Diritto alla residenza: “A Firenze ostilità esplicita e burocrazia incomprensibile”. L’inchiesta di Fuori Binario

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Il diritto alla residenza è per una persona quanto di più importante ci sia per ottenere i diritti sociali e civili dallo Stato italiano. A Firenze molto spesso viene negato ai più, soprattutto a coloro che non sottostanno alle regole arbitrarie di “accompagnamento” imposte dai servizi sociali. Fuori Binario, il giornale dei senza dimora fiorentini, ha condotto un’inchiesta sul tema che rilanciamo con l’auspicio che possa alimentare un dibattito pubblico utile al rispetto della Costituzione, vergata – letteralmente sul sangue e sugli abusi del ventennio fascista e della guerra – a difesa dei più deboli.

Con articoli e opinioni di Valentina Baronti, Camilla Lattanzi, Stefania Valbonesi, Cristiano Lucchi, Antonella Bundu e Dmitrij Palagi 


“A Firenze percorso ad ostacoli che di fatto preclude un diritto”. Le dure parole di Enrico Gargiulo – sociologo esperto di cittadinanza – descrivono l’“ostilità esplicita” della burocrazia e il “paternalismo” dei servizi sociali

di Valentina Baronti / FUORIBINARIO

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A Firenze si è venuto a creare un meccanismo che di fatto esclude i cittadini che non riescono ad ottenere la residenza. Un meccanismo che coinvolge sia il livello burocratico che quello politico”. Va dritto al punto Enrico Gargiulo, professore di sociologia all’università di Bologna e uno dei massimi esperti in Italia di cittadinanza e politiche di integrazione. Lo abbiamo intervistato in merito alla sentenza della Corte di Appello, con la quale è stato riconosciuto il diritto di iscrizione anagrafica a un nucleo familiare che vive in un alloggio occupato a Firenze.

Prof. Gargiulo, lei nel 2019 ha partecipato alla stesura del rapporto sulle residenze invisibili a Firenze, curato da Medici per i Diritti Umani, quale situazione ha trovato?
Una cosa così, in termini di meccanismi burocratici, atteggiamenti stigmatizzanti, ostilità esplicita, non l’avevo mai vista, considerando inoltre che Firenze offre di sé un’immagine piuttosto “progressista”. Mi hanno molto colpito i meccanismi con cui si nega l’iscrizione: rimandare all’infinito gli appuntamenti, temporeggiare, far stancare le persone, rendere i percorsi incomprensibili a chi non ha un certo grado di istruzione o di conoscenza della lingua. Al nucleo familiare che poi ha vinto la sua battaglia in tribunale, si contestava il fatto di non aver accettato di essere seguito dai servizi sociali. Attraverso i servizi sociali in realtà si esercita una forma di controllo. Fino al 2009 si poteva avere la residenza in due modi, o perché si aveva una dimora abituale oppure tramite il criterio del domicilio, ossia dichiarando che ci si trovava abitualmente in quel comune, senza però dover fornire un riferimento, semmai un indirizzo per la corrispondenza. Con il pacchetto sicurezza di Maroni però si introduce il dovere di fornire le prove di questo domicilio e qui entrano in gioco i servizi sociali, incaricati di verificare che quella persona si trovi effettivamente lì. Per fare questo i servizi sviluppano un atteggiamento paternalistico, con l’obiettivo di “assistere” quasi forzatamente il cittadino, dicendo che deve presentarsi ai servizi un certo numero di volte altrimenti viene cancellato, dando l’appuntamento dopo tre mesi e altri atteggiamenti che potrebbero essere interpretati perfino come vessatori.

E riguardo all’iscrizione anagrafica nelle case occupate?
Qui interviene una nuova norma, il piano casa del 2014, il decreto Renzi/Lupi, che all’art. 5 sancisce che non si possa prendere la residenza all’indirizzo di una casa occupata abusivamente. Queste persone quindi dovranno chiedere l’iscrizione secondo il criterio del domicilio, cadendo nella trappola del pacchetto sicurezza e quindi nell’orbita dei servizi sociali che li controllano.

