Emergenza abitativa: da problema sociale a questione di ordine pubblico

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La notizia arriva stamane, 26 ottobre. Dopo uno sgombero effettuato la mattina (esattamente mercoledì scorso) alla sera 15 persone, per lo più working poors con stipendi che vanno dai 500 euro ai mille e duecento del “ricco” di turno, rioccupano. Un residence chiuso da tempo, due anni circa in coincidenza con la pandemia, appartenente a Gestimmobili spa. Al drappello dei primi 15, si unisce in breve un altro gruppo di altre dieci persone circa, in assoluta prevalenza italiani, che da tempo si sono rivolti alle strutture pubbliche per problemi che riguardano l’esclusione, causa povertà, dal mercato libero degli affitti, o altre situazioni di disagio, che tuttavia portano sempre al medesimo risultato. Senza casa, senza tetto, con l’inverno incombente. Senza risposte.

Cosa succede a Firenze? Succede qualcosa a cui non eravamo abituati. Prendiamo una giornata, facciamo un esempio. Mercoledì 20 ottobre, una famiglia di due persone, madre e figlio, si alzano dal letto sapendo che quasi sicuramente quello sarà il giorno in cui si ritroveranno senza casa. Dovranno abbandonare la piccola abitazione di due stanze con bagno alla periferia della città per andare …. E qui si apre il baratro. Perché quelle due persone non sanno dove andare. Una donna di 50 anni circa e suo figlio di 24, da due anni e mezzo in morosità per quanto riguarda il canone d’affitto, verranno allontanati con la forza pubblica verso un destino che, nelle prime ore di quel mattino grigio, non vede sbocchi diversi dal marciapiede. Anche perché non hanno neppure la classica auto, ultimo rifugio per i disperati senza più casa.

Un caso emblematico, il loro, perché non riguarda un problema di povertà incancrenita e ostinata, ma una patologia depressiva che ha portato la donna, che svolgeva fino a pochi anni fa un ruolo di prestigio in un famoso brand di moda, ad abbandonare i remi della sua vita fino a ritrovarsi in una situazione senza uscita. Morosa, senza soldi e con un figlio che, dopo aver tentato di trovare un’occupazione con la sola licenza di terza media, si ritrova nel particolare frangente ad arrancare con le stampelle, causa un infortunio a una gamba, dietro alle valigie e ai sacchetti che in fretta e furia ha dovuto sistemare in una macchina a noleggio.

La storia, ancora in corso di sviluppo, vede da un lato l’interessamento del Comune nella persona dell’assessore al welfare Sara Funaro e dell’assessore alla casa Benedetta Albanese, ma ancora, mentre si scrivono queste righe, la famiglia è in casa di un’amica che, venuta a conoscenza della storia, non ha il coraggio di buttare per strada la signora e il figlio. Da segnalare anche la risposta straordinaria di un lettore del quotidiano online dove la storia è apparsa, il responsabile commerciale di una nota agenzia di lavoro interinale, che ha pregato la redazione di metterlo in contatto con la signora e il figlio. Almeno, scrive il lettore, dal lato lavorativo vorremmo dare mano alla signora.

Se questa è la lettura della storia umana, è tuttavia un altro dato, quello che dà da pensare. Ed è esattamente il fatto che, per eseguire lo sfratto con forza pubblica, quella mattina siano intervenuti una ventina di agenti di polizia in assetto antisommossa. E’ vero, tutti erano a conoscenza, visto l’accesso precedente, che a cercare di impedire lo sfratto al buio della famiglia sarebbero intervenuti gli appartenenti della Rete Antisfratto Fiorentina, che vede varie componenti fra cui il Movimento di Lotta per la Casa, lo Sportello solidale di Campi e altre associazioni, ma di fatto non è esistita nessuna mediazione o trattativa. La proprietà, che per inciso ha continuato a pagare il condominio e la bolletta dell’acqua in questi due anni e mezzo, non ha concesso proroghe e lo sfratto è stato eseguito, con spintonamenti e qualche trascinamento. Sta di fatto che non c’è stato nessun margine per far scattare qualche altra settimana, necessaria per assistere la donna che nel frattempo, sollecitata e accompagnata dal sindacato (il Sunia) e dalla Raf, ha fatto domande di assistenza sociale, di ingresso nelle case degli indigenti e anche nella graduatoria dell’emergenza sfratti.

