Episodi, personaggi e dinamiche relative alle recenti operazioni giudiziarie della Direzione distrettuale antimafia fiorentina continuano in questi giorni a essere presentati nei quotidiani e tematizzati da diversi esponenti politici locali, soprattutto da parte delle opposizioni di sinistra e di centrodestra.
La lettura delle carte giudiziarie – in questo momento relative a misure cautelari – consente sia di fare un po’ di chiarezza sulle indagini sia di sottolineare alcuni aspetti in relazione alle dinamiche illegali e criminali che, al momento, emergono tra i diversi protagonisti.
Innanzitutto, si possono individuare tre filoni che corrispondono, grosso modo, ad altrettante indagini della DDA (Keu, Calatruria e Geppo), con alcuni personaggi ricorrenti nelle diverse vicende.
La vera e propria operazione Keu riguarda una presunta associazione a delinquere semplice, composta da diversi esponenti del settore conciario che fanno parte del consorzio Aquarno e di altri consorzi dell’area. In questo momento la magistratura include tra gli esponenti dell’associazione anche un consulente legale e la sindaca di Santa Croce sull’Arno. Le accuse rivolte all’associazione riguardano almeno due ambiti. In prima battuta sono contestati una serie di illeciti in tema di rifiuti e di inquinamento ambientale, relativi rispettivamente al traffico organizzato di liquidi, ceneri e fanghi derivati dal ciclo di trattamento del conciario e alla dispersione di alcuni di questi rifiuti nei pressi di corsi d’acqua o in altri siti dell’area. Il secondo ambito coinvolge invece i membri della suddetta associazione e alcuni esponenti politici e dirigenti regionali: per aggirare e posticipare eventuali controlli da parte degli organismi preposti l’associazione fa pressioni su queste figure. Tali pressioni si configurano, dal punto di vista giudiziario, come presunte pratiche corruttive che, per la natura relazionale dei reati in questione, si presentano in concorso. Ovvero, nel caso specifico, presuppongono la partecipazione al reato sia dei componenti dell’associazione sia di politici e dirigenti. In base alle accuse, politici e dirigenti avrebbero assecondato l’elusione dei controlli sugli impianti e presentato in Consiglio regionale proposte finalizzate a giustificare la mancata presentazione di documenti necessari in base alla normativa vigente, in cambio di sostegno elettorale e contributi economici.
Nel primo ambito – relativo come si è detto all’associazione composta da esponenti di Aquarno – si inserisce la collaborazione tra questo gruppo e il gestore dell’impianto di riciclaggio di inerti Lerose, a Pontedera. Aquarno invia indebitamente a questo impianto la sostanza Keu («ceneri prodotte dal trattamento termico dei fanghi di depurazione del depuratore»), un pericoloso rifiuto da smaltire attraverso appositi procedimenti. Secondo gli inquirenti, il gestore dell’impianto provvede a mescolare questa sostanza con altri rifiuti, immettendo poi il nuovo composto nel settore dei lavori stradali. Tra le destinazioni di questa sostanza, il materiale giudiziario annovera una parte dell’aeroporto militare di Pisa e un lotto di lavori della strada regionale 429, al centro di numerosi articoli dei quotidiani di queste settimane. Oltre a commettere questi illeciti per conto dell’associazione, il titolare dell’impianto – di origini calabresi – è ritenuto vicino al gruppo di ‘ndrangheta Grande Aracri e per questa attiguità le accuse nei suoi confronti riguardano anche l’aggravante mafiosa. In altri termini, gli inquirenti ritengono che l’imprenditore abbia contribuito alle casse del clan soprattutto attraverso un sistema di false fatturazioni organizzato tra due aziende riconducibili all’imprenditore stesso e al figlio.
Il gestore dell’impianto Lerose ha rapporti commerciali con personaggi vicini ad altre compagini criminali e, almeno in un’occasione secondo la magistratura, è al centro di un’azione di intimidazione condotta contro un imprenditore interessato ai lavori di un tratto della strada regionale 429 citata sopra. Tali lavori sono affidati dall’ente appaltatore (un’ulteriore azienda toscana non coinvolta nelle indagini) all’impresa Cantini. Factotum della Cantini è una figura che ufficialmente sarebbe un operaio ma che, di fatto, si occupa di numerose questioni, commerciali e non, per conto dell’imprenditore toscano titolare dell’azienda (le vicende giudiziarie che gravitano attorno alla Cantini sono al centro della seconda operazione giudiziaria della Dda, Calatruria).