Cosa cambia la sentenza di Firenze?
La aspettavo da anni una sentenza così. Perché scrive nero su bianco che non è legittimo costringere le persone a rivolgersi ai servizi sociali. Consideriamo che senza l’iscrizione anagrafica non si può avere il servizio sanitario, né sostegno al reddito, non si può firmare un contratto di lavoro né aprire un conto in banca. Questa assurdità si è denunciata a livello accademico, a volte anche in ambito politico, ma dirlo a livello giudiziario può fare la differenza. Abbiamo chiesto al Comune di Firenze una posizione in merito alla sentenza, ma non abbiamo avuto risposta.

A chiarirci invece ulteriormente i contorni di questa vicenda è stato Paolo Morozzo della Rocca, professore di diritto privato all’Università di Urbino, autore di numerosi testi sul tema della cittadinanza: “La residenza è un diritto ma anche un dovere. Conoscere la residenza della popolazione è un’esigenza dello Stato ed essere esclusi dalla residenza significa essere esclusi dalla comunità, dalla cittadinanza. Questo comporta la negazione di diritti soprattutto sociali e per i cittadini italiani anche politici. Ma prima di ogni diritto si perde il diritto di esserci, di avere il proprio nome all’interno della comunità. Per questo la Corte Costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità della norma che impediva l’iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo, sancendo così un principio di carattere generale: chiunque vive stabilmente in un territorio ha il diritto/dovere di risultarvi”.


Quegli invisibili senza indirizzo. Risale al 2019 la stretta del Comune sulla residenza fittizia

di Camilla Lattanzi / FUORIBINARIO

“Quanti ne possiamo eliminare?”: usò questa espressione il dirigente dell’anagrafe di Firenze che aveva convocato l’Associazione Periferie al Centro per censire e dirottare altrove i senza dimora residenti al suo indirizzo. Ce lo racconta Gianna Innocenti, da anni attiva presso l’associazione. Un tempo le residenze venivano assegnate alle associazioni, oggi il Comune pretende in cambio che i senza dimora siano presi in carico dai servizi sociali: stringente controllo in cambio di nulla, né casa, né lavoro. Molte associazioni hanno così perso i residenti abituali, persone che conoscevano da anni perché da anni andavano di quando in quando a ritirare la posta o a fare quattro parole in un ambiente amichevole, senza pregiudizi verso storie di vita complesse.

Il Comune adesso “accentra e controlla”: la residenza viene assegnata in via del Leone 35 al Centro Diurno La Fenice, infelicemente etichettato “Polo cittadino della marginalità” e a quel punto ci si deve far vedere spesso per firmare la presenza: chi sgarra perde la residenza e deve ricominciare la trafila. Il Comune vuole la certezza che le persone vivano davvero a Firenze, forse per motivi statistici, per dire che in città vivono pochi senza dimora, ma – è solo un esempio – alcuni dei residenti fanno i muratori e seguono i cantieri in altri comuni, dove si fermano anche a dormire. Inoltre l’anagrafe fiorentina pretende che chi è in affitto prenda la residenza nella casa in cui abita: ma sappiamo bene che chi offre alloggio a un certo tipo di persone non vuole assolutamente che queste prendano la residenza, e chi magari una volta è riuscito a ottenerla, quando poi ha dovuto cambiare casa l’ha persa e non è più riuscito a farsela dare. I residenti di Periferie al Centro sono stati dimezzati ma l’associazione resiste, perché le persone sono storie, non numeri.


La residenza, diritto e non premio. “Accettare o no un percorso sociale non c’entra niente con la sua concessione”. Il parere dell’avvocato Mumolo dopo l’importante sentenza della Corte d’Appello

di Stefania Valbonesi / FUORIBINARIO

La residenza, come ormai noto, è il punto motore di una serie di diritti fondamentali, fra i quali la presenza nel sistema sanitario nazionale, la possibilità di lavorare, l’accesso a misure di sostegno quali il reddito di cittadinanza e l’assegno famigliare. Anche il diritto all’istruzione passa attraverso la definizione della residenza. “Si tratta di un diritto-dovere così importante che, al netto delle ultime modifiche, la legge chiede agli uffici anagrafe di rispondere alla richiesta di iscrizione nelle liste, entro 48 ore. Ovvero: entro 48 ore il Comune deve dare una risposta positiva oppure negativa, motivando quest’ultima”.

