Già dalle fasi iniziali della pandemia da Covid-19, nei primi mesi del 2020, studiosi, politici, magistrati ed esperti di mafia hanno avviato un florido dibattito sulle possibili conseguenze dell’emergenza sanitaria rispetto ai tentativi di infiltrazione della criminalità organizzata. Tale dibattito è stato abbastanza costante nel corso degli ultimi due anni e ha toccato diverse declinazioni del rapporto tra mafie e Covid. Nelle pagine che seguono questo rapporto sarà al centro di un’esplorazione che riguarda la Toscana ma prima vorrei soffermarmi su alcuni aspetti.
Prima di tutto il rapporto tra mafie e Covid in generale. Per comprendere la relazione tra i due fenomeni, dal punto di vista sociologico, è importante superare l’immagine di una mafia come un grande soggetto collettivo, indifferenziato, come un’organizzazione capace di reagire efficientemente ed efficacemente alle sfide poste dal Covid, capace di riempire e di approfittare di quegli spazi di opportunità offerti dalla pandemia. In alcune ricostruzioni mediatiche emerge l’immagine di un’organizzazione strutturata, dotata di risorse economiche, organizzative e imprenditoriali tali da potersi attivare nell’immediatezza dell’esplosione della crisi pandemica.
La realtà è ovviamente più complessa. Nel novero delle mafie rientrano gruppi molto diversi, non solo per latitudine e storia ma anche per aspetti economici o per la diversificazione dei settori in cui gestiscono affari. Ci sono, quindi, gruppi ricchi e gruppi poveri e questi ultimi, soprattutto se legati ad attività tradizionali come l’estorsione, risentono degli effetti negativi delle chiusure, della minore disponibilità economica delle attività estorte. Anche rispetto alle attività legali o illegali portate avanti dalle mafie è importante fare delle distinzioni. La pandemia aumenta le possibilità di riciclare, apre nuovi mercati ma contemporaneamente ne blocca alcuni tradizionali. In più non è scontato che tutti i gruppi riescano a fare affari e a inserirsi nelle nuove nicchie di mercato. Alcune formazioni non hanno le risorse economiche, non hanno il necessario bagaglio di competenze imprenditoriali.
Il secondo elemento si basa sulla considerazione che alcuni fenomeni criminali emergono anche dopo anni dal momento in cui si verificano. Quindi, parlare adesso di mafie e Covid significa soprattutto parlare di una porzione del fenomeno, di quello che si evince dal lavoro degli inquirenti, in alcuni casi dalle inchieste dei giornalisti. Visto che alcune conseguenze potrebbero essere di lunga durata, dobbiamo sempre tenere a mente la differenza tra quello che vediamo e quello che ancora potrebbe emergere.
Il terzo elemento riguarda il contesto criminale toscano. Il rapporto tra mafie e Covid dovrebbe, infatti, essere considerato non solo alla luce della straordinarietà della pandemia, ma anche alla luce delle caratteristiche ordinarie dei contesti, delle presenze criminali, delle principali attività da queste gestite. Quindi per capire quale possa essere il ruolo giocato dalle mafie in relazione al Covid in Toscana è importante partire proprio dalle caratteristiche del contesto toscano in relazione alle mafie. Nella nostra regione, non ci sarebbero insediamenti stabili paragonabili a quelli lombardi, piemontesi e di recente emiliano-romagnoli. Da più parti emerge un’immagine della Toscana come area meno intaccata dagli interessi criminali rispetto ad altre regioni del centro nord. Per meglio dire, non caratterizzata da insediamenti stabili ma perlopiù da interessi imprenditoriali che si manifestano sul territorio regionale in termini di riciclaggio. Anche per queste caratteristiche, secondo diverse fonti giudiziarie, l’interdittiva antimafia e la confisca dei beni sono gli strumenti che meglio consentono di avere un quadro degli interessi mafiosi in regione.
Il Quinto rapporto sui fenomeni di criminalità organizzata e corruzione, realizzato dalla Scuola Normale Superiore di Pisa in accordo con la regione Toscana (relativo al 2020), parla di presenze criminali perlopiù pulviscolari, con un approccio che guarda più al mercato che al territorio, sia per affari formalmente leciti sia per attività illegali. Le vicende più numerose riguardano esponenti delle organizzazioni criminali che si trovano in Toscana singolarmente o con pochi accoliti. Se, grosso modo, questa tendenza caratterizza il contesto toscano dalla fine degli anni novanta in poi, quello che è cambiato è probabilmente il coinvolgimento negli affari criminali di liberi professionisti e altre figure che rientrano in quell’area che i sociologi, e non solo, definiscono area grigia. Questi coinvolgimenti, stando alle vicende giudiziarie, sono aumentati negli ultimi anni.
Un’altra caratteristica del territorio toscano riguarda le pratiche illegali legate a diversi settori economici della piccola e media impresa. Queste pratiche sono sperimentate da imprenditori e altri operatori economici o liberi professionisti e vi partecipano in alcuni casi anche gli esponenti di gruppi criminali presenti in regione. Quindi le illiceità pre-esistono alla presenza delle mafie.
Rispetto a questo scenario – e certo rispetto alle informazioni a cui come sociologi possiamo avere accesso – le vicende emerse in questo biennio di pandemia non fanno che confermare alcune caratteristiche del contesto che già lo contraddistinguevano. In tema di narcotraffico, si conferma la configurazione della Toscana come spazio di transito per stupefacenti provenienti dall’Albania, da altri stati in Europa e dal continente americano e diretti anche in altre regioni (è quanto emerge dall’operazione Rinascita-Scott e altre sul porto di Livorno).
