Toscana, emergenza abitativa. I numeri fanno paura

Emergenza abitativa, i numeri fanno paura. Le stime, lanciate da Sunia e Cgil Firenze, sono di oltre 150.000 famiglie alle prese in Toscana con la precarietà abitativa.

Cinquemila rischiano di trovarsi, a partire dalle prossime settimane, le forze dell’Ordine con l’ufficiale giudiziario alle porte. Solo a Firenze, nel prossimo semestre, si rischiano oltre 70 esecuzioni forzate al mese, 30 a Pisa così come a Lucca, 40 a Livorno, 20 a Prato, Pistoia e Arezzo, 15 a Siena, Massa-Carrara e Grosseto.

Ma il primo, vero problema è che si tratta di dati che rischiano di essere abbondantemente sottostimati. La ragione la spiegano sia Laura Grandi, segretaria regionale del Sunia, che Pietro Pierri, segretario regionale dell’Unione Inquilini, sia Marzia Mecocci, del Movimento di Lotta per la Casa. Il problema è che i numeri restano potenziali, dal momento che non sono stati approntati gli strumenti per avere una percezione più precisa. In altre parole, manca ancora, almeno per quanto riguarda Firenze, quella commissione per l’emergenza abitativa, prevista dalla legge regionale e mai di fatto costituita, che vedrebbe allo stesso tavolo Corte d’Appello, Tribunale, amministrazione, Prefetto e sindacati, inquilini e proprietari. Importantissima, vista la composizione, per avere in mano davvero la situazione reale dell’emergenza. Che ad ora, disperdendosi in vari rivoli, rischia di diventare un fenomeno carsico, individuale, inabissato, che fatalmente prima o poi esploderà con tutta la forza e la rabbia delle acque sotterranee compresse e mai o mal gestite. In altre parole, si verifica una molecolarizzazione degli sfratti che di fatto ne impedisce sia la fotografia, che la messa in atto di tutele e programmazioni, sia da parte dei sindacati che dei movimenti e delle associazioni dedicate, come la Rete Antisfratto Fiorentina.

sfratto in via Rocca Tedalda

Ovviamente, non è questo il solo problema, ma conoscere il fenomeno nella sua realtà aiuterebbe, anche perché il Sunia ritiene si possa ragionevolmente arrivare, a seguito dello sblocco definitivo delle esecuzioni avvenuto il 1 gennaio scorso, al livello del 2018, ovvero a un numero di esecuzioni fra i 100 e i 130 al mese. Secondo il segretario regionale e fiorentino dell’Unione Inquilini, Pietro Pierri, si può pensare ad almeno 700 procedimenti potenziali pronti a diventare eseguibili nelle prossime settimane.

A fronte di ciò, accusano i sindacati, le amministrazioni si sono fatte trovare “scoperte” nonostante l’allarme sia stato lanciato almeno da un anno. A Firenze, mancano case volano, sono ancora lungi dall’essere terminati progetti di nuovi alloggi, le riqualificazioni hanno il freno tirato (basti pensare al progetto delle case di Torre degli Agli) e soprattutto rimane una quota di alloggi non assegnabili, secondo gli ultimi dati, almeno 700 alloggi nell’area fiorentina. Inoltre, è in corso, per coloro che potrebbero “anche” pagare un affitto non troppo basso ma neppure troppo alto secondo i canoni del mercato fiorentino, notoriamente uno dei più cari d’Italia, l’operazione dell’Agenzia Sociale per la Casa, che ancora, nonostante le agevolazioni di tutto rispetto per quanto riguarda la fiscalità e un fondo di garanzia pubblico contro le morosità, non sta partendo.

