Comunità energetiche rinnovabili: come scoraggiare l’autoproduzione

Sullo sfondo della “transizione energetica”, di cui molto si parla ma per cui poco si fa, è divenuto di attualità anche il tema delle comunità energetiche; se aggiungiamo la qualifica “rinnovabili” possiamo sinteticamente chiamarle CER. Su questo argomento ho già scritto altre volte per Volere la Luna, ma ora c’è qualche novità. Partirò con una sorta di riassunto delle puntate precedenti e prego i lettori più assidui di scusarmi per le ripetizioni.

L’idea è semplice: una CER è un gruppo di utenti dell’energia (e chi non lo è?) che si mettono insieme in un dato contesto territoriale per produrre da sé, da fonti rinnovabili localmente disponibili, l’energia di cui hanno bisogno. Semplice in linea di principio, ma nello stesso tempo rivoluzionaria. La logica interna di una comunità non è quella di una compravendita tra i membri del gruppo e nemmeno quella di fare tutti insieme dei profitti, bensì quella di condividere costi e risorse per soddisfare il proprio fabbisogno. Intorno a noi però la logica è ben diversa ed è quella di mercato: l’energia è intesa come una merce che serve a far profitto. Anche quando si parla di fonti rinnovabili e di efficienza energetica, l’obiettivo degli operatori commerciali del settore, debitamente verniciati di verde o meglio green, rimane quello di vendere sempre più energia.

Se le comunità prendono piede e si diffondono, va da sé che il mercato dell’energia si ridimensiona e gli operatori del settore debbono in qualche misura cambiare mestiere andando ad occuparsi più di fornitura di servizi energetici che di produzione e commercializzazione dell’energia. Il che non li entusiasma.

Dopo questa premessa non starò a ripercorrere tutte le vicende che hanno portato alle comunità dell’energia. Mi limito a dire che la storia è lunga (anche più di un secolo) e che oggi esiste un vero e proprio quadro normativo specifico per le CER e altre forme analoghe di autoproduzione e Autoconsumo Collettivo (come gli AUC nei condomini). Si parte da alcune direttive europee, di cui la più specifica è quella denominata sinteticamente REDII, che vincolano gli stati dell’Unione a promuovere le CER e a rimuovere gli ostacoli sul cammino della loro formazione e funzionamento; si passa per una legge regionale piemontese di iniziativa consiliare (seguita poi da altre simili in varie regioni) che fornisce un supporto alle fasi di avvio di nuove CER; si giunge a una norma ponte nazionale (legge 8/2020, art. 42 bis) che introduce l’incentivazione di CER in formato molto ridotto e di AUC; infine si approda al decreto legislativo 199/2021 esecutivo dal 15 dicembre 2021, che recepisce la direttiva REDII. Ci siamo dunque?! Quasi, perché il DLgs 199 ha bisogno di alcuni provvedimenti operativi per poter essere implementato in concreto; in particolare uno a carico dell’autorità per l’energia (ARERA) che, sia pure con sei mesi di ritardo, è stato emesso il 27 dicembre 2022 (è questa la novità), e un altro del ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica (MASE) che non è ancora apparso ma che il ministro dice di aver firmato e che comunque pare che uscirà entro il mese di gennaio ’23.

Non tenterò qui di illustrare le infinite complessità dei provvedimenti già presi: anche in questo caso è mirabile la capacità della burocrazia di rendere complicati anche processi che, logicamente, sarebbero semplici. Mi limito a evidenziare però un aspetto che per certi versi ha del paradossale.

Le norme prevedono che ognuno dei membri di una CER, per quanto riguarda l’acquisizione dell’energia che gli serve, si rivolga, a prescindere dalla comunità, al mercato. Stipulerà quindi un contratto con un operatore commerciale del settore (quello che preferisce, indipendentemente dalle analoghe scelte fatte da altri membri della stessa CER) e quest’ultimo, ricevuta dal distributore locale (soggetto imprenditoriale che ha in carico la gestione dei flussi di energia e ha accesso ai contatori) l’informazione su quanta energia è passata per il contatore del cliente in questione, emetterà periodicamente una bolletta, a prezzi di mercato, che l’utente pagherà. Se per caso il socio di cui parliamo è anche produttore oltreché consumatore (se è quel che si dice un prosumer), l’energia autoprodotta che non consuma direttamente la riversa in rete e nel far ciò la vende, ad un operatore commerciale o più semplicemente al gestore dei servizi energetici (GSE), e viene di conseguenza pagato: esattamente quello che succede se non fa parte di una CER. E allora la comunità? Se essa è formalmente costituita a termini di legge e l’impianto citato è ufficialmente a disposizione della CER, il GSE quando, dati alla mano, constata che vi è stata corrispondenza temporale (entro un’ora) tra energia riversata in rete e energia prelevata da qualcuno dei soci, considera quell’energia come scambiata virtualmente all’interno della comunità e riconosce alla CER una ‘tariffa incentivante’ proporzionale all’entità dello scambio: sarà la CER stessa a decidere come redistribuire questo incentivo tra i soci. Conviene, no? E il mercato continua a funzionare come se niente fosse, salvo il fatto che a pagare la tariffa incentivante sono tutti gli utenti nazionali, tramite gli oneri di sistema.

