A Firenze, un letto su sette è riservato ai turisti. La questione della casa, da anni, è relegata a problema di ordine pubblico, un diritto oscurato dalle narrazioni tossiche della città attrattiva, competitiva, falsamente inclusiva. Oggi la giunta Nardella fa del social housing un discorso di sapore preelettorale, sussumendo (e tradendo) le istanze che sono emerse prepotentemente durante la pandemia. E proseguendo nella vendita (per farne alberghi) degli edifici pubblici che potrebbero viceversa contribuire a rispondere al fabbisogno di residenze sociali.
Una città che decresce
Qualche dato statistico può essere d’ausilio per avviare un ragionamento sulla residenza sociale nella città del turismo (in crisi).
Nell’arco temporale 2013-2019 la popolazione residente a Firenze cala dello 0,7%. Si passa da 378.376 abitanti a 375.871, gli italiani fuggono (-5.859 unità) sostituiti in parte dagli stranieri (+3.354 unità). Il centro storico (il cui areale, nelle statistiche, è più ampio dei circa 500 ettari dell’area Unesco in quanto equivalente al Q1, ivi compresi i popolosi rioni di San Iacopino-Maragliano, tra viale Redi, piazza Puccini e le Cascine) in sei anni perde circa 3.000 residenti, quasi uno e mezzo al giorno (passando da 48.105 a 45.246, con una flessione complessiva del 5,94%)[1].
Posti letto sì, ma per turisti
In tale contesto di decremento demografico, fino alla pandemia il turismo ha goduto invece di un’incontrastata crescita. Nel 2018 sono registrate 10.701.340 di presenze, con un saldo positivo rispetto al 2015 del 16,1%. Un dato sottostimato poiché i canali ufficiali di raccolta, come è noto, non riescono a intercettare gli spostamenti giornalieri.
Nel 2018 le attività ricettive alberghiere ed extralberghiere comportavano 51.542 posti letto. Il boom delle piattaforme di locazione breve determina, tra 2015 e 2018, un aumento del 43% di presenze in b&b in città. I ricercatori dell’università di Siena stimano che, nel 2017, un appartamento su cinque fosse , nel solo centro storico, offerto sulla piattaforma airbnb.
Insomma, mentre i residenti calano, a Firenze i posti letto aumentano vertiginosamente. Su 375.871 abitanti (di cui 45.246 nel centro storico/Q1), i posti letto alberghieri ed extralberghieri sono 51.542. Un letto per turisti ogni 7 residenti.
Si pensi inoltre che negli agriturismi della sola Città metropolitana fiorentina (ex provincia) i posti letto passano (2020) a 13.561 dai 13.396 dell’anno precedente. Mentre i giorni-letto scendono a 2.557.730 dai 4.223.844 del 2019[2]. Colpa del virus.
Eppure, col procedere della pandemia, il B&B riprende. La «cartina di tornasole [sono] le difficoltà attuali degli studenti universitari a reperire alloggi» (Sunia).
Città ad alta tensione abitativa
Firenze, nell’autunno 2021, si trova alle prese con circa 130 esecuzioni di sfratto al mese, secondo i dati forniti dai sindacati. Sono 3500-3800 gli sfratti avviati. 700 sono gli appartamenti pubblici sfitti in attesa di assegnazione, secondo i calcoli dei movimenti antisfratto. Tre gli sgomberi di occupazioni abitative nelle ultime settimane: Inail di via Incontri, via Caccini, via Faentina (l’occupazione insisteva su alloggi di proprietà comunale vuoti, non pronti per essere attribuiti agli aventi diritto).
Nella città in svendita, dell’Invest in Florence, del sindaco che “piazza” edifici pubblici alle fiere dell’immobiliare, non c’è mai stato sufficiente spazio per una efficace politica abitativa. Del resto non stupisce che un’amministrazione che vede di buon occhio la mercificazione degli spazi urbani e la sottrazione al pubblico degli edifici monumentali, non persegua priorità inerenti il diritto all’abitare dignitoso e tratti la casa come problema di ordine pubblico.
Se la Regione ha competenze dirette in ambito Erp (normative, programmatorie, economiche, etc.), il comune possiede tuttavia titolarità sulle politiche territoriali, sulle destinazioni d’uso, sulla individuazione del fabbisogno abitativo, sull’integrazione, sull’assetto delle attrezzature. Ha, in sintesi, responsabilità specifiche sul disegno della città e sulle politiche territoriali, sulla costruzione di un contesto. Ma, se si eccettua il caso dell’edilizia residenziale pubblica alle Murate (che però fa parte di un altro mondo, dei fondi Gescal, di adunanze popolari per la progettazione etc.), resta poco da segnalare nella città «ad alta tensione abitativa».
Eppure, benché da decenni una convincente politica pubblica della casa sia assente, la retorica di palazzo Vecchio ha cominciato a percepire l’importanza del tema.
