Alla fine a qualcosa di utile è servita la ruota panoramica della Fortezza. Ha dato visibilità alla protesta degli ex-lavoratori di Pitti Uomo che, nel giorno dell’inaugurazione della fiera, hanno occupato la struttura appendendo lo striscione “Fermiamo la ruota dello sfruttamento”, per denunciare le condizioni di lavoro di chi si occupa della logistica della kermesse, dal montaggio alla gestione alla sorveglianza. Lavoro a nero, turni di 12/14 ore senza pausa, salari da fame, sono i temi che hanno rovinato la festa dell’inaugurazione di Pitti, invertendo la buona novella del rilancio della città attraverso il settore moda. Mentre il Sindaco di Firenze ostentava fiducia, un gruppo di una trentina di precari arrabbiati denunciava l’altra faccia della medaglia. “Siamo ottimisti – ha dichiarato Dario Nardella – e ho sentito molti manager dei grandi gruppi della moda che continuano a credere in questa città: Firenze si afferma non solo come luogo eletto per la moda maschile, ma anche il distretto della moda e della pelletteria più importante d’Europa grazie alla continuità con Prato e i comuni limitrofi”.
Il luogo eletto per la moda non è altro che una parata dorata, come quella posta lungo le strade dell’India antica, per nascondere al principe Siddharta la povertà, la vecchiaia e la morte. “Tutto questo lusso – hanno detto gli ex-lavoratori di Pitti – si accompagna alla retorica della ripresa e del rilancio dell’occupazione. Andrebbe detto, invece, che questi settori si reggono sulla fatica e su paghe da fame”. Marco, nome di fantasia, ha lavorato per quattro anni dietro le quinte luccicanti di Pitti: “durante le due settimane della fiera venivamo regolarizzati e i turni di lavoro erano nella norma, perché dovevamo apparire sereni, sorridenti e riposati. È nelle settimane di montaggio e smontaggio che tutte le regole saltavano: turni di dieci ore con mezzora di pausa per le hostess e gli steward, 14 ore senza pausa per chi si occupava della sicurezza, 12 ore per chi montava e smontava gli stand. La paga oraria era di 5,40 euro, contro le 6,30 previste dal contratto, poi ci venivano trattenuti i soldi per la divisa e per il materiale di cui avevamo bisogno, senza contare che lo stipendio arrivava quattro mesi dopo”.
Sono un gruppo autorganizzato, di una trentina di ex-lavoratori, si sono conosciuti alla Fortezza ed hanno deciso di fare fronte comune, cercando di intercettare quanti più colleghi possibile per imbastire una vertenza contro le tre cooperative che gestiscono la fiera (multiservizi, sicurezza e pulizie). Non hanno sigle sindacali e sono assistiti da una avvocata fiorentina che lavora con i sindacati di base. “Siamo di età diverse – racconta Marco -, sia uomini che donne. Tra noi ci sono studenti, ma anche persone adulte e con famiglie a carico. La vertenza ufficiale partirà nei prossimi giorni, intanto abbiamo voluto denunciare pubblicamente la truffa di cui siamo stati vittime e che coinvolge tutta la logistica di Pitti. In genere il primo anno si lavora a nero poi, se il lavoratore si fidelizza, così dicono loro, gli anni successivi viene fatto il contratto a termine, eluso però nelle mansioni, nelle condizioni, negli orari, nella paga”.
A sostenerli all’ombra della ruota panoramica c’era anche il collettivo di fabbrica Gkn, con lo striscione rosso che ormai accompagna ogni lotta del lavoro sul territorio: “Quando ci hanno licenziato, giustamente il territorio è insorto. Ma quando ci hanno mandato la procedura di licenziamento, avevamo altri 75 giorni di stipendio. Più della durata di buona parte dei contratti precari. E uno stipendio tra l’altro superiore a quello di molti di questi precari. In un certo senso eravamo ancora messi meglio di milioni di persone in questo paese”. Hanno chiesto scusa ai precari, i lavoratori Gkn, “per tutte le volte che non siamo insorti per loro”, perché ormai “il paese si è assuefatto al lavoro sottopagato e precario, noi invece crediamo sia l’ora di disintossicarci da questi livelli di sfruttamento”. E loro, i precari di Pitti, hanno aperto la pagina facebook @chelavorodimerda, nella quale pubblicheranno nei prossimi giorni le loro storie e verso la quale invitano tutti i precari e gli sfruttati a convergere, a denunciare, a portare alla luce quello che la città disneyland vuole nascondere sotto il tappeto.
Valentina Baronti
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