Se la giustizia sociale viene confusa con il giustizialismo

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Negli ultimi 40 anni la popolazione carceraria a livello mondiale, e quella sottoposta a misure di prevenzione e/o sorveglianza, tranne poche eccezioni, è più che triplicata. Nell’ultimo decennio, sempre a livello globale, stiamo assistendo ad un aumento delle disuguaglianze e, parallelamente, ad un aumento della violenza, per le quali le uniche risposte elaborate dai governi sono state in chiave sanzionatoria e repressiva a cui fanno seguito misure privative della libertà personale.

È un fenomeno dibattuto poco e male all’interno delle formazioni politiche di movimento e delle sinistre partitiche dove prevalentemente si tende ad analizzare, ed eventualmente a solidarizzare, con alcune “parti” specifiche delle diverse soggettività destinatarie dell’azione punitiva e sanzionatoria. Assistiamo quindi ad una solidarietà diffusa verso quelle che si considerano le categorie sociali più deboli o di maggior interesse collettivo o, ancora, verso quei soggetti di minore problematicità nel sentire comune che mettono al riparo da possibili critiche, ad esempio i migranti o gli occupanti abusivi. Le azioni/manifestazioni di solidarietà a specifiche categorie sociali e contro particolari provvedimenti (ad esempio i pacchetti sicurezza in Italia) si limitano a mettere in discussione alcune scelte politiche ma non l’evoluzione pan-penalistica della governance a livello nazionale e globale.

Una visione miope che non scalfisce minimamente né la misura contestata né il processo estensivo delle politiche e dei sistemi penali e punitivi all’interno degli ordinamenti. Una miopia che di fatto sta permettendo ai legislatori di introdurre un ventaglio sempre maggiore di reati e di stabilire cosa è reato ed anche il chi, come e quanto punire.

Alla base delle politiche penali agiscono per intersezione una serie di fattori razziali che definiscono i destinatari dell’azione repressiva precedentemente passati attraverso un vero e proprio processo mediatico di mostrificazione sociale: se indigeni e afroamericani rappresentano il prototipo del criminale negli Stati Uniti d’America, meridionali, marginalità sociali, migranti e attivisti sono i destinatari pressoché assoluti dell’azione penale e special preventiva in Italia.

Basterebbe riflettere su alcuni dati ascrivibili ai soggetti che oggi compongono la quasi totalità della popolazione carceraria e di quella sottoposta a misure di prevenzione per comprendere il processo di razzializzazione posto alla base delle politiche penali.

La visione del fenomeno repressivo nella maggior parte dei movimenti, quando non completamente assente, risulta parcellizzata e lontana da sé, come se riguardasse indefinitamente “gli altri”. Una sorta di accettazione/rassegnazione sulla necessità dell’atto punitivo verso “qualcuno” che non mette in discussione né le cause né gli effetti, o meglio, si riconoscono le cause (le diseguaglianze sociali), si riconoscono gli effetti (aumento della violenza e della criminalità) ma si accettano passivamente le soluzioni proposte dalla classe dominante: azione punitiva che va dalla multa/divieto al carcere, passando per il braccialetto ecc. ecc..

In Italia, nell’ultimo periodo, stiamo assistendo ad una trasformazione ulteriore delle politiche penali: basti pensare alla previsione del carcere fino a sei anni per i percettori di reddito di cittadinanza sorpresi a svolgere un lavoro a nero!

Che le politiche punitive siano strumenti di controllo e regolamentazione sociale non lo scopriamo oggi, né può essere considerato argomento superato data la pervasività dei dispositivi securitari nel nostro sistema sociale. L’arresto eclatante di Nicoletta Dosio, storica militante No Tav, ha riacceso i riflettori sulla repressione (argomento talvolta tabù nei movimenti) con un rapido sguardo alla realtà carceraria nella sua complessità. Quello che manca oggi è un punto di vista di classe che metta in discussione l’impianto securitario posto alla base della governance nazionale e globale, che provi a ribaltare il giustizialismo imperante che ha fatto accettare anche in ambiti di movimento, e della cd sinistra radicale, la soluzione punitiva come l’unica possibile. Si potrebbero fare numerosi esempi di accettazione del sistema panpenalistico ma basti pensare a quanti “tra noi” ritengono accettabile il regime del 41 bis per i presunti mafiosi o terroristi mentre si contesta se applicato ad alcuni prigionieri politici, oppure a quanti non riescono nemmeno ad immaginare una società libera dalle galere.