Il sapore acre del social housing
Qualcosa è cambiato da quando la monocoltura turistica è entrata in stagnazione, piegata dalla forza di un virus capace di bloccare i flussi dei viaggiatori globali. Lo dimostrerebbe il piano operativo in lenta elaborazione che, presentato alla stampa dall’assessore Del Re, proprio in nome dell’edificazione di nuovo housing sociale sbloccherà i “volumi zero”. In altre parole: per il welfare sociale si potrà consumare terreno agricolo. Allora è vero che manca edilizia sociale, che esiste cioè un fabbisogno: ma perché costruire nuova edilizia periferica, e non mettere a frutto i volumi già esistenti, interni alla città, serviti dai mezzi e dalle reti? Perché non impiegare San Gallo, ad esempio? O Sant’Orsola? Viene il sospetto che non si voglia intaccarne la rendita posizionale (cioè la rendita accresciuta dalla posizione centrale del bene).
Sfogliando le norme tecniche che accompagnano il vigente regolamento urbanistico, nasce anche qualche altra perplessità sulle buone intenzioni dei costruttori di edilizia sociale: leggendo l’art. 37 si scopre che con “social housing” è da intendersi non solo l’«edilizia convenzionata nelle forme dell’affitto calmierato» (a breve termine, naturalmente), ma anche «acquisto a riscatto, [e] acquisto calmierato». In altri termini, il diritto all’abitare resta nella cornice del mercato. Sull’art. 37 RU bisognerà tornare nel prosieguo.
Il disegno di una città per ricchi
La situazione di disagio sopra descritta è la diretta conseguenza del perseguimento di un disegno che ha costruito una città esclusiva, del turismo di massa ammantato di lusso (vero o falso che sia), un
a città che è frutto dell’obliterazione del sociale nelle politiche urbanistiche, della rincorsa alla massimizzazione del profitto.
Alcuni tratti fondamentali di questo fallace disegno di città devono essere qui rapidamente delineati.
1) La vendita compulsiva dei beni immobiliari pubblici. Non solo i circa 60 appartamenti comunali – nel centralissimo “quadrilatero” tra via dei Pepi, via Fiesolana, via di Mezzo, via Pietrapiana – che svolgevano funzione di contenimento del disagio abitativo, ceduti a Invimit; ma anche le occasioni mancate, sia nel patrimonio pubblico alienato, sia negli edifici industriali dismessi che avrebbero potuto essere indirizzati a residenze sociali (alloggi volàno, alloggi di emergenza, accoglienza migranti, “nomadi” e senza fissa dimora): San Gallo, Costa San Giorgio, caserme, Sant’Orsola, Manifattura Tabacchi, Casa del sonno di viale Lavagnini, Teatro Comunale, Poste di Michelucci etc.
Caso a parte, ma che non tiene conto delle premesse sopra esposte (centralità dei luoghi da trasformare, recupero di edilizia esistente etc.), quello della caserma – satellite – dei Lupi di Toscana ceduta al Comune nel 2014 a titolo gratuito dall’agenzia del Demanio «per essere destinata prevalentemente ad un programma di social housing». Il concorso è espletato nel 2018 (ma, ancora nel 2019, Nardella si recava in Russia per trovare investitori: tra i grandi gruppi di investimento «anche società legate a Sberbank, la più grande banca russa», “Corriere fiorentino”, 4 settembre 2019). Un caso, quello dei Lupi, reputato «non sbagliato» persino dall’opposizione a sinistra, ma esclusivamente per «merito della cittadinanza e della partecipazione (e piuttosto della Regione Toscana che ha dato la cornice di questo progetto)», affermano Bundu e Palagi che lanciano strali all’opportunismo del centro-sinistra di governo: «una volta che si sceglie di fare cose non sbagliate, le si usano per provare a rendere leciti gli altri errori, parlando pure di visione».
2) La monetizzazione del social housing prevista dal regolamento urbanistico del 2014 (ancora: art. 37). Si tratta di un balzello per allontanare inquilini “scomodi” che permette agli imprenditori edili di derogare dall’obbligo di destinare quota parte del nuovo fabbricato ad edilizia cosiddetta sociale. È un bilancio quinquennale elaborato nelle stanze di palazzo Vecchio a far emergere come il vincolo gravante sulla superficie “rigenerata”, pari al 20% da destinarsi a social housing, sia stato vanificato dalla sua monetizzazione. Lo si trova nel Documento di avvio del RU-PO, 2019 (cfr. § 4.6.4, p. 69). I proventi della monetizzazione, deviati dal loro corso sociale, sono poi versati in opere di riqualificazione del contesto (nuovi marciapiedi, alberature, illuminazione etc.): il km zero a pro della privata intrapresa.