A parlare è il presidente dell’associazione “Avvocato di Strada”, Antonio Mumolo, che, in questi ultimi mesi, ha raccolto proprio a Firenze un importante risultato: un ricorso davanti alla Corte d’Appello portato avanti insieme allo staff fiorentino composto dagli avvocati Silvio Toccafondi e Paola Pizzi, ha prodotto l’importante sentenza del 26 aprile scorso. Tutto nasce da un caso emblematico. “Nella fattispecie, la protagonista, nata a Firenze, ha una sfortunata esperienza a Campi nella quale perde il lavoro e viene sfrattata. Dopo il suo ricovero in una stanza di un edificio occupato – spiega Mumolo – si rende conto che la figlia minore non può usufruire né dei servizi scolastici né di quelli sanitari. Si reca in Comune e chiede la residenza, che, dopo qualche tempo, le viene però rifiutata. Si rivolge allora ai servizi sociali, che pongono in essere una serie di passaggi tali da farle temere di poter perdere la figlia. Così – prosegue il legale – si rivolge a noi che chiediamo al Comune di Firenze l’iscrizione nelle liste dell’anagrafe: pur occupante senza titolo ma abitando stabilmente in città (cosa nota anche ai servizi sociali cui la donna si è già rivolta), la signora può infatti essere iscritta come residente all’indirizzo fittizio di via del Leone, e poi, in termini residuali, nelle liste del Comune di nascita, ovvero Firenze, secondo quanto previsto dalla legge”.

Eppure, il Comune decide che la signora non deve essere iscritta. Forse perché non ha accettato il percorso sociale? Forse il percorso sociale è ritenuto da parte del Comune di Firenze l’unico metodo per accertare se la richiedente (o i richiedenti in generale) hanno asserito il vero? E comunque, è il percorso sociale l’elemento capace di far pendere per il sì o per il no l’iscrizione all’anagrafe? Precisa Mumolo: “Il punto è: secondo la legge, la residenza è una dichiarazione che deve possedere soltanto due requisiti: uno oggettivo – mi trovo nel territorio di Firenze – e un altro soggettivo, ovvero la volontà di volerci stare. Il Comune deve darla, o negarla motivando il diniego, entro 48 ore. Se la dà, ha 45 giorni per effettuare indagini. Il percorso sociale, che attiene al welfare, non ha nessuna parte nel processo di iscrizione o meno. È un ottimo aiuto che il pubblico dà alla famiglia o alla persona, che deve essere accettato liberamente dal soggetto cui è proposto e che ovviamente potrà rifiutarlo, ma che non può e non deve influire su eventuali valutazioni che riguardano l’iscrizione”.
La sentenza, che arriva dopo 6 anni, da un lato conferma la natura di diritto soggettivo alla residenza, la sua obbligatorietà per il cittadino e per l’ente locale delegato di potere statale a procedere all’iscrizione o al suo diniego entro un tempo breve ma, soprattutto, mette in chiaro l’assoluta indipendenza del profilo legato al settore del welfare con quello legato alla legge che disciplina la materia in oggetto. Scrive infatti la Corte d’Appello: “Ritiene la Corte l’infondatezza della pretesa del Comune di Firenze di subordinare la concessione della residenza a una pre-istruttoria da effettuarsi tramite la presa in carico da parte dei servizi sociali in conformità alla delibera della giunta Comunale n. 2016/G/00050 del 24/02/2016”.


Sinistra, dove sei?

di Cristiano Lucchi / Fuori Binario

Le politiche dominanti sono ormai per la quasi totalità connotabili come di destra, nel senso classico del termine. Tranne rarissime eccezioni, chi governa e amministra le nostre città si pone verso le questioni della vita con l’atteggiamento tipico dei movimenti di destra: conservazione dell’esistente, ordine sociale basato sulla sicurezza dei ricchi, stigma sulle diversità. Le idee progressiste che hanno animato le masse nel Novecento sono ormai minoritarie nel dibattito pubblico e, drammaticamente, non sono più rappresentate nelle assemblee elettive.

Un tema centrale per Fuori Binario è il diritto alla residenza, che il Comune di Firenze nei fatti nega alle persone che vivono in una condizione di precarietà abitativa, che siano occupanti o senza dimora, impedendo loro il godimento di diritti fondamentali, come la tutela della salute, l’esercizio del voto, l’accesso alle prestazioni assistenziali e a sostegno del reddito, ai bandi per la casa, per citarne solo alcuni.
Sulla trafila burocratica a cui sono costretti, abbiamo interrogato gli esperti del settore, anche alla luce di una recente sentenza della Corte di Appello che ha ritenuto infondata la pretesa di subordinare il diritto alla residenza ad una presa in carico dei servizi sociali. Questo e altri paletti sono il motivo per cui le nostre strade sono oggi percorse da centinaia di persone che vivono in un mondo parallelo, private di una carta di identità con sopra un indirizzo che dia loro accesso ai diritti basilari.

