Burocrazia o qualità

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Timbra, timbra, timbra? e basta dai! Lasciami lavorare! Diciamolo, ci saremmo aspettati un atteggiamento differente e un po’ più coraggioso da parte del nostro datore di lavoro, la Regione Toscana. Quella che si è sempre detta innovativa e di sinistra.

Di fronte ad un’inaccettabile condanna complessiva, totale e senza appello dei dipendenti pubblici, fondata su una giustizia sommaria, su argomentazioni superficiali e approssimative, profondamente ingiuste e vessatorie, la Regione Toscana NON ha affermato con decisione e coraggio il nostro valore, le nostre capacità, i risultati positivi del nostro lavoro, e neppure ha pensato di ricordare che quello che conta alla fine è la qualità del lavoro non la mera quantità, è la creatività e l’impegno in prima persona non la burocrazia, che va abbattuta.

Di fronte a lavoratori che offrono spesso competenze, cultura, grado di istruzione ben superiore a quello previsto per la propria categoria (l’opposto succede per gli infami raccomandati di ogni risma che rovinano il nome e la qualità), la regione dunque non trova di meglio che accettare supinamente il punto di vista della parte peggiore dell’opinione pubblica, quella stessa che si esprime nel razzismo, nel sessismo, nella guerra fra poveri. Un’opinione pubblica peraltro costruita ad arte da chi vuole sviare l’attenzione dalle vere ragioni della crisi della pubblica amministrazione, che purtroppo è reale, e consegue in primo luogo a scelte politiche fra cui: la privatizzazione delle funzioni di servizio e di governo; lo svuotamento del ruolo di sostegno alla maggioranza della popolazione; e da pratiche come la corruzione endemica e diffusa (compresa quella definibile così anche se non è punita dalle leggi) e le infami raccomandazioni che costruiscono le carriere degli incapaci, quelli che fanno danni (tecnici) e che rendono davvero poco efficiente il lavoro nella pubblica amministrazione.

La regione dunque, preso atto dell’opinione pubblica e di alcuni fatti che si sono verificati  e sono stati diffusi dalla cronaca, invece di spiegare cosa conta davvero in un luogo di lavoro: la creatività, la cultura, la conoscenza, il lavoro comune, il sentirsi considerati come persone e non solo come erogatori di funzioni, sembra che abbia ipotizzato di irrigidire le norme tanto da arrivare addirittura a immaginare che per andare a prendere un caffè in un bar interno si debba prendere un permesso timbrando. Oltre a non avere senso ci si chiede: chi ha ideato queste norme ha mai lavorato in vita sua? Almeno una volta? Stiamo parlando di lavori che in gran parte riguardano l’uso dell’intelligenza, la soluzione di problemi a cui non si pensa solo quando si è incollati a una sedia, che implicano le relazioni e le discussioni con gli altri, che come tutti sanno possono avvenire in luoghi anche informali, ma il cui fulcro è il contenuto, non dove avvengono.

La pausa breve di 15 minuti massimo con timbratura ha senso se si deve uscire dalla propria sede di lavoro, ma non se vi si rimane.

Ci sembra che già si timbri tutto in continuazione e che aggiungere altre regole non sia sostenibile: il controllo e le regole disciplinari sono anche troppe, ma rischiano di soffocare la voglia stessa di lavorare bene. Potete costringerci a lavorare, ma lavorare bene, con impegno, passione e disponibilità è una scelta e in parte può essere impossibile quando si è trattati da criminali senza esserlo, quando manca il rispetto di noi come persone al di là quindi della nostra funzione come lavoratori. Siamo prima di tutto persone che pretendono il rispetto pieno e assoluto che comporta non essere  accusati e perseguiti per colpe di altri, e che non si presuma la nostra colpevolezza per partito preso.

Siete sicuri, come datori di lavoro, di voler percorrere questa strada? Siete sicuri di voler coagulare la rabbia e anche il disprezzo dei vostri dipendenti?

Siete arrivati a prefigurare addirittura un report periodico per individuare eventuali comportamenti anomali dei dipendenti, da parte dei dirigenti. Anomali? Scusi posso respirare?

Vogliamo ritornare con i piedi per terra e far funzionare bene quest’ente invece di pensare di essere ad Alcatraz? Chi sogna Alcatraz, visto che per fortuna è chiuso da tempo, cambi sogno.

Chiediamo che non si istituiscano ulteriori e nuove forme di controllo e report perché sviano dal concentrarsi su quello che conta davvero: la qualità del lavoro; chiediamo che si riconosca la correttezza e l’ammissibilità della pausa caffè senza timbratura nei bar interni; che si chiarisca esplicitamente che il centro direzionale di Novoli è un’unica sede di lavoro; la pausa breve di max 15 minuti è accettabile solo per chi vuole recarsi all’esterno (non quindi in bar interni). Si lavora quando si è nella propria stanza, nelle stanze dei colleghi, nel corridoio e in ogni angolo di questi orrendi edifici (scrivo da Novoli). In sintesi, lasciateci lavorare in pace!

 

*Marvi Maggio – Cobas Regione Toscana

https://rtcobas.wordpress.com/

 

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Marvi Maggio

Marvi Maggio, ricercatrice indipendente in questioni urbane e territoriali; socia fondatrice dell'International Network for Urban Research and Action; Architetta (laurea in Architettura Politecnico di Torino); abilitazione alla professione di architetto; Dottoressa di Ricerca in pianificazione territoriale ed urbana (Università di Roma La Sapienza); Master post lauream in Scuola di Governo del Territorio (SUM e Università di Firenze); Abilitazione Scientifica Nazionale alle funzioni di professore di seconda fascia per il settore disciplinare 8/F1 pianificazione e progettazione urbanistica e territoriale.

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