tutti quelli che, come i lavoratori dipendenti e i pensionati, pagano le tasse per intero: come se i servizi pubblici non fossero al collasso perché le assunzioni sono bloccate insieme al turn over, perché i finanziamenti vanno alle opere inutili e dannose come la TAV o come gli inceneritori, invece che ai settori pubblici sociali, come sanità, istruzione, università, cultura, biblioteche, musei, cura anziani, cura del territorio; perché i servizi vengono privatizzati con la promessa che il privato funzionerà meglio mentre farà pagare di più il servizio, escluderà chi non può pagare e pagherà di meno i dipendenti usando le leggi che glielo permettono (pagare meno i dipendenti nella vulgata italiana non è da furbetti, è da furbi). Per la stampa non è furbetto chi non paga le tasse; chi usa le leggi infami come il jobs act per pagare meno i dipendenti e far accettare loro condizioni inumane, come un pagamento non congruo del loro tempo di lavoro, che è sottrazione di tempo di vita. Un’accusa quella del furbetto del cartellino, che sposta l’attenzione dai fatti.
Il lavoratore pubblico che fa danno è chi non usa il cervello per migliorare le politiche per la collettività ma per favorire le classi dirigenti. Abbiamo bisogno di lavoratori pubblici che non accettano supinamente gli ordini e promuovono il bene comune e lottano per produrlo e riprodurlo, e per farlo devono essere persone libere, non asservite e ridotte a servi sbeffeggiati.
È davvero l’ora di svegliarsi. Su la testa!
“Ogni forma di morale si è costituita sul modello dell’immoralità e l’ha riprodotta, fino ad oggi, ad ogni stadio dello sviluppo. Non c’è che dire. La morale degli schiavi è veramente cattiva, poiché è pur sempre la morale dei signori” (Adorno Theodor, 1954, [1951], Minima moralia, 1946-47, Einaudi, pag. 222).
*Marvi Maggio
Marvi Maggio
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