Giorgio Grossi
La sfida dell’ambivalenza
La postfazione di “La sfida dell’ambivalenza, Il futuro della sociazione umana e post-umana nel Terzo millennio”, coglie e riassume il senso del lavoro di Giorgio Grossi per “ombre corte”. L’interesse dell’autore è rivolto principalmente a problematiche di tipo epistemologico che apparentemente potrebbero sembrare di interesse principalmente accademico, se non ci si trovasse di fronte a una serie di fenomeni con i quali è difficile manipolarne la materia, se non con degli strumenti adeguati che l’autore individua in quella ambivalenza del titolo, che supera lo scarno determinismo univocale, ma anche la tendenza al polarismo che, a partire dalla scissione corpo/mente cartesiana, ha segnato il carattere della modernità. Siamo di fronte all’ultima rivoluzione epocale quella “trans-evoluzione e devoluzione tecno-informatica” che è stata promossa e sviluppata senza nessuna cautela preventiva. Siamo di fronte a una trasformazione radicale del “modo di intendere l’intera esistenza bio-sociale nella quale le macchine, i cyborg e l’IA” assumono un ruolo non soltanto di protesi, attrezzi ed estensioni del fare umano, ma anche tendono a sostituire, a surrogare e condizionare l’umanità stessa. Un’operazione che vede la natura organica stessa diventare un artificio “ciberneticamente” modificato, che sfocia in quel trans-umanesimo e si incontra con l’accelerazione tecno-scientifica, con quel progressismo acritico, che ci hanno portato dentro quell’iperoggetto chiamato Antropocene e cioè dentro la catastrofe, la crisi climatica e finanziaria, verso il collasso che domina l’orizzonte di questa modernità malata. L’ambivalenza è allora la critica al carattere monocorde e senza alternative del pensiero mainstream per il quale non ci sarebbe alternativa al libero mercato; per il quale la crescita è il dovere da perseguire; dove l’economia dei dati sarebbe l’ultimo ritrovato della scienza e dove la tecno-scienza stessa saranno gli strumenti attraverso i quali trovare le soluzioni più adeguate anche alla crisi ambientale. Là dove emergono soluzioni a senso unico che ci avvicinano all’abisso, l’ambivalenza potrà invece scovare una via di uscita, produrre una sterzata, mostrarci un’altra strada.
Certo ci sono delle ragioni tutte interne al metodo per promuovere l’ambivalenza come strumento epistemico e quelle ragioni sono ben illustrate in questo lavoro di Grossi, ma la fase storica nella quale siamo immersi reclama con urgenza che qualcuno prema il tasto escape. Allora quello strumento, il tool dell’ambivalenza, deve essere perfezionato e, in un certo senso, messo al lavoro. La rivoluzione epocale sta infatti annichilendo le capacità creative e agenziali dei Sapiens. Il mondo naturale (biologico e materico) si è sempre intrecciato e coevoluto con “il mondo delle cose”. “Umani e non umani” sono sempre vissuti insieme. Mentre adesso, anche la mia introspezione può essere messa in secondo piano da un algoritmo che “potrebbe sapere” più di quanto lo sappia io, chi io sia realmente. Sapere cosa io desideri e come mi senta e per questo sia autorizzato a prendere decisioni al mio posto. Il Sapiens è un essere strano, mosso da pulsioni consce e inconsce; da appetititi che non sempre riesce a riconoscere, mentre il mantra della modernità senza alternative gli recita la favola dell’algoritmo oggettivo, freddo e impersonale che conosce scientificamente la verità su di te. ”Questa dismissione e alienazione del profilo genetico e coevolutivo dei Sapiens è un processo già in corso da tempo ma fortunatamente ancora incompiuto. È qui che occorre intervenire per contrastare il doppio binario della ideologia scientista degli umani e della presunta superintelligenza dei sistemi cibernetici” (p. 171), dice Grossi.
La rivoluzione digitale vuole dunque introdurre una discontinuità evolutiva alimentata da quel lato “umanista” e “suprematista” della nostra specie (forse non tutta: ci sono certamente responsabilità diverse), per un futuro irriconoscibile agli stessi umani che hanno avviato il processo delegandolo poi alle macchine. Il potere tecno-informatico è in mano a privati o a enti “apolitici”, dice Grossi ed è alimentato da quella categoria umana degli addetti alla scienza (ricercatori, tecnici e programmatori) che, nel fare progredire la scienza – anche pensando che lo facciano in modo inconsapevole – perseguono prioritariamente la “redditività economico-finanziaria” (p. 172), nonché programmi e sistemi di controllo, di sorveglianza e di omologazione sociale. È contro quest’ultima che in fondo si scaglia con più veemenza Grossi. Contro un mondo monocorde, univoco e senza alternative, e l’ambivalenza è la sua arma. I primi due capitoli, rivisti, aggiornati e adattati erano infatti due articoli già pubblicati e a carattere epistemico, dove Grossi esperimenta la validità di quello strumento che consiste nel recupero dell’ambivalenza. E la trasformazione si gioca proprio su quella ambivalenza che soggiaceva al fatto che i sistemi politici potevano precedentemente venire contestati, anche rovesciati; che l’interesse economico poteva venire condizionato o limitato; che l’ordine sociale poteva essere rimodulato o rifiutato, mentre oggi tendono ad assumere una configurazione permanente e definitiva (post-antropomorfa), de-biologizzata, de-coscientizzata, de-soggettivata, in sintesi de-vitalizzata. La messa in pausa dell’ambivalenza, sopprime cioè quelle imperfezioni esistenziali che lasciavano aperti i percorsi, permettendo svolte etiche, performative, valoriali e affettive che potevano rendere conto dell’esistenza dei singoli e della specie.