Il piano di ragionamento che si propone muove da una idea abolizionista del sistema penale a 360° che sgomberi il campo dall’equivoco tra giustizialismo e giustizia sociale, potendo dimostrare il fallimento di una istituzione razzista e classista e la barbarie che la stessa rappresenta all’interno di una società che non riesce ad affrontare, attraverso efficaci meccanismi redistributivi delle ricchezze, le diseguaglianze socio-economiche che stanno alla base di buona parte degli illeciti sanzionati penalmente. Ed anche per quanto concerne l’uso e il commercio delle sostanze stupefacenti che, ricordiamolo, rappresenta l’ombelico attorno a cui gravitano sia il sistema penale sia quello criminale, l’approccio dovrebbe essere liberato da ipocrisie di fondo (sconfiggere il traffico e scoraggiarne l’uso) ed avviare politiche di prevenzione e riduzione dei (molteplici) danni. Le cronache degli ultimi anni sono pregne di esempi di uno stato debole e compiacente con i forti e forte con i deboli, quelle che si sono levate contro questo sbilanciamento sono state voci flebili, incapaci di spostare l’ordine del discorso anche per la forte ricattabilità cui sono soggette.

Sviluppare oggi una proposta dal basso contro lo Stato penale significa mettere a nudo le contraddizioni interne alla società stessa, ridefinire il perimetro del concetto di legalità (attualmente ad esclusiva difesa delle classi privilegiate, della proprietà privata e della libertà dei mercati e delle imprese) a difesa degli ultimi e dei beni comuni, libertà comprese.

Significa liberare il nostro ordinamento dal Codice Rocco e successive degenerazioni, dai singoli decreti criminalizzanti che comprimono sempre più le libertà individuali; significa mettere in discussione il carcere come soluzione alle “violazioni” ed iniziare a vederlo per quello che è: una parte del problema!

La narrazione delle classi dominanti ha portato alla criminalizzazione di chiunque osi minare il loro benessere, iniziamo dunque a rivendicare un benessere di classe e universale che ridefinisca anche i concetti stessi di giustizia, crimine e devianza, non accontentandoci più dei pezzetti di diritti che ci lasciano raccattare sotto il tavolo.

Bisogna elaborare una critica militante del populismo punitivista, che si articoli su due piani: il primo è quello della critica al giustizialismo, che per molti, a sinistra è diventato il surrogato della giustizia di classe. Sull’altare della legalità si sono sacrificati i diritti dei più deboli, si è introdotto un interclassismo punitivista che trascenderebbe le differenze di classe ma in realtà si traduce nell’incarcerazione e nel controllo preventivo delle classi pericolose. L’altro livello è quello delle politiche penali alternative, che vadano nel senso dell’abolizione di un’istituzione, quella carceraria, che oltre a puntare alla neutralizzazione delle spinte oppositrici all’ordine esistente, tenta di eliminare dal sociale tutti i gruppi sociali che non riesce a governare. Inoltre, il carcere è un luogo di sofferenza estrema, di malattie croniche, suicidi veri o presunti, abusi persistenti.

Una società senza carcere, manette facili e legislazioni speciali è una società più giusta.

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L’Osservatorio Repressione è una associazione antifascista, antirazzista e antisessista, nata nel 2007 con l'obiettivo di promuovere e coordinare studi, ricerche, dibattiti, seminari, sui temi della repressione, della legislazione speciale, della situazione carceraria, e di raccogliere, conservare materiali e documenti inerenti questi temi anche con la pubblicazione dei materiali delle proprie ricerche. Promuove infine progetti indipendenti o coordinati con altre associazioni e movimenti che operano nello stesso ambito. Per info e contatti con l’Osservatorio sulla Repressione 335/8191842 - info@osservatoriorepressione.info

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