Nardella e il travisamento della “città universale”

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Nel passare in rassegna i topoi di questo saggio corpulento viene da chiedersi se fosse stato davvero necessario. La città ‘tout court’ vi assurge a simbolo della società e rappresenta da un punto di vista privilegiato la totalità del reale: “Ogni città è conflitto ed equilibrio” (p. 10). “Le città guardano sempre avanti, come l’uomo” (p. 9). Le città sono la più grande invenzione dell’uomo (p. 21). La nuova “sinistra” osserva la storia con una tale drammatica superficialità e semplificazione che il suo “progetto” da molti anni a questa parte risulta inevitabilmente sterile.
Con queste categorie dell’ovvio appare problematico assolvere al “difficilissimo compito di unire l’ identità cittadina ad un progetto politico che nasca dalla visione dei sindaci” (p. 20) che sarebbero i soli capaci di intraprendere “strade nuove”.

Quando Nardella parla dei quartieri fiorentini si dimentica di dire che i quartieri del centro sono abitati quasi esclusivamente da ‘benestanti’, e che da tempo questi quartieri sono privi delle caratteristiche che hanno contrassegnato la storia della città. La città medievale e quella rinascimentale non esistono più se non come retaggi archeologici o come attrazioni turistiche. Ci sono intere zone del centro in cui non è possibile vedere un anziano che si affaccia a una finestra, incontrare qualcuno che porta a spasso un cane, sentire voci di bambini. Popolata da uffici, alberghi, B&B, migliaia di appartamenti concessi per affitti brevi e brevissimi, negozi (soprattutto di lusso), piccoli supermarket, ma oramai abbandonata dalle famiglie artigiane, operaie, e anche della media e piccola borghesia, Firenze si offre al turista come una salma ben conservata.

“Le città sono veri incubatoi di democrazia. Sono i posti dove si tutela nel modo migliore la capacità delle persone di convivere pacificamente e organizzarsi socialmente (p.  33). Eleggere la città a simbolo del mondo moderno è da tempo un approccio superato nelle scienze sociali, oltre ad essere una sciocchezza, quanto stabilire che un gruppo rappresenta meglio di altri il mondo in cui viviamo. La città non funziona in nessun modo come un insieme armonico. Firenze è una grande malata, per molti versi agonizzante se la si guarda con attenzione. Sono ferite a cielo aperto le opere architettoniche innalzate negli ultimi decenni. E il Polo scientifico universitario o il Palazzo di giustizia sono stati realizzati con una lentezza così disastrosa da renderli ‘vecchi’ al loro nascere, per non parlare dello sciagurato aeroporto nel cuore della città: tutto ciò non sembra testimoniare un’idea di armonia e neppure di concertazione. I fiorentini di oggi sono quelli che hanno creato quel mostro che si stende dalla periferia est fino a Prato, un conglomerato urbano che per bruttezza, dis-funzionalità, mancanza di servizi ha poco da invidiare alle grandi periferie di moltissime altre città del mondo.

Stuoli di architetti al seguito di ingegneri altrettanto abili, squadre di tecnici e imprese specializzate sono riusciti a creare un inferno paesaggistico, un ‘non essere’ che scontrandosi con cultura, tradizione, saperi antichi ha condannato l’intera città (perché qui, nelle cosiddette ‘periferie’, vive la grande maggioranza dei fiorentini) a un’esistenza inimmaginabile in ogni altro periodo della storia urbana. A chi fa comodo richiamarsi all’idea di bellezza, di equilibrio, di armonia, utilizzare la metafora dell’orchestra, impiegare simboli ed immagini che non sono, invece, calzanti? La realtà è altro…..La cesura tra parole e fatti è una delle idee che il sindaco ripete riprendendo una cultura ‘del riduzionismo’, e spesso richiamandosi apertamente al breviario della destra.