È il factotum, calabrese, ad accordarsi con il titolare di Lerose e organizzare un incontro intimidatorio con il terzo imprenditore (anch’esso di origini calabresi e con precedenti penali di un certo rilievo) interessato ai lavori per la 429. L’azione minatoria è richiesta dunque dal factotum ed è posta in essere da due esponenti di un clan di ‘ndrangheta, i Gallace, residenti in Toscana da diverso tempo. Gli stessi esponenti sono protagonisti in un’operazione di narcotraffico (la terza operazione, Geppo) ambientata nel porto di Livorno. La vicenda riguarda un carico di 200 chili di cocaina che incidentalmente arriva in Toscana dopo vari incidenti di percorso, poiché la meta finale sarebbe dovuta essere la Spagna. Il carico è disperso in mare e rintracciato dalle forze dell’ordine (gli esordi e altri particolari di questa vicenda sono riportati nell’ebook Le mafie in Toscana. Criminalità organizzata e infiltrazioni ).
Questo è il quadro ricostruito per ora dalla magistratura. Per la ricostruzione giudiziaria completa e definitiva è necessario attendere i gradi di giudizio previsti dal nostro ordinamento.
In merito a quanto detto si possono sottolineare due aspetti. Il primo riguarda il fronte imprenditoriale. Così come è emerso da altre indagini sul contesto toscano, c’è un livello imprenditoriale regolato da pratiche illecite poste in essere a prescindere dall’intervento dei mafiosi. In alcuni casi, come segnalato da alcuni studiosi, queste pratiche possono essere addirittura «disturbate» dall’attenzione giudiziaria che accompagna, soprattutto in alcuni ambiti, le presenze e gli interessi mafiosi. In altri casi, come ad esempio è avvenuto in Veneto, imprenditori dediti ad attività economiche quali il recupero crediti vantano un’appartenenza mafiosa (non riscontrata dal punto di vista giudiziario) per affermarsi in un settore in cui non è disprezzato un certo potenziale di violenza. Riferendoci all’operazione Keu, le prime fasi di questa vicenda mostrerebbero un agire illegale proprio dell’associazione a delinquere che, in una delle diverse pratiche illecite, incrocia un imprenditore vicino ma non appartenente a un clan di mafia. Diverso è il caso dell’operazione Calatruria, per la quale sembrerebbe configurarsi un rapporto di collusione tra il gruppo criminali e l’imprenditore toscano.
Il secondo aspetto riguarda invece il fronte politico e amministrativo regionale. La Toscana, a differenza di altre regioni del Centro-nord, non è stata lambita finora da casi giudiziari in cui si mescolano mafia e politica. Questa vicenda, come si è provato ad argomentare stando alla lettura delle carte, solo indirettamente si può annoverare in questa categoria. Infatti, ai politici e ai dirigenti regionali coinvolti sono rivolte le accuse di abuso di ufficio e corruzione per atti contrari ai doveri di ufficio, non di associazione a delinquere. Sottolineare l’ascrizione della condotta dei politici al quadro dei reati corruttivi non mira a togliere peso alle eventuali responsabilità giudiziarie e morali di questi, ma punta a spostare le questioni dal piano giudiziario a quello più strettamente politico. In tal senso, il quadro che emerge è caratterizzato dall’incrinatura della prospettiva dalla quale politicamente si è soliti guardare la Toscana e con cui spesso la Toscana si rappresenta ed è rappresentata. Al di là degli esiti giudiziari, è uno squarcio nell’immagine della Toscana del buon governo, della concertazione, dell’interesse collettivo. Per alcuni, molti, questa immagine è già scomparsa da decenni, per altri è ancora diffusa.
Lo spostamento del discorso sul piano politico significa, inoltre, interrogarsi su questioni strettamente connesse al funzionamento della politica, dai meccanismi di finanziamento dei partiti alle modalità di reclutamento del ceto politico e agli spazi istituzionali privilegiati per le carriere di successo. In questo scenario possono essere interessanti non tanto (o non solo) i contributi sulle mafie, quanto le riflessioni sulle pratiche corruttive. Secondo recenti ricerche, tali pratiche sembrano caratterizzarsi per una forte concentrazione sugli individui, sui titolari di cariche pubbliche – a discapito dei partiti – e per una chiara centralità dei contesti locali, soprattutto se rilevanti economicamente come il distretto conciario. È questo, secondo chi scrive, il quadro nel quale immergere e sul quale interrogarsi sul (per ora) presunto coinvolgimento dei politici nelle operazioni qui considerate.
Graziana Corica
Graziana Corica
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Degnissimo articolo come gli altri che lo hanno preceduto.