La follia delle “Armi all’Ucraina”

Al momento di marciare molti non sanno
che alla loro testa marcia il nemico (B. Brecht)

Questa rivista recita nel suo titolo “La Città Invisibile” avendo nel significato l’intenzione di dare voce a chi non l’ha o l’ha tacitata dal clamore di media mainstream. Anche se i nostri interessi sono concentrati sulla città, sul territorio, sulla difesa dei diritti civili e sociali non possiamo tacere in questo momento molto grave in cui una guerra sta devastando l’Ucraina, ma anche la politica e la vita del nostro paese. Anche in questo tempo di guerra vorremmo far sentire le voci tacitate o sovrastate dalla tempesta mediatica. Non vogliamo entrare in dettagliate analisi geopolitiche che altri meglio di noi sanno fare, ovviamente condanniamo l’invasione russa che riteniamo un crimine e un errore che si ritorcerà contro la Russia stessa.

È bene ricordare come i pacifisti russi ed ucraini hanno sempre avuto posizioni molto convergenti e proposte concrete; nessuno li ha voluti ascoltare in precedenza, oggi vengono citati solo quelli russi perché arrestati, nessuno vuol ricordare le loro convergenze. Ancora, dal basso, si affaccia qualche sintomo di speranza che si cerca di recidere.

Quello che oggi ci stupisce, ci indigna e ci preoccupa profondamente è la reazione sincrona di tutti i governi europei, dentro e fuori l’UE; ci ha lasciato stupiti che all’inizio dell’invasione non si sia subito tentato di fermare le armi e chiesto all’invasore di sedersi per capire le sue richieste e cercare una mediazione che fermasse l’orrore.

La sciagurata decisione di “aiutare” gli Ucraini, soprattutto con l’invio di nuove armi, segna l’intenzione europea ed atlantica di non voler fermare il conflitto, anzi pare volerlo con forza. Intanto aumentano vertiginosamente le spese militari ovunque, resuscitano vecchie ambizioni sopite come la decisione tedesca di riarmarsi fortemente; i fantasmi novecenteschi più inquietanti si concretizzano di nuovo.

L’impressione è che nessuno abbia voluto fermare la follia della guerra scatenata da Putin, ma subito si è creato un clima di guerra tentando di costruire un fronte interno disposto ad accettarla con i soliti strumenti: polarizzazione delle posizioni, criminalizzazione del nemico (che nel caso di Putin è fin troppo facile), demonizzazione di ogni dissenso accusando ogni posizione critica di accordo col “nemico”, vittimizzazione dell’alleato e demonizzazione del nemico, allarmismo esasperato accollandone le responsabilità al “nemico”.

Gli esempi di questo clima sono talvolta sfociati nel ridicolo come nel tentativo di impedire addirittura delle lezioni su Dostoevskij o di farle assieme ad un autore ucraino in una visione demenziale di par condicio, il licenziamento di artisti rei di non aver fatto auto da fè; ma anche l’ondata di immagini sulle condizioni dei profughi appare più uno strumento di propaganda che non una denuncia dei misfatti della guerra, visto che ci si dimentica che le vittime di altri conflitti (Libia, Jugoslavia, Iraq, Siria, Libia, Afghanistan, Yemen…) non hanno commosso e non commuovono nessuno, nemmeno adesso dove ai confini della “pietosa” Europa vengono respinti verso la guerra quelli che non hanno capelli biondi o occhi azzurri.

Quando arriva la guerra evapora ogni spirito critico, le opinioni diverse diventano tradimento, il dissenso è appoggio al nemico; succede in Russia, dove i pacifisti di quel paese stanno cercando di fermare la follia del loro governo rischiando l’arresto, accade, per ora in modo più soft, anche ad ovest, con l’ostracismo o la tacitazione del dissenso.

Il clima che gronda dai media principali è quello emergenziale che non consente dubbi, si crea un ambiente che non può che condurre alla riduzione degli spazi democratici; l’emergenza della pandemia aveva prodotto uno dei governi in cui il ruolo del Parlamento era ridotto a quello di un votificio senza alcun dibattito, adesso la guerra acuisce questa deriva, tutta l’attenzione è sulla cattiveria di Putin e sui mezzi possibili per punirlo.

Le conseguenze di questa guerra sono fuori dalle nostre previsioni, ma sicuramente saranno profonde e segneranno cambiamenti notevoli, sicuramente non buoni. La brutale follia di Putin e del suo entourage pare aver ottenuto obiettivi opposti a quelli cercati: la NATO, che pareva in stato piuttosto confusionale, si è momentaneamente ricompattata, l’Europa pagherà alti costi di questa guerra soprattutto sul piano energetico; pagheranno più di tutti gli Ucraini che si trovano tra il martello russo e l’incudine di un occidente che non cerca una tregua e vorrebbe costringerli ad una guerra di logoramento. Chi pare nella condizione di festeggiare davvero sono gli Stati Uniti che vedono uno dei loro principali competitori impantanato nelle steppe sarmatiche mentre il timore di una saldatura tra l’Europa dei capitali forti e risorse naturali russe svanisce; adesso possono affrontare con maggior tranquillità il vero nemico, la Cina, e sperare di mantenere egemonia sul sistema mondo.

Questa conflitto tra Russia e Europa è per noi uno scontro tra soggetti capitalistici oligarchici; in questo contesto si capisce come popoli e persone non contino nulla se non come masse da manovrare mediaticamente; uscire da questo incubo e costruire democrazia reale è il compito che il movimento pacifista deve darsi, oltre a fermare i carri armati e chiudere i portelli delle postazioni missilistiche. Fondare una convivenza non basata sulla potenza, il conflitto, la disuguaglianza, ma sulla cooperazione.