È la sociazione il luogo materiale e simbolico nel quale l’agire performativo, l’agenzialità stessa, la sua stessa possibilità, si determinano a partire da scelte effettuate tra le possibili alternative e contraddizioni, senza le quali essa (la sociazione) sarebbe data una volta per tutte, rendendo l’agire umano insignificante e la soci-azione stessa inconsistente. Se la lettura è univoca non esiste punto di vista critico, questo è apparentemente lapalissiano, ma la possibilità del ragionamento stesso non è così a disposizione come si potrebbe pensare:
[…] l’elaborazione di un punto di vista critico – non più garantito da una teoria zenitale calata dall’alto – si può sviluppare solo se riconosce l’implicita ambivalenza della sociazione, dei rapporti sociali, del dualismo ordine conflitto, in quanto ogni strategia di riduzione dell’incertezza stessa si scontra con la costruzione di meccanismi di dominio e di costrizione che rinfocolano quella stessa critica che vorrebbero tacitare (p. 56).
Lo spazio del post-umano non è lo spazio della modernità popolata da una specie diversa di umani, ma un ambiente non più a immagine umana, non soltanto “naturale” ma intrecciato, aggrovigliato con il sintetico, il cibernetico, l’inorganico inseriti in un campo gravitazionale e in una rete di relazioni che rimandano allo IoT (Internet of Things) che secondo Grossi “si allontana sempre di più dall’idea di società che discende dal mito della polis greca” (p. 64). Ma la cosa non è in sé negativa. Si tratta di un altro mondo, di un mondo così profondamente e velocemente nuovo e altro che ci mancano gli strumenti per interagirci. Ma non per non rimanerne fuori – ti ci hanno tirato dentro travolgendoti – ma per conservare la parola e per non essere calpestato da queste realtà emergenti: virtuali, meccaniche, ma anche fatte di una sostanza che è pura informazione. Lo spazio dell’ambivalenza diventa allora la bussola per farci distinguere tra due forme possibili di post-umanità. Quella degli ibridi che mettono in discussione il dominio antropomorfo del mondo, quelli di una possibile ontologia piatta dei pensatori della OOO (Ontologia Orientata agli Oggetti) che rimanda a una democrazia delle cose, ma anche quella di una configurazione automatica che tende a marginalizzare l’umano in una visione probabilistica, data una volta per tutte che sottrae all’umano il potere decisionale delegandolo alle macchine o, più precisamente, ai padroni delle macchine. Per questo lo strumento dell’ambivalenza è uno strumento importante per non trovarci dentro a una strada senza uscita di tipo epistemico, ma anche reale. “Tra eugenetica cellulare riparativa e procreazione sintetica, tra algoritmi bio-chimici e algoritmi digitali, in cui implicitamente si sostiene non la cooperazione/confronto tra biologico e tecnologico ma il primato del secondo sul primo, anche se sempre ‘supervisionato’ da superuomini” (p. 67). Da soggetti comunque asserviti ai padroni delle macchine se non addirittura da quei padroni stessi assurti alla dimensione esclusiva di superuomini, aggiungo io, pensando di non discostarmi dal pensiero dell’autore che in più punti sottolinea il pericolo di doversi affidare a tecnologie proprietarie che, perseguendo obiettivi di rendita, si muovano in direzione contraria agli interessi comuni, imponendo un punto di vista da non poter essere messo in discussione. Sarebbe proprio questo uno dei fattori che esclude il dispositivo dell’ambivalenza e un motivo fondante per il suo recupero.
In quest’ottica Grossi si confronta con la ANT (Actor–network theory) che è anch’essa una ontologia non gerarchica che assegna agenzialità e soggettività non soltanto agli umani, ma che la estende alle cose, ripercorrendo indirettamente il percorso che va dalla ambivalenza alla pluralità dei soggetti contrari a una visione univoca, certa e calata dall’alto, anche quando pare uscire da una rete relazionale complessa.
D’altra parte la salvaguardia dell’ambivalenza è sicuramente uno strumento sofisticato e non una semplice confutazione di visioni univoche, determinate, indiscutibili e date di default da un apparato macchinico al servizio della accumulazione capitalistica. Ma, attenzione, non si tratta del problema della distribuzione della ricchezza, ma di un impoverimento epistemologico che pauperizza anche i saperi e il pensiero critico. E la critica e le potenzialità del dispositivo dell’ambivalenza non si espletano soltanto verso il trattamento digitale delle informazioni, ma anche a quella parte della biologia che si può trattare come informazione e cioè la genetica e la sua deriva complementare di tipo evolutivo.
Un grande lavoro apparentemente rivolto alle discussioni tra addetti ai lavori, che lascia invece il segno nel momento in cui apre a un’altra possibile lettura del presentarsi delle cose e dello spirito che soggiace alla sociazione, che può, per questo, essere chiuso e dato di default o aperto e condiviso.
Giorgio Grossi, La sfida dell’ambivalenza. Il futuro della sociazione umana e post-umana nel Terzo millennio, ombre corte, Verona 2021, pp. 182, € 16.00
Gilberto Pierazzuoli
Gilberto Pierazzuoli
Ultimi post di Gilberto Pierazzuoli (vedi tutti)
- Le AI e il gioco del Ripiglino - 18 Gennaio 2024
- I consigli di lettura di Gilberto Pierazzuoli - 24 Dicembre 2023
- Le AI e la voce - 12 Dicembre 2023