Caro Giani, l’accoglienza è un’altra cosa. Lettera di un lavoratore del sistema di accoglienza e integrazione.

Caro Giani,
tu te la ridi ma per noi l’accoglienza è un’altra cosa. Da anni lavoro in un progetto di accoglienza e integrazione e ogni giorno, insieme ai miei colleghi e colleghe, mi impegno per fornire un servizio professionale e al tempo stesso “umano” con chi ha dovuto lasciare la sua casa, il suo paese, la famiglia e tutto ciò che aveva. Faccio questo lavoro in cambio di un salario da fame e spesso faccio più di ciò che mi compete perché nel budget di 30 euro al giorno ci dobbiamo far rientrare tutto: l’affitto e la manutenzione della casa dove vivono i rifugiati, le bollette, i soldi che diamo loro per mangiare e fare le ricariche al telefono, i corsi di italiano, le spese sanitarie, la mediazione linguistica e culturale, i corsi professionali, l’abbonamento ai mezzi pubblici, l’orientamento alla ricerca lavoro e molto altro. Senza contare che spesso arrivano persone vulnerabili, che hanno vissuto orrori indescrivibili e che si portano ancora addosso le cicatrici (fisiche e mentali). Avrebbero bisogno di ben altri servizi ma questo è quello che c’è e quindi ci tocca dare il massimo per sopperire a queste carenze.

Anche grazie al mio impegno, a quello dei miei colleghi e delle mie colleghe, la Regione Toscana può vantare un servizio di eccellenza per quanto riguarda l’accoglienza e l’integrazione, un modello studiato anche all’estero. Leggo oggi che la Regione ha firmato una convenzione con gli albergatori toscani per ospitare i rifugiati ucraini. Per ciascuna persona arrivata dall’Ucraina il budget sarebbe fino a 70 euro al giorno per una semplice mezza pensione. Qualcuno in malafede potrebbe pensare che forse si voglia approfittare della grande solidarietà mostrata dai cittadini per rimpinguare le tasche degli albergatori. Ma il mio primo pensiero è stato un altro: e tutto il mio lavoro? Tutto quello che faccio ogni giorno? Le ore e i giorni passati a cercare soluzioni ai problemi più disparati? Questi profughi li vogliamo accogliere o solo ospitare come turisti?

La differenza è enorme. Quando qualcuno si lamenta con me delle spese per l’accoglienza io cerco di spiegare loro che il nostro è un investimento sul futuro. Che fine farà una persona che non parla la lingua, che non sa come trovare un lavoro regolare, che magari ha diritto ma non sa come avere i documenti? Spesso finiscono nelle mani della malavita, o nella microcriminalità. Spesso diventano clandestini solo perché non sanno rinnovare un permesso di soggiorno. Quello che cerco di fare ogni giorno è di fornire un’alternativa a queste persone, di farli diventare cittadini come me, coscienti dei propri diritti e doveri, con un lavoro regolare. Cerco di farli sentire parte di una comunità, perché quando uno si sente parte di una comunità fa di tutto per difenderla e per contribuire al benessere di quella comunità.

Non è facile sentirsi parte di una comunità in una regione dove lo sfruttamento lavorativo è all’ordine del giorno nelle cucine dei ristoranti di Firenze e Pisa, nelle fabbriche di Prato e nelle concerie di Santa Croce, nelle vigne del Chianti e nelle località balneari lungo tutta la costa. Non è facile quando gli stipendi non bastano a pagare l’affitto e spesso gli stranieri si ritrovano a dover dividere una stanza con tanti altri connazionali, tanti piccoli ghetti involontari. Io cerco di spiegare loro che anche molti italiani vengono sfruttati e non riescono a pagare l’affitto.
Il mio è un lavoro a 360 gradi, do sempre il massimo perchè alla fine la comunità di cui parlo è anche la mia. E adesso leggo che forse basta un albergo a mezza pensione, pagato il doppio del budget previsto per il mio progetto.

Caro Giani, l’accoglienza è un’altra cosa. Queste persone scappano dalla guerra, hanno bisogno di un supporto vero, non di una vacanza!