“Nessuno stato di necessità”, illegittima la contenzione usata dalla municipale fiorentina. Cosa dicono le norme

Il caso della persona di nazionalità senegalese fermata dagli agenti in borghese in Lungarno Acciaiuoli, a Firenze, e immobilizzata con un meccanismo di contenzione che ripropone quello che Manconi definisce “codice Floyd”, si è verificato con tempismo singolare.

L’Italia, infatti, proprio in questi giorni è chiamata dalla Corte Europea dei Diritti Umani a rispondere nel ricorso Magherini e altri c. Italia comunicato al Governo italiano il 14 Dicembre 2021. Il caso riguarda la morte di Riccardo Magherini, avvenuta sempre a Firenze in seguito alla mossa di fermo e immobilizzazione detta di decubito ventrale (o posizione prona). Questa tecnica di immobilizzazione e contenimento consiste nel mantenere una persona in posizione prona, ammanettata, con contestuale compressione toracica.

Proprio la tecnica di contenzione del “codice Floyd” sembra essere al centro dell’analisi della Corte EDU, che chiede all’Italia, tra l’altro, di specificare: “se esiste, e se esisteva all’epoca dei fatti contestati, una politica, un protocollo o una prassi consolidata al quale gli agenti di polizia fanno riferimento quando devono operare nei confronti di individui nella situazione del congiunto dei ricorrenti, in particolare per quanto riguarda l’uso di tecniche d’immobilizzazione e di contenimento, compreso il ricorso alla tecnica nota come “decubito ventrale””

La contenzione è al centro, inoltre, di un altro caso, sempre al vaglio della Corte EDU, Lavorgna c. Italia, che riguarda la cosiddetta contenzione meccanica (per distinguerla dalla contenzione umana o manuale, che usa il corpo del soggetto agente per immobilizzare il corpo di un’altra persona) operata legando al letto per 9 giorni consecutivi il ricorrente (paziente psichiatrico), mentre si trovava in carico al Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC).

Si tratta, dunque, in entrambi i casi, di tecniche di contenzione, umana e meccanica, operate su persone vulnerabili, in preda a stati di agitazione psicofisica. Insomma, entrambi i casi, seppur nelle loro differenze, ci costringono a riflettere su una questione che sta al cuore di ogni stato di diritto: quali sono le ingerenze possibili dei pubblici poteri nella sfera di libertà e sicurezza della persona anche qualora (come nel caso della contenzione in SPDC) queste ingerenze siano invocate a fini di tutela delle stesse persone soggette a contenzione (“per il loro bene”). Si tratta insomma del cuore della nostra civiltà giuridica.

La nostra Costituzione, che non sarà la più bella del mondo (cit.), ma pure contiene tutele e garanzie per le persone, anche e soprattutto in relazione alle ingerenze dei pubblici poteri, all’art. 13 indica espressamente che i limiti possibili alla libertà personale devono essere disposti “nei soli casi e modi previsti dalla legge” e che “È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà”. Insomma, i “casi e i modi” entro i quali, anche in situazioni eccezionali di necessità e urgenza, la pubblica autorità e, per ciò che qui ci interessa, l’autorità di pubblica sicurezza, può operare una compressione forte della libertà personale devono essere chiaramente definiti. Le regole del gioco devono essere fissate e la CEDU chiede all’Italia di sapere dove e come queste regole sono state emanate.

Proprio in relazione al “codice Floyd”, il Comando generale dell’Arma dei Carabinieri emanava la circolare n. 1168/483-1-1993 del 30 gennaio 2014 che aveva per oggetto “Interventi operativi nei confronti di soggetti in stato di agitazione psicofisica conseguente a patologie o causato dall’abuso di alcool e/o sostanze stupefacenti“. Una circolare, quindi, non una legge, che d’altronde definiva una serie di istruzioni volte a “ridurre al minimo i rischi per l’incolumità fisica delle persone a vario titolo coinvolte“. In particolare “qualora (…) l’uso della forza risulti indifferibile, l’immobilizzazione deve avvenire (…) in collaborazione con gli operatori sanitari e con modalità che scongiurino i rischi derivanti da prolungate colluttazioni o da immobilizzazioni protratte, specie se a terra in posizione prona”, posto che “la compressione toracica può costituire causa di ‘asfissia posturale‘”;

gli operanti (…) devono posizionarsi ai fianchi del soggetto, trattenendolo possibilmente in piedi (…), così da evitare impedimenti nelle funzioni vitali e lesioni collaterali”; “la forza deve essere esercitata in misura strettamente sufficiente a vincere la resistenza e per il solo tempo necessario all’applicazione di strumenti di ritenzione e/o all’eventuale medicazione sedativa“;

