La memoria del gusto, quarta puntata

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La memoria del gusto è un progetto di recupero dei saperi popolari intesi come “saper fare”:

Avete anche voi, perché vostro, o ereditato, o di famiglia, un quaderno di ricette? Avete la ricetta di un piatto tipico della vostra storia, casa, famiglia? La ricetta di una zia, della nonna, di vostra madre, dell’amico più discusso? Fatecela avere insieme ad alcune informazioni sulla sua origine, quali luogo, data (nel senso di periodo, ad esempio attuale, anni 70 etc.). Anche altre informazioni, tipo piatto della domenica o delle feste.

Qui la spiegazione completa.

Due ricette per due nonne. Toscane. Battagliere.

Ancora “memoricette”, ancora ricordi e riflessioni. Passaggi temporali per tempi che ci permettono di andare e tornare. Dei veri e propri “portali” alla portata di tutti. Viaggi fecondi. arriviamo e torniamo sempre ricchi. Sempre pieni.

Stavolta parla Sara, che omaggia la nostra conoscenza (anche ai fornelli), regalando queste sue. Toscana, battagliera e di polso. Caparbia e a volte maniacale. Bravissima non solo a cucinare, come si capisce da queste pagine.

Nonna Dina

Ai tempi dell’assenza di ogni diritto per chi fosse un contadino e soprattutto donna. Vittime ma sempre concrete. Cuoche eccellenti per davvero.

La nonna Dina era nata a Latera, tre case sparse dentro ad un bosco in Mugello. La ricorderò sempre nell’atto di stendere la pasta, sottilissima, con un’espressione seria, concentrata, di chi con la fatica sfama la propria famiglia e con l’amore “ci” tira fuori dei tortelli meravigliosi. Tortelli di patate ovviamente. L’impasto era di farina di grano tenero, un chiletto, tenuto insieme da una quantità davvero esigua di uova, cinque, ma forse meno. Il ripieno era fatto da patate così ricche di amido che si sfarinavano tra le dita; poi aglio, soffritto con un cucchiaio di conserva, prezzemolo, poco parmigiano, pochissimo burro e sale. Quante volte passavo da quella ciotola e mi cacciavo in bocca una noce di ripieno! Quel sapore! Quel sapore è stata la mia ricetta ed il mio segreto per il tortello perfetto. E mentre la nonna Dina tagliava i quadrati di pasta e con le mani vi metteva il ripieno nel centro, mi raccontava sempre la storia di quando aveva perso le pecore. O meglio, di quando le pecore erano tornate a casa da sole e lei era stata quasi bastonata.

Perché la nonna, mentre “faceva all’amore” con chi sarebbe diventato suo marito, si era scordata delle pecore al pascolo! E terminava il racconto in modo così colorito e blasfemo che, se non sei toscano, forse non lo puoi capire.

Dato che nonno purtroppo era morto poco dopo il suo ritorno dalla guerra, a poco meno di cinquant’anni, lei mi diceva, riferendosi a quelle volte tra i boschi del Mugello: “meno male che ho cominciato presto sennò Dio me l’avrebbe tirato nel culo du vorte”.

Tornando ai tortelli, di solito ne faceva quattrocento, quattrocentocinquanta per volta; per ogni grande occasione, natale o compleanno o domenica e li adagiava su una tovaglia a fiori che, anche se tutta bucata, non potrò mai gettare via.

Nonna Assunta

La nonna assunta era nata a Bonazza, Tavarnelle Val di Pesa e la pasta fresca non la faceva, ma era campionessa incontrastata di minestra di pane, quella che veniva poi “ribollita” e faceva la crosticina sui bordi del tegame di smalto che avrebbe commosso anche Gualtiero Marchesi.

Ho sempre avuto una spiccata propensione a stare in cucina e con la nonna vi trascorrevo giornate intere a fare la minestra di pane, soprattutto quando c’era la festa dell’unità a la Gora (al Galluzzo) e mi ricordo che c’era sempre una gran fila quando la nonna cucinava quella che poi, negli anni, e sulle etichette dei contenitori, ho sempre chiamato “la zuppa dell’amore”.

E’ un piatto lungo, deve cuocere tanto e ci vuole tanto olio, mi diceva lei. Iniziava facendo soffriggere sul fondo di un pentolone, cipolla rossa e prezzemolo, “mi raccomando”, ammoniva “il prezzemolo deve rimanere verde!”. Poi tagliavamo le carote, il sedano, il cavolo verza e di quest’ultimo una quantità industriale perché diceva la nonna “è questo che gli dà sapore!” Poi aggiungeva i fagioli cotti, la loro acqua, un po’ passati un po’ interi. Di patate ne metteva un paio, tagliate finissime in modo che sciogliendosi, dessero ulteriore cremosità al brodo di verdura.
Era la volta del cavolo nero, non troppo e quando in primavera c’erano le fave fresche, l’Assunta ci faceva uno stufatino sopraffino e con questo intingolo, sostituiva il cavolo nero.
Ovviamente nel brodo di verdura c’era il segreto ma questo non lo posso raccontare, gliel’ho promesso. Dopo tre, quattro ore di cottura, quando il brodo era “maturo”, cioè quando tutto l’olio saliva a galla creando uno strato oleoso scuro e alto tre dita, allora era pronto.
Nel frattempo il pane raffermo veniva tagliato sottile come l’ostia e la minestra di pane era “montata” a strati nel tegame e lasciata in caldo o per la festa dell’unità o per gli uomini nei campi che battevano il grano.

Ho sempre l’abitudine di chiedere, a chi non conosco: qual è il tuo piatto preferito? Ovvero il piatto che potresti mangiare anche freddo di frigorifero?
Il mio è questo, la minestra di pane. Ma non la mia, quella della nonna Assunta.

*Barbara Zattoni

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Barbara Zattoni

"Cheffa" del Ristorante Pane e Vino, autrice di libri di cucina e altro (La cucina del riuso - Il libro dei dolci) e modista. Ha collaborato con perUnaltracittà al ciclo d'incontri "Europa tossica". Attualmente insegnante di cucina a Cordon Blue e chef a domicilio. Il suo sito internet

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