Un’operazione che dovrebbe essere rivolta, come molte delle operazioni di aiuto alla residenzialità del Comune di Firenze, alla fascia grigia. Ottima definizione, che tuttavia rischia di non misurare più i tempi. Molto più calzante la definizione working poors, ovvero lavoratori poveri, che lavorano ma non hanno reddito a sufficienza per l’esistenza libera e dignitosa promessa dalla nostra Carta Costituzionale. Un fenomeno di impoverimento del lavoro che rende sempre più pesante il problema della casa, sfornando sempre più morosità, sfratti, esecuzioni. Tanto più che, come segnala la stessa UE, anche quello che viene spacciato come “crescita” nel mondo del lavoro, è quasi del tutto assorbita da contratti a termine e precarietà diffusa. Eurostat rileva come l’11,8% dei lavoratori italiani versasse in condizioni di povertà nel 2019, uno scarto di oltre tre punti rispetto al 9,2% della media Ue e ragionevolmente si ritiene che la pandemia abbia contribuito ad innalzare e diffondere il fenomeno. Se si guarda alle retribuzioni individuali, il 25% dei lavoratori percepisce una retribuzione inferiore al 60% della mediana dei redditi, sprofondando nella categoria dei lavoratori poveri. I dati sono quelli estrapolati da Eurostat, e segnala la difficoltà di lavorare a tempo pieno, oltre che per la fragilità del sistema economico italiano, che compensa mettendo in campo i famosi “lavoretti”, anche per il boom di contratti di part-time involontario o periodi di inattività che si intervallano fra un contratto a tempo (o atipico) e l’altro, fino ai noti contratti a tempo indeterminato, ma a part time verticale: sei mesi di lavoro, sei mesi no, o al part time involontario. Oltre a ciò, sono ancora molte le famiglie a reddito unico. Tutte situazioni che sono un brodo di coltura ottimale per le morosità abitative.

Se occupazioni e sgomberi si susseguono (a Firenze in un mese si è riusciti a collezionare 5 occupazioni e altrettanti sgomberi, senza che ci sia stato un confronto reale con le famiglie in buona parte di working poors che si trovano nelle condizioni di dover occupare per abitare), il segnale è allarmante dal punto di vista del dialogo e della considerazione del problema da parte delle istituzioni. Il rischio infatti è che occupazioni, sgomberi ma anche sfratti divengano sempre più un problema di ordine pubblico piuttosto che sociale. Il rischio ulteriore è che ciò esacerbi le contrapposizioni e le fratture sociali già accentuate dalla pandemia. Da più parti ormai si invoca l’intervento del legislatore, che rimetta in piedi un programma di costruzione e recupero che torni a fornire ai lavoratori uno strumento non di esclusione, come ormai è diventata la casa, bensì di inclusione e di partenza per una ripristinata mobilità sociale.

Un intervento che deve essere veloce, anche perché la situazione rischia di diventare insostenibile. Ed è ormai una narrazione sbagliata, quella che racconta che a soffrire per la mancanza di casa siano solo gli extracomunitari. Nel gruppo che il 5 gennaio è stato sgomberato a Firenze c’erano, fra fiorentini, toscani e italiani almeno 5 persone. Poi, le storie sono drammatiche: quella di Jacopo, un ragazzo toscano che ha dovuto dormire su una panchina, e a cui nel sonno sono state rubate le scarpe, col risultato che si è dovuto aggirare in pieno inverno scalzo, fino a quando un cittadino di buon cuore, avendolo notato e fermatosi a parlare, lo ha condotto in un negozio e gli ha comperato un paio di scarpe nuove. O quella di Franco, che lavora in un ristorante e dorme sotto il loggiato di una piazza fiorentina, senza potersi lavare o riposare, e che rischia, se continuerà in questo modo, di perdere il lavoro.

“L’allarme ormai è suonato da un pezzo – dice Marzia Mecocci, del Movimento di Lotta per la Casa – e mi sentirei di dire che già oggi siamo a un livello molto alto di inconoscibilità del numero reale di chi sta per subire o subisce uno sfratto. Dato incontrovertibile, ormai gli sfratti eseguiti sono quasi tutti per morosità, il resto è abbondantemente residuale. Ma oltre a ciò, il vero problema è anche il fatto che, nonostante il blocco, i procedimenti sono andati avanti senza tuttavia che le tappe siano state comunicate. Ci troviamo sempre di più di fronte a famiglie che si ritengono ancora “al sicuro”, dal momento che hanno ricevuto solo una prima notifica, e che invece si ritrovano con la forza pubblica alla porta senza essere preparate. Per quanto ci riguarda, invitiamo tutte le persone che hanno ricevuto almeno un avviso di sfratto a recarsi presso l’Urp del Tribunale per fare un controllo della propria situazione. Tutto ciò complica enormemente le cose, soprattutto se si vuole avere un quadro attendibile della situazione”.