Da qualche mese a questa parte il tema della transizione ecologica e dell’uscita del carbone dal sistema di produzione energetica nazionale si sta imponendo nel dibattito politico italiano ad ogni livello. Si tratta di una svolta epocale, non solo per quei territori che da decenni subiscono gli effetti del massiccio inquinamento prodotto dalle centrali, ma anche e soprattutto per le prospettive che questa scelta apre rispetto allo sviluppo e alla diffusione di tecnologie avanzate in grado di produrre energia elettrica solo attraverso fonti pulite e rinnovabili.
In questo scenario così ambizioso e complesso c’è tuttavia un’insidia che rischia seriamente di rallentare e addirittura compromettere questa indispensabile transizione ecologica.
In Italia, infatti, l’uscita del carbone dalla produzione energetica sta per concretizzarsi attraverso la realizzazione di nuove centrali termoelettriche alimentate a gas: una scelta decisamente meno costosa per le aziende e ad oggi molto più vantaggiosa in termini di profitti. Si tratta dunque di un’opzione tutta votata ad ottimizzare i guadagni delle imprese attraverso la neonata disciplina che regola i costi delle nuove capacità a gas, il capacity market, e che nulla ha a che vedere con la svolta ecologica di cui si parla tanto. Una scelta che si muove ancora sul sentiero dei combustibili fossili e che nasconde criticità che vanno addirittura oltre la questione strettamente ambientale. La gestione di una centrale a gas, infatti, non necessita di tutte le maestranze che sono invece impegnate nella gestione di un impianto ad olio combustibile o a carbone.
Ciò premesso, per capire meglio quello che davvero sta avvenendo in questi mesi sul fronte della transizione ecologica legata alla produzione energetica, cercheremo di analizzare sinteticamente il caso emblematico di Civitavecchia e di una delle due centrali termoelettriche che insistono sul suo territorio: Torrevaldaliga Nord (TVN).
Prima di iniziare a raccontare alcuni interessanti aspetti di questa vicenda vale la pena ricordare che proprio TVN – centrale attualmente alimentata a carbone – è stata certificata attraverso i dati raccolti dal Sistema
Europeo di Scambio (ETS) come prima fonte italiana di emissione di gas serra nel 2017. Questa gigantesca fonte inquinante non è, tra l’altro, l’unica presente in zona e questo, stando alle numerose denunce dei medici più impegnati sul fronte della lotta alle nocività, provoca da anni serie ripercussioni sulla salute dei cittadini. Sempre nel 2017, infatti, al netto dei suoi 52.000 abitanti, il numero dei malati di cancro in città ha fatto registrare addirittura 349 nuovi casi.
Cosa accadrà dunque una volta avviato il phase out dal carbone? Cominciamo col sottolineare che con l’abbandono del carbone verranno meno, su scala nazionale, circa 8 GW di capacità installata, attualmente distribuita in Italia su otto centrali: tra queste, appartengono ad Enel gli impianti di Cerano (Brindisi), TVN (Civitavecchia), Sulcis, Fusina (Venezia), La Spezia e Bastardo (Perugia). Gli altri impianti sono invece di proprietà delle società Ep Produzione e A2A. Per quanto riguarda le sei centrali a carbone di Enel va segnalato che sono già quattro gli impianti per la cui “conversione” a gas è cominciato l’iter autorizzativo presso il Ministero dell’Ambiente. Si tratta nello specifico delle centrali termoelettriche di La Spezia, Fusina, Civitavecchia e Brindisi.
La decisione di costruire nuovi impianti a gas al posto di quelli a carbone è stata sostenuta praticamente da tutte le forze politiche che hanno licenziato la SEN 2017 e il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima del 2018 e questo, in parte, ha contribuito a creare lo scenario attuale. Rispetto a questi piani e di fronte all’esigenza di agire rapidamente garantendo la sicurezza del sistema, Enel si è dichiarata disponibile a procedere con la sostituzione dei suoi impianti a carbone, specificando tuttavia che tale transizione non potrà avvenire solo attraverso l’uso delle rinnovabili, ma anche e soprattutto con l’utilizzo del gas. Anche nei piani di Enel l’addio al carbone è dunque un dato acquisito. La volontà dei soggetti in campo appare perciò quella di fare presto, ma, come già detto, avrà come conseguenza quella di far passare questa epocale transizione solo ed esclusivamente attraverso la creazione di nuovi impianti a gas a ciclo aperto (OCGT) e senza escludere la possibilità di realizzare gruppi a ciclo combinato (CCGT).
