Regionalismo differenziato anche nell’istruzione: fermatevi!

Se leggiamo quello che la Regione Veneto ha chiesto nel testo sottoscritto tra Conte e Zaia e reso pubblico l’11 febbraio 2019, possiamo verificare cosa le regioni del Nord stanno chiedendo in materia di istruzione, aiutandoci a comprendere il percorso su cui anche altre regioni, a traino Lega, ma non necessariamente, si potrebbero posizionare nel tempo.

Veneto e Lombardia vogliono tutto: una enormità di competenze.

È da leggere l’Articolo 10, quello dedicato all’Istruzione, in cui è evidente come si possa arrivare allo smantellamento della potestà legislativa statale in materia di istruzione, che si chiede di trasferire interamente nelle mani dei governi locali.

In sintesi ci possiamo immaginare che dal punto di vista contrattuale, organizzativo e gestionale ci sarebbe:
• Regionalizzazione immediata dello status di dirigente scolastico, degli organici regionali degli insegnanti, del personale amministrativo, tecnico e ausiliario;
• Contratti integrativi regionali, differenti sia dal punto di vista giuridico che economico;
• Formazione degli insegnanti stabilita a livello locale;
• Valutazione regionale dei lavoratori della scuola;
• Disciplina e Finanziamenti alle scuole private decisi a livello locale.

Dal punto di vista dei “contenuti” e delle finalità dell’istruzione lo scenario che ci si presenta davanti è questo:

• offerta formativa, cioè finalità e obiettivi didattici declinati sul livello territoriale regionale;
• Valutazione regionale del conseguimento degli obiettivi mediante ulteriori indicatori INVALSI;
• Alternanza Scuola Lavoro definita su base regionale;
• Disciplina dell’Istruzione degli adulti in mano alle regioni che ne dovrebbero garantire la coerenza con il contesto economico.

In poche parole:
• fine dei Contratti Collettivi Nazionali
• fine della professionalità libera dell’insegnante, che sarà rinchiusa nei confini delle regioni e quindi delle politiche regionali, che ne stabilirebbero i percorsi di aggiornamento, gli obiettivi e le finalità, valutandone qualità e adeguatezza, in base a standard definiti dalle specificità territoriali.
• Percorsi formativi degli studenti declinati sulla base delle esigenze economiche locali
• Aumento dei test quantitativi nella scuola per la verifica del raggiungimento degli obiettivi.

Se queste sono le richieste che sono state fatte dalla regione Veneto e se questo fosse lo scenario che si apre, noi come Potere al Popolo scuola, siamo contrari alla regionalizzazione.

1. Perché la regionalizzazione della scuola aumenterà l’ingerenza delle imprese nella scuola. Sulla scia dei percorsi resi possibili e obbligatori dalla L.107, si realizzerà un condizionamento assoluto delle finalità dei percorsi formativi da parte del mondo imprenditoriale. Le imprese del Veneto intendono infatti essere parte attiva e propositiva in merito alla definizione dei curricula degli studenti.

Non è casuale che da anni l’Associazione TreeLLLe, un think tank che si occupa della qualità dell’educazione e che conta fra i soci fondatori imprenditori e fondazioni bancarie, insista nelle sue pubblicazioni sulla necessità per la scuola di “farsi interprete dei bisogni formativi locali”.

E su questo è necessario far emergere con forza la funzione che hanno associazioni come Treellle, o come la Fondazione San Paolo Scuola, nella costruzione di una narrazione egemonica sull’istruzione. Va detto che si tratta di potentissime lobby tecnocratiche che, fuori da qualsiasi controllo democratico, attraverso la retorica del ‘governo con i dati’ agiscono con ‘il pilota automatico’: espressione utile anche nella definizione delle politiche scolastiche quale sia il percorso ormai intrapreso.

2. Siamo contrari perché ciò rischia di trasformarsi nell’ennesimo regalo al sistema di formazione privato a danno della scuola pubblica. Resta infatti dubbio come verranno gestiti dalle Regioni i fondi per le scuole paritarie private, tuttavia basta guardare al Veneto per capire il modello verso cui ci stiamo orientando: in questa regione le scuole dell’infanzia sono già per il 65% in mano ai privati.

3. Anche il rapporto di lavoro degli insegnanti prefigurato dall’accordo comporta un peggioramento della condizione dei docenti, poiché ne frammenta la categoria, non più inquadrata in un CCNL unico e ne impedisce la mobilità su scala nazionale. Le forze di governo cercano di ottenere consenso in Lombardia e in Veneto facendo balenare la possibilità di stipendi più alti per i docenti di tali regioni in quanto più ricche. In realtà ciò non è affatto scontato, poiché la frammentazione della categoria ne ridimensionerebbe la forza sul piano sindacale.

Detto questo, noi come Potere al Popolo crediamo che ci si debba opporre all’idea che la Regione Veneto, e non solo, ha dell’autonomia, in cui si stabilisce un nesso fra gettito fiscale ed erogazione del servizio pubblico. Questa è una concezione che niente ha a che fare con l’Articolo 3 della Costituzione, con la necessità di costruire una uguaglianza formale e sostanziale dei cittadini. In questo modo l’istruzione, che dovrebbe essere diritto sociale e universale, sembra prendere le sembianze di una ricompensa morale, che possono ricevere solo le ‘comunità virtuose’.

Noi come Potere al Popolo riteniamo che sia prioritario informare e aprire un ampio dibattito pubblico, coinvolgendo i docenti, ma soprattutto studenti e famiglie, per aumentare la consapevolezza che dietro la retorica dell’efficienza e del merito si vuole continuare a mantenere vive le diseguaglianze, legittimando la logica della concorrenza, terreno ambiguo di cui una sola cosa è evidente: pochissimi vincono, i più perdono.

*Potere al Popolo – Firenze

Intervento all’Assemblea “Regionalismo differenziato: fermatevi!” organizzata dal Comitato Democrazia Costituzionale Città Metropolitana di Firenze.