Intanto, mentre si consumava lo sfratto del piccolo nucleo famigliare, le forze dell’ordine, su ordine del magistrato, attuavano uno sgombero nei confronti di un gruppo di cittadini stranieri e non che avevano occupato da poco meno di due anni una struttura dell’Inail dietro l’ospedale di Careggi. La struttura in via degli Incontri è stata oggetto di una grossa battaglia da parte di Rifondazione Comunista e di alcune associazioni, in particolare ADINA, che ne aveva fatto il fulcro di un progetto, a tutt’ora fermo in Regione, per l’accoglienza degli utenti della vicina Unità spinale, che spesso vengono da lontano per sottoporsi a cure lunghe e dolorose, per le quali devono rimanere molti giorni in loco.

La struttura, con nome di Casa Gabriella dalla militante di Rifondazione, disabile essa stessa, che si batté per anni per l’Unità spinale e per la trasformazione della struttura abbandonata dall’Inail in un luogo di supporto per i pazienti e i loro parenti, era stata occupata da un gruppo misto di persone, quasi tutte classificabili come working poors, perlopiù famiglie per circa una ventina di persone. Lo sgombero è avvenuto con sistemazione delle fragilità in strutture, ma completamente al buio per tutti gli altri. Una quindicina di persone che si sono disperse fra amici, parenti e altre occupazioni.

In tutto questo, i punti da sottolineare sono: sebbene ormai da tempo, almeno un anno e mezzo, i sindacati degli inquilini, i movimenti e le associazioni lanciassero l’allarme per lo tsunami di sfratti che si sarebbe sollevato a partire dallo sblocco degli sfratti dopo i due anni di pandemia più dura, sembra proprio che questi appelli si siano persi nel vuoto e che i Comuni, per la maggior parte, si siano fatti trovare col sacco vuoto per quanto riguarda le abitazioni. 

E’ notizia di oggi (lunedì 25 ottobre) che il bando Erp atteso da 4 anni, vedrà la luce tra il 28 e il 29 ottobre. Un passo importante, che tuttavia dovrà fare i conti con le note difficoltà dell’Ufficio casa, sotto organico e privo del referente informatico per il controllo delle domande (!).

Il caso è ancora più evidente nel contesto del Comune di Firenze. La città, ad alta tensione abitativa, si trova alle prese con circa 3500-3800 sfratti avviati, con una media, secondo i dati dei sindacati, di circa 130 sfratti al mese. Eppure, non riesce a mettere a disposizione neppure una quota di case per emergenze come quelle della signora la cui storia abbiamo sinteticamente riportato più sopra, o per le famiglie di lavoratori poveri che si trovano alle prese con affitti che li escludono automaticamente dal mercato. L’altro dato, è che la fascia grigia di cui tanto si parla, è ormai rappresentata da quel nucleo di lavoratori impoverito dalle misure pandemiche, che non è riuscito per irregolarità del lavoro o lavoro al nero tout court, a farsi riconoscere la diminuzione degli introiti a causa pandemia, e quindi non ha avuto accesso alle misure per fronteggiare l’impoverimento. Accanto a tutti questi, permane lo zoccolo duro dei “poveri-poveri” e i casi di coloro che si trovano a cavallo fra welfare e casa, che rientrano quindi nei casi sociali ma a cui manca il tetto sulla testa. Un problema cui non si può rispondere neppure con le strutture, in quanto è difficilissimo trovare posto, e quand’anche fosse, spesso il permanere in struttura è condizionato dal famoso “percorso” o è programmato in tempi strettissimi.