Le parole sono fatti. Fatti linguistici. La comunicazione è un fatto. Gran parte dell’articolazione della nostra società dipende dalla chiarezza e precisione del fatto linguistico come dalla necessità della comunicazione. Noi viviamo di parole, ci nutriamo di parole. Quest’idea, dunque, di opporre le parole ai fatti è tanto inutile quanto fuorviante (a che servirebbe, allora, scrivere un libro, sindaco Nardella???). “I governi nazionali parlano, i sindaci agiscono” (p. 37). “Il sindaco è l’ultima figura politica ancora riconosciuta dai cittadini” (p. 37). “Il sindaco è il primo sognatore della sua comunità” (p. 38). “E’ grazie al sindaco che la politica mantiene una dimensione di fascino e credibilità” (p. 38). Il sindaco sognatore, il sindaco direttore d’orchestra, il sindaco che meglio di tutti sintetizza ed interpreta la moltitudine di voci della città, che a sua volta rappresenta l’espressione più alta e significativa della civiltà occidentale esprime bene il ricorso allo strumentario paternalistico della “nuova politica”.

Nelle pagine che seguono si traccia un riassunto di alcuni sviluppi della città cercando di mostrare quanto questa è stata in grado di mantenersi moderna sposando passato e presente, integrando il vecchio tessuto urbano con opere di sorprendente modernità e accogliendo voci ed artisti che questa modernità hanno saputo celebrare. Ma Nardella riesce a percepire il brutto, il disfunzionale, l’anti-estetico, quello che è stato costruito intorno a Firenze, quella che è la Nuova Firenze? Li vede i quartieri periferici, Brozzi, Quaracchi, Peretola, Ugnano, Mantignano, Via Baracca, Viale Europa? Osserva le colate di cemento, la distruzione sistematica delle aree verdi, le infinite prigioni in cui sono chiuse centinaia di migliaia di persone? Lo sa che diversamente dalla città rinascimentale lì non c’è rispetto dell’ambiente, della natura, degli esseri umani, dello spazio, del tempo, della vita?

“Riempire di funzioni la città significa innanzitutto investire sulla cultura e sull’educazione”. Nardella attribuisce a Firenze un ruolo guida nella cultura e nella formazione. Se è vero che Firenze ospita scuole, università, centri di ricerca titolati è anche vero che la città ha cessato da tempo di essere un laboratorio di cultura. Non produce “cultura”, non conosce movimenti artistici significativi, non promuove energie rinnovatrici.

Nardella dichiara di aver parlato con i sindaci delle città del mondo dei “progetti più ambiziosi”. I progetti ambiziosi hanno significato quando si riesce a dare risposta ai bisogni essenziali. In città – nonostante le decine di migliaia di turisti che si accalcano in ogni zona del centro storico – non ci sono bagni pubblici, non ci sono panchine per gli anziani, molti spazi verdi sono stati massacrati, non ci sono luoghi per i bambini, non ci sono asili a sufficienza e soprattutto non ci sono abitazioni per i meno fortunati.

Con questo dobbiamo fare i conti. Non ci sono le condizioni per un Nuovo Umanesimo ed è curioso che tutto questo venga sostenuto nel momento in cui l’Italia si trova nello scalino più basso della sua vita politica, e proprio mentre il patrimonio di conoscenze di un popolo appare decomposto e nient’affatto legata alla sua storia recente o remota. Ogni volta che Nardella si richiama ad eventi o momenti storici colpisce quanto poco abbia approfondito e come rimanga sempre legato agli stereotipi presenti e passati. “Il Rinascimento abbandona una visione teleologica”, “il Rinascimento vede la morte di ogni forma di Aristotelismo”. Le cose sono più complicate e ogni studente sa bene quanti retaggi delle epoche precedenti permangano nelle successive e come ogni “rivoluzione” si nutra del passato.

“Firenze ha realizzato la chiusura del centro storico più grande del mondo, Firenze ha posto barriere telematiche, Firenze punta a ridurre le emissioni delle caldaie e l’inquinamento da auto, Firenze mira a…. Firenze è impegnata in un gigantesco progetto di forestazione[…]”. Intanto il traffico è cresciuto esponenzialmente, ci si muove ancora poco con i mezzi pubblici, il centro storico è invaso da auto e mezzi che hanno permessi speciali. Firenze è una città in cui per cinque mesi all’anno non si respira per il calore provocato dai vari inquinanti uniti all’aumento della temperatura, una città che di notte, nonostante le legittime proteste di associazioni e gruppi di cittadini, è attraversata e ferita da turisti festanti, studenti ubriachi, scalmanati senza freni. Per i quali non c’è alcuna denuncia da parte dell’amministrazione fiorentina, tutta invece rivolta a combattere persone immigrate o che si mobilitano per la difesa dei propri diritti, a partire da quello della casa. Degli alberi non vi è traccia: le piazze – anche quelle del centro storico – sono state cementificate, i giardini scarseggiano.