Tali indicazioni che (non sia detto per inciso) erano state emanate ed erano quindi in vigore prima della morte di Riccardo Magherini (e la Corte EDU chiede, infatti, puntualmente all’Italia di fornire informazioni dettagliate che riguardano la formazione iniziale e continua degli agenti delle forze dell’ordine nel trattare con individui che sono in uno stato altamente agitato o altrimenti vulnerabili, proprio in relazione alle tecniche di immobilizzazione), sono state successivamente abrogate nel gennaio del 2016, come denunciato da Luigi Manconi nell’interrogazione a risposta scritta del 19 Luglio 2016. Proprio due anni dopo i fatti che hanno portato alla morte di Riccardo Magherini, è stata, infatti, diramata la circolare n. 1168/483-1-1993 del 19 gennaio 2016, che ha per oggetto “Interventi operativi, dispositivi di autodifesa del personale e uso progressivo della forza” e che sostituisce la circolare del 2014. La nuova circolare significativamente omette di reiterare le avvertenze relative ai rischi della tecnica di immobilizzazione da posizione di decubito ventrale.

Il riproporsi, sempre a Firenze, dell’utilizzo anomico della contenzione operata da forze di pubblica sicurezza (ma i casi di applicazione del “codice Floyd” in Italia sono molti e molti di più sono quelli che non conosciamo) impone una seria presa d’atto della situazione di illegittimità costituzionale e convenzionale in cui versa il nostro Paese, proprio per ciò che concerne le regole del gioco e i limiti possibili alla libertà personale. Sembra, insomma, che proprio in relazione a una compressione forte della libertà personale, oltre che dell’integrità fisica e della dignità umana (una triade che è alla base dei diritti fondamentali della nostra Costituzione, oltre a rappresentare i core values del sistema europeo convenzionale di protezione dei diritti) operata da pubblici ufficiali, la pratica della contenzione rimanga sospesa in un limbo tale da garantire l’impunità degli agenti di pubblica sicurezza che vi fanno ricorso. Non a caso, nella sentenza Magherini, la Corte di Cassazione ha potuto affermare che gli agenti non possedevano le conoscenze mediche per capire che la posizione adottata rendeva difficile la respirazione.

Eppure la contenzione, l’immobilizzazione di un corpo a opera di un altro corpo in divisa, impone necessariamente una riflessione sulle connessioni tra atti volti a garantire la sicurezza pubblica, conseguenze fisiologiche e psicologiche di tali atti sui corpi e sulle menti delle persone che vi sono soggette e responsabilità di uno stato di diritto rispettoso delle prerogative dell’habeas corpus. Per questo la lungimiranza dei nostri padri e madri costituenti ha introdotto una riserva di legge sui casi e modi delle limitazioni alla libertà personale. Affermare che addetti alla pubblica sicurezza che operano con tecniche di contenzione che incidono sui corpi e sulle menti delle persone non possano essere chiamati a risponderne significa abdicare alla funzione di tutela dei diritti e alla limitazione dei poteri che è alla base della teoria dello stato di diritto.

Come spesso avviene in Italia, la giurisprudenza ha tentato di fornire una risposta di supplenza, nel silenzio del legislatore. In particolare riguardo alla contenzione meccanica che accompagna i casi di TSO (trattamento sanitario obbligatorio), la Corte di Cassazione, nella sentenza Mastrogiovanni, ha affermato che la contenzione non è un “atto medico” e comportando una restrizione della libertà personale ha una mera funzione cautelare e può essere scriminata solo nelle ipotesi di stato di necessità, ovvero in caso di pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo altrimenti inevitabile e solo in condizioni di proporzionalità tra pericolo e azione contenitiva. Solo entro questi precisi confini la contenzione, qualsiasi contenzione, occorre ribadirlo, come trattamento ex se illegittimo, può essere scriminata.

Proprio alla luce delle risposte che il governo dovrà fornire sul caso Magherini, si può ritenere che le affermazioni contenute nella sentenza Mastrogiovanni trovino applicazione anche nel caso di contenzione umana operata dall’autorità di pubblica sicurezza, rendendo così illegittima la mossa di immobilizzazione da decubito ventrale operata nelle condizioni di cui all’arresto subito dal giovane in Lungarno Acciaiuoli a Firenze, in quanto non operata in condizioni di stato di necessità. Ciò in attesa che le indicazioni contenute nella circolare del 2014 (e non reiterate in quella del 2016) possano costituire un punto di partenza per riconsiderare tutta la materia e fornire una risposta legislativa che significherà anche una presa d’atto politica della posizione dello stato italiano rispetto alla forza operata dall’autorità pubblica sulle persone.