Eppure gli alloggi potrebbero anche esserci. Ad esempio, ancora non si sono trovati i soldi per ripristinare i circa 800 alloggi vuoti dell’Erp fiorentina, o progetti annunciati da tempo e lavori iniziati da anni non sono stati portati a termine. Ci si chiede anche come si sia proceduto con la spartizione fra Comuni degli 8 milioni di euro che l’assessorato regionale alla casa ha consegnato qualche mese fa per allargare il numero e rispristinare gli alloggi popolari. Senza contare i vari contenitori vuoti e lasciati nel degrado, che sono stati oggetto di una recente campagna della Raf che li ha segnalati nelle varie zone di Firenze: dai 6 alloggi in via del Romito, ex Ipab, entrati successivamente nel patrimonio comunale e poi venduti a Invimit, ad ora in evidente stato di abbandono, o gli 8 alloggi di via della Pergola, o ancora l’immobile Inps di via Masaccio, una struttura che vede ad ora lo svolgimento delle attività dell’Inps in solo una piccola parte dell’edificio, i 90 alloggi vuoti della stessa Inps, la vecchia sede delle Poste in via Pietrapiana, solo per citarne alcuni.

Senza contare i vari edifici riqualificati, dove un parte o buona parte verrà finalizzata all’abitare dedicato alla fascia grigia: canoni che arrivano a 600 euro al mese (più spese condominiali), che non tengono conto del livello medio degli stipendi, che spesso arrivano a 1200-1400 euro mensili per una famiglia monoreddito. E dal momento che sono state soprattutto le donne, secondo i dati Istat, a pagare il prezzo della crisi pandemica con riduzioni di orario e licenziamenti, i conti si fanno rapidamente. Insomma tirando le fila, se l’Italia finora è stato il Paese del mattone, da ora in avanti la casa rischia di diventare strumento di esclusione più che di inclusione: mantenere la casa è sempre più gravoso, politiche per le case popolari sono molto al di là dal venire, il parco dell’edilizia pubblica è sempre più insufficiente e neppure del tutto utilizzato. Eppure, si è trovato un milione di euro per mettere in piedi l’Agenzia sociale della Casa, una sorta di agenzia per l’incontro di proprietari che a fronte di vari benefit perlopiù di natura fiscale ma non solo, acconsentano di mettere a disposizione i propri alloggi a inquilini “referenziati” e garantiti dal Comune. Peccato che le richieste degli utenti siano molte, ma ad ora le offerte dei proprietari pressoché inesistenti.

In conclusione, l’aria che tira, anche di fronte a risposte muscolari che sembrano fare del problema sociale della casa una questione di squisito ordine pubblico, non sembra molto favorevole. Soprattutto se si getta un occhio in Europa, dove, ad esempio a Vienna, gli edifici anteriori agli anni ’50 devono venire affittati a un canone che non può superare il tetto stabilito a livello istituzionale, soluzione che viene incontro a un tempo al problema dei working poors e dello spopolamento dei centri storici dalla residenza.

Stefania Valbonesi

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Stefania Valbonesi

Nata a Ravenna, età vintage, svolge ttività giornalistica da circa vent'anni, essendo prima passata dall'aspirazione alla carriera universitaria mai concretizzatasi. Laurea in scienze politiche, conquistata nella fu gloriosa Cesare Alfieri. Ha pubblicato due noir, "Lo strano caso del barone Gravina" e "Cronaca ravennate", per i tipi di Romano editore.

1 commento su “Emergenza abitativa: da problema sociale a questione di ordine pubblico”

  1. Tanto per rafforzare – ma non ce n’è bisogno, Stefania ha una ben competente conoscenza della situazione case sfitte, sfratti e gente per la strada – un concetto che riguarda il duo padrone-affittuario, anche io sono stato sfrattato da mio cugino or sono dieci anni perché il bisogno della casa per lui era importante ed impellente….. tanto è vero che è ancora sfitta da allora. Ed io ho girato, una volta pensionato, alla periferia di Firenze, lì non è possibile, è troppo sinistro l’affitto.
    Ora mi trovo ad Empoli, città rossa senza le ossa da sempre. Le case sfitte qui sono a decine. Come si vede non cambia nulla: il padrone fa sempre quello che vuole, egli ha da sé buona parte della magistratura e la polizia, nelle varie espressioni, sempre.

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