Però, se ci fate caso, qualcosa di strano c’è, anche dal punto di vista del famoso mercato. Se io sono socio della comunità pago al mio fornitore tutta l’energia che il contatore dice che ho prelevato dalla rete in un certo periodo, diciamo 100 kWh. Senonché l’esame contestuale del mio contatore e di quello in uscita dall’impianto a disposizione della comunità dice che una parte dell’energia, diciamo 20 kWh, che ho pagato, risultava scambiata, sia pure attraverso la rete pubblica. Perché dunque debbo pagarla al fornitore che con tutta evidenza non l’ha fornita? I kWh forniti sono solo 80. Vabbé, ma comunque tutte le altre utenze nazionali provvedono a farmi arrivare parte della tariffa incentivante prevista dalla legge…

Il decreto 199 però introduce un’altra possibilità: l’utente domestico (non è specificato che cosa sia, ma penso ragionevole si tratti di una famiglia) può optare (a sua discrezione) per un altro meccanismo: lo scorporo in bolletta. In pratica io, utente domestico socio di una comunità, posso dire al GSE: “la quota di energia scambiata che fa capo a me, di’ al mio fornitore di toglierla dalla bolletta (o glielo dico io, se tu mi dai gli estremi per farlo)”. Logico, anche dal punto di vista dei criteri di mercato, e decisamente più conveniente della tariffa incentivante perché il mio risparmio è a prezzi di mercato, quasi come avviene per l’energia autoconsumata direttamente. Quasi, perché, a differenza dell’autoconsumo diretto, qui c’è comunque di mezzo una bolletta con annessi oneri di trasporto e di sistema (sto utilizzando la rete pubblica). Interessante opportunità e la prevede un decreto legislativo. Tutt’al più ci si potrebbe chiedere perché non offrirla anche, all’interno della comunità, a utenze commerciali (per le quali pare ci si preoccupi vivamente del carobollette), sociali o di piccola impresa (tutti soggetti abilitati per legge ad entrare nella CER).

Dov’è il problema? Be’, ARERA in agosto avviò una consultazione sul provvedimento che avrebbe dovuto assumere e che è poi stato pubblicato il 27 dicembre. In quel documento (ARERA 390/2022/R/EEL) al punto 4.77 l’autorità espresse, diciamo, delle perplessità sullo scorporo, dicendo che, secondo lei, non può “essere inteso nel senso fisico del termine, cioè in termini di kWh” perché comporterebbe “rilevanti oneri amministrativi” e impatti negativi che la renderebbero inapplicabile (senza spiegare quali) e presupporrebbe “la definizione di modalità di ristoro dei minori ricavi derivanti alle società di vendita” [il grassetto è mio]. Come dire, prendendo a prestito l’immagine suggeritami da un amico, che se decidessi di coltivarmi un orto per produrre le patate che mangio qualcuno dovrebbe poi pagarle al fornitore da cui non le compro più. Originale, non vi pare? Dal punto di vista tecnico lo scorporo è un problema di gestione dell’informazione: dal contatore domestico, tramite il distributore locale, al GSE (passaggio che deve avvenire efficientemente in ogni caso, per consentire di misurare l’entità dello scambio interno alla comunità) e poi dal GSE all’utente finale e da lì al suo fornitore commerciale di energia. Nell’era dell’informatica e della telematica mi sfugge la complessità dell’operazione.