L’argomento utilizzato a sostegno di questa linea è da tempo sempre lo stesso: garantire l’affidabilità del sistema attraverso compensazioni che ad oggi non possono essere garantite solo dalle fonti rinnovabili. Il ricorso all’utilizzo di un nuovo combustibile fossile avrà tuttavia ripercussioni non soltanto dal punto di vista ambientale, ma anche da quello del lavoro. Con le nuove centrali a gas verrà dunque meno quell’odioso ricatto occupazionale che per anni ha bloccato interi territori costretti a dividersi tra chi rivendicava il diritto alla tutela della salute pubblica e chi invece provava a difendere il proprio posto di lavoro.
Nonostante non ci siano ancora cantieri avviati, la trasformazione della centrale TVN di Civitavecchia pare essere già cominciata sul fronte della riduzione dell’organico. Una metamorfosi che Civitavecchia ha già conosciuto ai tempi della riconversione della sua seconda centrale (TVS) e che comportò la perdita di decine di posti di lavoro nell’impianto e nel suo indotto. Nel luglio scorso, infatti, senza alcun preavviso Enel ed i sindacati degli elettrici Cgil, Cisl e Uil hanno chiuso il confronto nazionale sul nuovo assetto organizzativo della generazione elettrica, certificando l’annunciato ridimensionamento del personale di TVN. Si tratta, come denunciato più volte dal sindacato di categoria USB, di un taglio importante di circa il 25% dell’organico, da realizzare nel triennio 2019-2021 mediante 31 pensionamenti e 58 esuberi da ricollocare nelle diverse società del Gruppo e con l’eliminazione nell’anno in corso di ben 4 linee di turno.
Nello stesso accordo viene anche confermata l’introduzione di una polivalenza delle mansioni, come a dire: visto che riduciamo l’organico, chi rimane deve fare tutto con buona pace dei livelli occupazionali cittadini e della sicurezza sul lavoro. Tutto questo avviene naturalmente in un contesto dove la riduzione delle manutenzioni e il funzionamento a intermittenza degli impianti a carbone sta già producendo problemi tecnici e gestionali sempre più seri. La categoria dei lavoratori elettrici, però, non è la sola a subire i colpi durissimi di questi piani. A mostrarsi in tutta la sua fragilità, infatti, è oggi soprattutto il personale dell’indotto della centrale ed in particolare il comparto metalmeccanico che, a causa dei ripetuti ridimensionamenti o annullamenti delle gare d’appalto, sta conoscendo innumerevoli procedure di cassaintegrazione e licenziamento.
Il macigno che incombe sulla testa e sul futuro di Civitavecchia sta diventando, suo malgrado, un simbolo, una bandiera, un caso emblematico che oltrepassa spesso i perimetri ristretti dell’ambito locale. Non a caso, durante la seconda assemblea nazionale del Movimento “Fridays for Future Italia”, svoltasi a Napoli il 5 e 6 ottobre 2019, anche la lotta di Civitavecchia contro la realizzazione di una nuova centrale a gas nell’area di TVN è stata discussa ed inserita tra le vertenze da sostenere senza se e senza ma. E probabilmente non è un caso neppure che, in occasione del secondo global strike sul clima di maggio 2019, due sedi ENEL siano state occupate a Milano e Napoli con il chiaro scopo di contestare l’utilizzo del carbone a TVN.
Ora, con l’imminente uscita di scena del carbone e l’annunciata realizzazione di nuove centrali a gas, la lotta contro i cambiamenti climatici in Italia ha bisogno di un vero e proprio salto di qualità. Non più vertenze locali contro questa o quella specifica fonte d’inquinamento, ma una strategia più ampia che agisca in un quadro di aperta contrapposizione al sistema di produzione che genera i suoi profitti anche attraverso l’utilizzo indiscriminato dei combustibili fossili. Solo così il bluff delle finte riconversioni potrà essere smascherato. Solo così Civitavecchia ed i suoi cittadini potranno finalmente liberarsi dal peso ingombrante delle ciminiere.
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