3) Politiche securitarie in luogo di welfare abitativo. La prima e la seconda giunta Nardella hanno fatto proprie le politiche della sicurezza e del decoro in linea con la postura neoliberal che predilige prender di mira i problemi di prossimità invece di quelli strutturali – il furto in casa anziché la povertà, il “degrado” anziché la ghettizzazione etc. – anteponendo a progetti francamente indirizzati alla socialità e alla relazionalità la costruzione di ghetti e recinti. Siamo stati allora allibiti spettatori del lavaggio dei sagrati all’ora di pranzo per impedire soste dei mangiatori di panini, delle mediatiche gesta degli angeli del bello, delle mille telecamere come obiettivo di mandato. Ultima, ma non minore per gravità del messaggio socio-politico, l’iniziativa “Casa protetta” che prevede contributi comunali per l’installazione di sistemi di sicurezza nelle «abitazioni dei cittadini»: un contributo per porte blindate, videocamere, casseforti e altre amenità. E stia sereno chi non ha un letto e dorme sotto i portici: può fare affidamento sulle mille telecamere del sindaco.
La casa nella città deserta
Durante la pandemia, la fragilità del modello monocolturale turistico emerge con forza. Nella città disertata dai turisti e dai falsi residenti in case destinatate all’affitto breve, il turismo chiude provvisoriamente i battenti e la disoccupazione dilagante genera morosità nelle locazioni. La bolla del disagio abitativo scoppia.
Nel 2020, Casa Spa – la potente società per azioni in house che gestisce circa 13.000 alloggi sul territorio provinciale fiorentino – dà avvio a F.A.S.E. (Firenze Abitare Solidale per l’Empowerment di comunità), una misura di sostegno all’affitto concordato rivolta alla “fascia grigia”, ossia a quegli abitanti che non accedono all’alloggio Erp ma che per le mutate condizioni macroeconomiche non riescono più ad affrontare il pagamento dell’affitto di una casa di residenza. Si tratta di uno strumento molto timido, ma forse utile nel superamento di alcuni aspetti critici riscontrabili nei locatori (timore di morosità, di rivolgersi a settori disagiati, che gli affittuari non se ne vadano…). Siamo comunque ancora a distanza siderale dall’esempio di La Pira (invano citato dal sindaco attuale e da quello precedente) in favore della casa per i più poveri, un esempio che la situazione emergenziale odierna potrebbe rendere riproponibile: la requisizione di alloggi vuoti delle grandi proprietà e delle banche che accumulano appartamenti confiscati ai costruttori insolventi. A Berlino un referendum popolare è stato indetto e vinto proprio su questi temi.
Notizie da via di Novoli
Alla situazione che abbiamo sin qui descritto si aggiungerà il contributo della strategia nazionale di ripresa&resilienza. Entro il 31 dicembre 2021 la Regione Toscana approverà il piano degli interventi del programma “Sicuro, verde e sociale: riqualificazione dell’edilizia residenziale pubblica”, contenuto nel PNRR, per il quale sono previsti oltre 93 milioni di euro.
Prima di concludere, vanno ricordati due provvedimenti legislativi a sostegno dell’abitare deliberati dalla Regione, che hanno avuto il merito di dare un afflato vitale alla morta gora sin qui descritta:
– il bando per l’autocostruzione (2009; replicato anche nel 2021) che ha dato vita all’autorecupero di alcune occupazioni abitative storiche come via Aldini o l’asilo Ritter: si tratta certamente di una risposta parziale, di nicchia, ma che garantisce una risposta concreta alla precarietà abitativa di associazioni di cittadini che «autorganizzandosi, prendono nelle loro mani l’intero processo di produzione, con partecipazione e solidarietà»;
– la misura di sostegno all’affitto, tempestivamente varata durante prima fase pandemica (primavera 2020), che, a detta di Laura Grandi (segretario generale Sunia), è ad oggi l’unico provvedimento che pare reggere alla crisi.
Per concludere
La segretaria generale del Sunia non tralascia tuttavia di sottolineare la contraddizione insanabile contenuta in quest’ultimo provvedimento: il sostegno all’affitto resta un aiuto a «dare i soldi» al padrone di casa. È innegabile che la soluzione risiede altrove: in un nuovo equo canone capace di togliere dal mercato l’affitto residenziale. Una soluzione che non si limiti a mettere le pezze, ma che aggredisca proprietà privata e libertà assoluta riguardo al bene primario rappresentato dalla casa di residenza.
Ilaria Agostini
* L’articolo riprende e aggiorna il contributo dell’autrice a La casa è ancora un problema, seminario di eddyburg, 28 settembre 2021.
Note al testo
[1] Fonte: Comune di Firenze, Avvio del procedimento. Piano Operativo e variante Piano Strutturale, allegato A, 2019.
[2] Fonte: https://www.cittametropolitana.fi.it/turismo/statistica-del-turismo/movimenti-turistici-e-consistenza-delle-strutture-ricettive/ (consultato il 27 settembre 2021, attualmente non disponibile).
Ilaria Agostini
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