Va inoltre ripensato da zero l’attuale percorso di accesso alla residenza fittizia, ovvero la possibilità di godere di un indirizzo convenzionale, unica alternativa per coloro che hanno diritto a un’iscrizione anagrafica e, tuttavia, non possono ottenerla nel luogo di effettiva dimora abituale. I comuni dell’area metropolitana dovrebbero agevolare l’iscrizione delle persone in emergenza abitativa, individuando un unico indirizzo al fine di garantire un’equa distribuzione ai servizi sociali. È la proposta formulata da Medici per i diritti umani che adottiamo e sosteniamo con forza. Se c’è ancora qualcuno di sinistra al governo delle nostre città batta un colpo, per favore.


“Se il Comune di Firenze nega la mia presenza sul territorio, c’è un tentativo di cancellarmi come essere umano”

di Antonella Bundu, Dmitrij Palagi – Sinistra Progetto Comune / Fuori Binario

Il diritto alla residenza, sì sa, è perfetto, non può essere messo in discussione. Da esso derivano anche doveri e obblighi, ma principalmente la questione è il riconoscimento dell’esistenza umana su un territorio. A Palazzo Vecchio, come in troppi altri Comuni, questo dettaglio è dimenticato. Soprattutto da quando si è emanata una legge con cui si è negato il valore della Costituzione per chi vive in immobili senza averne titolo. Nel corso degli anni, con atti proposti prima da Firenze Riparte a Sinistra e – in questa consiliatura – da Sinistra Progetto Comune, abbiamo più volte evidenziato come numerose circolari e sentenze avessero chiarito l’ordine di priorità anche in termini normativi.

Se lo Stato (attraverso gli enti locali) nega la mia presenza sul territorio, c’è un tentativo di cancellarmi come essere umano. Nel 2019 era stato approvato un atto che impegnava l’Amministrazione a utilizzare lo strumento della residenza virtuale (nata principalmente per registrare le persone senza fissa dimora) per chi vive in città in situazioni di irregolarità. Purtroppo subito dopo le elezioni la nuova Giunta – nonostante le dichiarazioni dello stesso Sindaco – ci ha chiarito come non intendesse dare seguito alla mozione votata dal Consiglio comunale pochi mesi prima. Allora abbiamo insistito, ottenendo – durante la pandemia – che quantomeno si bloccasse la cancellazione di quelle già concesse. Purtroppo anche questo indirizzo è rimasto una vuota dichiarazione di intenti.

Il reddito di cittadinanza aveva portato il Ministero del Lavoro a ricordare quali sono gli obblighi del Comune anche nel recente passato, ma niente. Ci è voluta la sentenza del 26 aprile di questo anno a ribadire che tutte le persone hanno diritto alla residenza. Ne ha scritto Fuori Binario lo scorso nunero. Chi vive in uno spazio senza titolo può usare l’iscrizione anagrafica virtuale, come da tempo ripetiamo e ripete la sinistra di opposizione del Comune di Firenze. Ma niente, per ora nessuno con funzioni di governo in Palazzo Vecchio vuole riconoscere gli sbagli. Viviamo in una città dove persino bambine e bambini di pochi anni hanno dovuto essere al centro di importanti mobilitazioni, perché si registrasse la loro esistenza.

C’è un altro aspetto su cui occorre con urgenza lavorare: separare la residenza da qualsiasi tipo di percorso, soprattutto da un confronto con i servizi sociali, che sono un diritto, ma non un obbligo da imporre. Tre sono le priorità. Dare la residenza a chiunque viva sul nostro territorio, cessare con l’abitudine delle cancellazioni fatte con leggerezza, togliere quello che di fatto è un percorso obbligatorio di passaggio dai servizi sociali per poter avere l’iscrizione anagrafica virtuale. Lo abbiamo ribadito in un atto approfondito a ridosso della pausa dei lavori, a fine luglio. Confidiamo che finalmente a settembre Palazzo Vecchio si adegui alla Costituzione e al riconoscimento della dignità di ogni vita.

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