C’è poi la copertura di una latitanza in un paesino del pistoiese da parte di un esponente della criminalità catanese. L’attività investigativa, sviluppata successivamente alla cattura del boss, ha ricostruito la rete di soggetti che aveva organizzato il trasferimento del latitante in Toscana, fornendo supporto logistico ed economico.
Sul fronte delle attività formalmente legali, l’autorità giudiziaria sottolinea i rischi di infiltrazione legati alla vulnerabilità del settore turistico-culturale, dagli alberghi alle attività legate alla balneazione e alla ristorazione che, alla luce di tutte le chiusure, potrebbero avere o avere avuto bisogno di liquidità, e di alcuni segmenti imprenditoriali.
A questo proposito, è interessante il riferimento a un’operazione giudiziaria ribattezzata Revenge, dalla quale emerge sia la natura imprenditoriale delle presenze in Toscana sia la proiezione in regione di fatti e scontri che caratterizzano i clan nell’area di origine. L’operazione riguarda l’esponente di un clan di camorra, titolare di una pizzeria limitrofa al centro a Firenze. La pizzeria beneficia come altri esercizi commerciali dei ristori previsti dai decreti del governo italiano. A febbraio 2021 il locale è colpito da un attentato dinamitardo. In seguito alle indagini degli inquirenti emergono i collegamenti tra il titolare nella pizzeria e il clan in provincia di Salerno. Nella zona di origine il clan in questione è in questi anni interessato da una faida con un altro gruppo.
Un’altra vicenda citata da molte fonti riguarda l’arresto di più di 10 imprenditori cinesi che utilizzavano laboratori clandestini per produrre mascherine chirurgiche. I lavoratori erano costretti a turni massacranti e dormivano nei laboratori. Le aziende coinvolte negli arresti erano passate dall’abbigliamento alle mascherine in concomitanza con la pandemia. Alcune di queste aziende erano state contattate da un’impresa più grande, che aveva rapporti con la regione e aveva subappaltato alle aziende più piccole la produzione dei dispositivi di protezione individuali. In questo caso, l’illecito non è tanto riconducibile al campo della associazione a delinquere di stampo mafioso quanto a molti reati spesso attribuiti a gruppi criminali cinesi, soprattutto nella gestione delle proprie attività economiche. Tra i reati contestati, infatti, ci sono lo sfruttamento del lavoro, il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, la truffa ai danni dello Stato e la frode nelle pubbliche forniture di mascherine.
Il coinvolgimento di figure a metà strada tra criminalità e imprenditoria si evince anche dalle seguenti vicende: i sequestri di beni e aziende a esponenti di diversi clan di camorra nell’area di Montecatini e tra Arezzo e Firenze; la disarticolazione di un gruppo attivo nella produzione, commercializzazione e ricettazione di prodotti di pelletteria contraffatti; il coinvolgimento di imprenditori pisani in una vicenda che riguarda gruppi di ‘ndrangheta (operazione Waterfront), accusati di turbativa di gare d’appalto. Infine, i tentativi di spoliazione di strutture alberghiere da parte di soggetti campani vicini alla ‘ndrangheta, che si avvalgono di due notai per la formulazione e la presentazione di falsi atti pubblici societari, soprattutto nella zona di Chianciano Terme, nel senese. Tra i delitti contestati vi sono anche i reati d’intestazione fittizia di beni e appropriazione indebita.
Inoltre, pur non essendo direttamente legata alla pandemia, la vicenda che ha occupato in larga parte il dibattito pubblico su questi temi è di certo l’operazione Keu, di qualche mese fa. I principali sviluppi della vicenda riportati dalla stampa sono soprattutto socio-politici. In modo particolare emergono quattro temi:
1) si registra una significativa reazione della società civile che, almeno in parte, costituisce l’associazione permanente No Keu e svolge un’attività di pressione sulla regione e su Arpat;
2) il Pd regionale è attraversato da un dibattito interno con frizioni e scontri più o meno celati (ad esempio, tra l’ex presidente della regione Enrico Rossi e altri esponenti della maggioranza in regione);
3) l’antimafia si configura come una risorsa politica usata soprattutto dalle opposizioni, dentro le istituzioni regionali (quindi 5 Stelle e centrodestra) e fuori, soprattutto dal gruppo che fa capo a Toscana a Sinistra;
4) la vicenda, per qualche mese, è stata una questione regionale di primo piano. Qualche mese dopo lo scandalo è istituita una Commissione di inchiesta su infiltrazioni e criminalità organizzata in Toscana (richiesta già durante la scorsa legislatura da Tommaso Fattori), guidata da una consigliera regionale leghista. Inoltre, il presidente della regione porta avanti l’istanza di un nuovo piano regionale sui rifiuti.
Come si è detto in altre occasioni, questa operazione coinvolge una porzione di territorio abbastanza circoscritta interessata da diverse indagini: oltre a Keu, ricordiamo Vello d’Oro I e II e Blu mais. Quest’ultima è un’operazione del 2020 che coinvolge imprenditori del settore conciario di Santa Croce Sull’Arno (PI) che, con la complicità di un imprenditore agricolo, avrebbero smaltito rifiuti speciali spacciandoli come fertilizzanti.
Al di là dei risvolti giudiziari delle singole vicende e delle diverse figure coinvolte e anche al di là della pandemia, per capire cosa sta succedendo in Toscana sarebbe interessante soffermarsi sulle criticità che emergono in merito al funzionamento di alcune economie di distretto e al progressivo svuotamento delle relazioni, un tempo considerate virtuose, tra i diversi attori.
Graziana Corica
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