Per Nardella “le città dovranno essere più Green e più smart” (cioè, visto come stanno le cose, dovranno produrre di più e meglio secondo la più classica visione neoliberista). Quanto possiamo continuare a pigiare sull’acceleratore della velocità e dell’efficienza senza provocare gravi scompensi per gli esseri umani? Nardella vorrebbe più rapidità, efficienza, concentrazione, capacità multitasking ma non valuta quanto tutto questo produca ansia, stress, nevrosi, e più in generale comprometta la salute psicofisica dei cittadini attraverso innumerevoli effetti collaterali. Il sindaco ‘taumaturgo’, capace da solo di intuire, comprendere, interpretare, educare, guidare suona tanto di auto-celebrazione e mezzo per avere la benedizione pubblica per fare altro (un altro mandato? Il leader del PD? Un incarico a livello europeo? Stringere alleanze con uomini potenti, svendendo loro la propria città?). Indubbiamente la realizzazione della tramvia ha costituito un balzo in avanti nella strutturazione di percorsi alternativi all’auto, ma è pur vero che ci sono stati giganteschi ritardi e che un’opera che era stata programmata ai tempi del sindaco Morales ha richiesto più di quarant’anni per essere realizzata. I tempi non sono dipesi solo dalle difficoltà burocratiche, ma anche da infiniti errori tecnici e amministrativi e dai tentennamenti della politica che spesso non ha investito sufficienti energie e necessaria attenzione. La pandemia da sola non giustifica i rallentamenti che l’opera ha subito negli ultimi due anni.

Il prosieguo del libro non vede sviluppi significativi. Il confronto con le grandi pandemie del passato e in particolare con la peste di Atene e di Firenze, le città che – lungi dal lasciarsi intimidire e contro ogni aspettativa !!! – diventano più forti e capaci di affrontare le sfide, non è calzante dal momento che oggi avevamo strumenti straordinari per evitare la pandemia e poi per contrastarla efficacemente.

E tra le numerose riflessioni si trova di tutto. Dal vaccino salvifico prodotto in pochi mesi – senza parlare mai dei danni che questo ha provocato proprio perché ideato in breve e sperimentato pochissimo a valutazioni perlomeno discutibili. ‘”Purtroppo il fallimento del referendum costituzionale del 2016 ha azzerato la riforma costituzionale” (p. 272) fino a riferimenti alla statura politica di Zelensky “ho avuto la chiara sensazione di un politico maturo, coraggioso e perfettamente cosciente della situazione” (p. 241).

Nel testo, ci sono poi dei veri gioielli. Davanti alla Merkel comprensibilmente sbigottita di fronte allo spettacolo della città, Nardella e Renzi dichiarano che ci sono due modi per affrontare la bellezza: ci si può lasciar sopraffare e ancorarla alla sua fissità o si può farsi ispirare per produrre nuova arte. Il super sindaco produce nuova bellezza dalla bellezza. Come il divino demiurgo platonico.

Nello stesso modo il sindaco super uomo si dimostra superficiale e frettoloso quando si attribuisce il successo del Convegno sul Mediterraneo, che non ha prodotto nessun risultato e che si è solo limitato a prospettare qualche possibile soluzione, sconfessato dallo stesso Pontefice che si è rifiutato di parteciparvi e si è guardato bene dall’inviare messaggi, e da molti critici e uomini di chiesa, che non hanno gradito la presenza di Minniti, il cui prezioso contributo – a sinistra – ha aperto la strada ai successivi decreti salviniani e alla crescita del commercio delle armi.

Lo stesso tono trionfalistico lo troviamo nelle considerazioni sulla guerra in Ucraina e sulla manifestazione di Santa Croce con l’intervento di Zelensky. E se è certamente vero che la città ha fatto uno sforzo gigantesco per accogliere e integrare i profughi ucraini è altrettanto vero che per decenni non ha fatto altrettanto per coloro che fuggivano da altre guerra o pericoli in altre zone del mondo. Perché non sono stati accolti uomini e donne in fuga da luoghi diventati invivibili per guerre, siccità, miseria, perché si sono erette barriere, perché per loro non abbiamo avuto la stessa compassione ed efficienza nell’accoglienza?