Come che sia, nel provvedimento pubblicato il 27 dicembre (delibera 727/2022/R/EEL), a pag. 17, l’autorità ribadisce la sua opinione negativa (non d’altro si tratta poiché l’autorità non ha potere di modificare un decreto legislativo) e l’intenzione (poi menzionata come proposta) di attribuire alla società di vendita al dettaglio, anziché alla CER, la quota di incentivo corrispondente allo scambio relativo al socio che scelga lo scorporo. Subito dopo ARERA precisa che comunque questa operazione richiederebbe diversi mesi prima di poter essere implementata (chissà perché?) e quindi non potrà (richiederebbe è un condizionale, potrà è un indicativo nel testo dell’autorità) essere disponibile fin dall’avvio della regolazione prevista dalla delibera. Tradotto dal burocratese: lo scorporo (ora l’autorità ha anche cambiato il termine e lo chiama scomputo) dovrebbe essere rinviato non si sa bene per quanto tempo. Tra l’altro, l’autorità dichiara (pag. 21 del documento citato) che la maggior parte dei soggetti interessati (?) che hanno risposto alla sua consultazione “ha manifestato la propria contrarietà all’introduzione dello scomputo in bolletta” e “ha comunque richiesto che le modalità … siano definite solo in una seconda fase rispetto all’avvio della nuova regolazione … anche attraverso un’ulteriore … consultazione dei soggetti interessati”. Nessuna menzione viene fatta dei pareri a favore dello scorporo e contro le valutazioni negative di ARERA, che pure sono stati espressi in consultazione (posso affermarlo con certezza). Chissà, forse questi venivano da soggetti dis-interessati.

Comunque, a pag. 22, ARERA propone (presumibilmente al ministro) di non fare entrare in vigore la nuova regolamentazione prima del 1 marzo 2023. Poi, qualora non si fosse capito bene, specifica (pag. 24) di ritenere opportuno “rimandare a successivi provvedimenti la definizione delle modalità per lo scomputo in bolletta”.

Passando oltre, non sappiamo ancora nulla del provvedimento ministeriale, però anche in questo caso c’è stata una fase di consultazione chiusa il 12 dicembre e dal testo posto in consultazione emerge un’altra chicca. L’art. 42bis della legge 8/2020 e il decreto legislativo 199/2021 dicono che per attivare una CER questa deve avere a disposizione (almeno) un impianto di produzione di energia da rinnovabili connesso alla rete dopo la data di entrata in vigore delle norme citate (29/02/2020 e 15/12/2021). Il ministro però (pag. 2 del documento) dichiara (dandone la colpa all’Unione Europea e alla normativa sugli aiuti di stato) che per l’impianto necessario “i lavori di realizzazione … devono essere avviati dopo la data di pubblicazione del decreto” (il suo). Poi a pag. 8 riafferma “L’accesso alle nuove tariffe incentivanti … sarebbe … consentito solo per gli impianti … che avviano i lavori ed entrano in esercizio successivamente all’entrata in vigore del decreto” [grassetto mio]. Insomma tutti quegli sciocchi che in giro per il paese si sono dati da fare successivamente al 29 febbraio 2020 (entrata in vigore della legge 8/2020) e hanno avviato la realizzazione di impianti finalizzati a quelle CER la cui normativa aveva cominciato a comparire dovranno farsene una ragione e ricominciare a realizzare ex novo degli altri impianti solo dopo la pubblicazione dell’ulteriore decreto ministeriale.

Si potrebbe però osservare che, rinunciando alla tariffa incentivante per scegliere lo scorporo in bolletta, il problema degli aiuti di stato (posto che ci sia) non si presenterebbe e in tal caso tutto ciò che si è cominciato a realizzare potrebbe esser utilizzato. Un’ulteriore lancia in favore dello scorporo, anche se ne sarebbero escluse le utenze non domestiche.

immagine generata da un’AI

Di tutte queste questioni ho la sensazione che “la politica”, dove non è connivente, poco o, più probabilmente, nulla sappia né si preoccupi troppo di sapere: non c’è tempo di leggere i documenti e men che meno di provare ad immaginarne gli effetti applicativi.

Forse sbaglio, ma mi sembra che il tutto non abbisogni di molti ulteriori commenti. Nel contempo sono ben consapevole che lasciarsi prendere dall’emotività e uscire dalla fredda razionalità è in genere inopportuno e controproducente. Ciononostante non riesco a trattenermi dall’affibbiare al quadro l’appellativo di ignobile.

Che farà messer lo ministro? La tragica telenovela continua.

Angelo Tartaglia Volere la Luna