Allora tutti intorno alla tavola, luogo così adatto alla condivisione e all’inclusione. Preciso nella sua funzione di dispensare piacere, sparigliare consuetudini, favorire scambi, storie e necessità espressive, dentro e fuori più realtà consentite e non. Procacciatore di mescolanze di saperi, culture e per fortuna contaminazioni significative. Aneddoti, modi di dire, favole e miracoli terreni tangibili e commestibili nella loro interezza.
Si possono così incontrare molti dei nostri perché e destini. Miti e leggende così attuali da aprirci uno “spazio temporale” dove tutto è comprensibile.Dai giochi sulla lettura dei fondi di caffè, agli indovinelli usando i semi dei diosperi o caki, ai diversi tipi di cotture che si sono evolute e non, nel tempo, ai super cuochi, alle super ricette, all’evoluzione/involuzione degli ingredienti. La cucina è stata ed è sempre un fermento. La cucina è profondamente laica, nelle sue infinite possibilità di trasgressione popolare. Un manifesto del nostro ardire e delle nostre paure (le diete). La fame.
Davvero la cucina è politica nel suo senso più umano e questo patrimonio dell’umanità è ora come mai prima, sotto attacco.
L’ingrediente principe è il business. Tanto grande quanto gli è stato permesso di entrare in ogni desco, in ogni casa, in ogni campo, porto, allevamento, bacino d’acqua, serra…
tanto grande da aumentare in misura esponenziale, la fame, negandole la sua rabbia; sottolineando il divario tra merci non di primo o secondo ordine (che ha dato inimmaginabili frutti, nelle mani sapienti e inconsciamente responsabili delle più significanti ricette italiane) ma, più o meno COMMESTIBILI.
Qui, l’ingegno culinario non servirà e tanto meno le “illusioni percettive” del buono a bassissimo costo e del più nefasto: all you can eat/apericena, comprensibilmente tanto di moda, visto l’impossibilità di accedere e il poco convincimento a pretendere posti dove stare: una cucina, una madia, un libro di ricette, tanti amici e tutto ciò che la vita può, quando è permesso, portare con se, compreso tutti i personali lunch- fast- slow, aperi-pranzi e merende.
Servirà continuare a ripensare spazi, tempi, ragioni, fruibilità, lavoro, competenze e risorse.
E allora ben venga Anna Pavlova, ballerina cocciuta e innovativa (siamo inizi ‘900), tanto da arrivare a negarsi al Bolscioi di Mosca, per fondare una propria compagnia di ballo e a ballare fino a 50 anni, fermata solo dall’evento estremo. Fu lei ha stravolgere il concetto di ballerina forte e muscolosa, mettendo in risalto tutta l’apparente fragilità del suo minutissimo corpo. Scrissero di lei:
Le ossa trasparenti di un uccellino, le giunture di un fragile uccellino!Era tutta fuoco e volontà d’acciaio.
Non c’era un grammo in più sulle sue ossa e il suo busto era sottile e aveva le forme e le proporzioni di quello di un adolescente, le sue braccia e le sue gambe erano piuttosto lunghe e il collo lunghissimo e straordinariamente mobile. Pur non essendo assolutamente sensuale e anzi quasi asessuata, ella era capace di infondere in chi la guardava una sensazione di gioia, di piacere e delizia.
Scelgo questo dolce che fu pensato in suo onore, dopo che un grande cuoco la vide ballare, non solo per festeggiare come si conviene, una tangibile realtà di rivolta politica, esistenziale, corale. Ma per arricchire quella tavola che ci trova disobbedienti e golosi.
Con queste dosi ne vengono circa una ventina:
200 gr di albumi
200 gr di zucchero semolato
50 gr di zucchero a velo
1 cucchiaio di aceto di mele
1 cucchiaio di amido di mais (maizena)
1 cucchiaio di cacao
Si comincia a montare le chiare con un pizzico di sale (questo è il solo caso nel quale uso il sale, altrimenti le chiare si montano con qualche goccia di limone, che ne migliora consistenza e colore. Il sale nella fase iniziale può aiutare a montare ma una volta formata la “neve” tende a rilasciare acqua e quindi a smontare) e quando sono abbastanza sode, uniamo lo zucchero e il cacao continuando a montare. Quando la consistenza è a neve ferma, uniamo anche la maizena e l’aceto e lavoriamo ancora 10 minuti. In una placca da forno o teglia rivestite di carta forno, formare con un cucchiaio una serie di cerchi della dimensione desiderata, oppure in un unica torta usando una teglia rivestita di carta forno e un anello da pasticceria o semplicemente quello di una tortiera apribile. Cuociamo in forno sui 140° per circa un’ora. Va da sé che le dimensioni diverse della meringa costringono a cotture prolungate. Sarebbe meglio infornale con la temperatura del forno più alta, verso i 180°, ed abbassarla appena infornate. E’ ottima servita con panna montata con poco zucchero e fragole fresche a pezzetti ma si presta a molti altri peccati di gola.
*Barbara Zattoni
Barbara Zattoni
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