Questo dovrebbe chiedersi un sindaco invece che vantare solo i (presunti) meriti. Interrogarsi sulle ragioni della sconfitta della sinistra intera – e quindi anche dei suoi sindaci – piuttosto che scrivere pagine di una storia ipotetica “se il parlamento quel giorno avesse ricostituito la maggioranza e votato la fiducia, in molti sarebbero stati pronti a riconoscere che i sindaci italiani avevano salvato il governo e in un certo senso il paese” (p. 336).
Quanto Nardella rimprovera alla destra (qui con ragione) è la capacità di contestualizzare, di porre nello spazio e nel tempo storico il presente politico e di essere totalmente priva di visione. Ma questo è precisamente anche quanto dovrebbe sforzarsi di cogliere la sinistra in se stessa, esprimendo da decenni una povertà progettuale che si accompagna puntualmente a una sconclusionata rielaborazione del passato. E se è vero che la destra si è ancorata alle emozioni primordiali della paura e della rabbia, ignorando la sfera della razionalità e tutte le altre emozioni positive, è pur vero che la sinistra non ha saputo fare di meglio, come dimostra anche l’ ultima campagna elettorale nazionale giocata soltanto ‘in negativo’ ossia sulla paura per la destra che avanza.
Machiavelli (che compare a p. 303…) è certamente il più grande politico del Rinascimento, ma non si vede proprio come possa essere considerato (‘forse’ ) il più grande europeista della storia italiana a meno che non si voglia stravolgere categorie del passato per applicarle alla storia contemporanea.

I nuovi leader sono – secondo Nardella – “leader che ambiscono ad incarnare il concetto di ‘super io’” e qui temo che il sindaco confonda ‘super io’ con ‘super uomo’. In ogni caso questi leader ‘muscolari’ che utilizzano un linguaggio aggressivo sono destinati a cadere con la stessa velocità con cui si sono affermati’. Il miglior esempio di questo tipo di leader è rappresentato proprio da Renzi, incapace di creare una prospettiva vincente e crollato nell’arco di pochi anni nel favore e nella simpatia di molti di coloro che l’avevano sostenuto e che oggi riesce a mantenersi in sella solo grazie ad equilibrismi e tattiche di basso profilo. “Quella di Matteo Renzi è stata una corsa solitaria e dirompente, per molti aspetti antisistema e connotata fortemente dalla sua personalità e dalla sua indole, nel bene e nel male” (p. 330). La corsa di Renzi non è stata solitaria e il personaggio non ha portato nessun elemento di critica sostanziale, tant’è che oggi lo si trova al centro di uno schieramento liberale e moderato.

Piuttosto che osannare lo schieramento dei sindaci, Nardella farebbe bene a interrogarsi sui motivi del crollo del suo partito, osservando la sua città con spirito critico e cercando di comprendere le molte cose che non funzionano. L’umiltà e la coscienza rendono gli individui capaci di rivedere, aggiustare, mutare profondamente idee e prospettive. Occorre una vocazione all’osservazione e all’ascolto, e un profondo interesse per la vita delle persone ‘comuni’ (a partire dalle più fragili), che la maggior parte dei dirigenti del PD pare avere da tempo smarrito.

Dario Nardella, La città universale, La nave di Teseo, Firenze 2022, pp. 400, euro 18

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Donato Bargellini

Laureato in filosofia, ha insegnato lettere e filosofia nelle scuole superiori fino a due anni fa. Ateo e rivoluzionario, fin da ragazzo, ha sempre cercato di scardinare convenzioni e certezze. Ha condiviso le scelte di Lorenzo, che ha amato profondamente.

2 commenti su “Nardella e il travisamento della “città universale””

  1. Roberto Renzoni

    Caro Donato, apprezzo l’articolo, la sua sostanza. Con calma invierò alla rivista che ha ospitato il tuo commento al libro di Nardella una mia poesia relativa a piazza S. Maria Novella, ovvero com’era e com’è oggi. Allora abitavo a Firenze, oggi sono in esilio ad Empoli causa uno sfatto, sai com’é, capita a quelli che non contano…..

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