Da “Richard Ginori 1735” a “Ginori 1735”: storia di una fabbrica e di un parco

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1. Antefatti

Giungere alla “liberazione” dell’area di circa 15 ettari di terreno pregiato della Ginori è stato l’obiettivo fondamentale dei proprietari di Richard Ginori 1735 che nel secondo dopoguerra si sono avvicendati, senza mai riuscirvi. “Capitani coraggiosi” come Sindona, Ursini, Ligresti fino al bancarottiere Villa si sono dati da fare per portare la manifattura al collasso. Villa c’era quasi riuscito: aveva depauperato il patrimonio di RG1735 vendendo nel 2004 le proprietà immobiliari (terreni e capannoni) a RGreal estate spa alla quale RG1735 da quel momento si trovò legata con un contratto d’affitto capestro, vincolato all’impegno di trasferire l’attività produttiva in tempi strettissimi in altro luogo. Fallimento il 7 gennaio 2013 ed avvio procedimento per bancarotta fraudolenta nei confronti di Villa & c.

Museo Ginori a Sesto Fiorentino

Nel 2013 l’intervento della Magistratura dichiarò “inammissibile” il “salvataggio” della RG1735, proposto dalla cordata USA/Romena, “Lennox/Apulum” che avrebbe portato negli USA il marchio “Richard Ginori 1735” ed avrebbe dato la proprietà della produzione ad Apulum, un’azienda romena che ne avrebbe cambiato il nome e ne avrebbe dovuto effettuare il trasferimento nella Piana, lasciando “finalmente” libera tutta l’area. E questa sarebbe stata veramente la tragica fine di una importante storia identitaria plurisecolare.

Fortunatamente grazie alla Magistratura i fatti sono andati in altra direzione. Poi è arrivato Gucci. E prima di Gucci il MIBAC acquistava il Museo ed i terreni di pertinenza assieme alla collezione presente e sparsa sul territorio. Materiali sono provvisoriamente custoditi dall’ Archivio di Stato, altri sono ancora dentro la Manifattura. Il Comune di Sesto fiorentino, con la Regione Toscana e il Mibac, vista l’importanza internazionale dei beni culturali in oggetto, sottoscriveva nel 2018 un formale Accordo di Valorizzazione del Museo. Nello stesso anno veniva incaricato dal MIBAC un gruppo misto di esperti che elaborarono le Linee Guida per la Fondazione di partecipazione che stava per essere costituita: un documento di 58 pagine che nel 2019 venne approvato da MIBAC, Regione e Comune. Il Museo nelle Linee Guida viene definito dagli esperti “un unicum museo-impresa a livello internazionale” e ne mettevano in evidenza gli spazi “palesemente inadeguati”

2. Gli atti

Contemporaneamente, in una sorta di sdoppiamento della personalità il Comune attivava la procedura per variare la destinazione urbanistica dei circa 20.000 mq di terreno situato sui due lati del Museo. Il cammino per approvare la “variante Ginori” è iniziato con una delibera del Consiglio comunale del 21 dicembre 2017 che aveva come oggetto l’approvazione degli indirizzi da assegnare alla giunta: “PER L’APPLICAZIONE DEL PROTOCOLLO D’INTESA FINALIZZATO AL MANTENIMENTO DELLA FUNZIONE PRODUTTIVA DELL’ATTUALE STABILIMENTO”.

Cosa c’è che non torna? Non torna prima di tutto il fatto che i consiglieri comunali approvarono all’unanimità senza aver visto il protocollo d’intesa, documento che non è neppure allegato alla delibera. Infatti è scritto nella delibera che i consiglieri hanno preso atto “dell’illustrazione dell’argomento da parte del Sindaco L. Falchi” e hanno votato sulla fiducia per amor di patria, dato che si trattava di materia che stava giustamente a cuore di tutti. Ma quello che è più grave è che allora nessuno informò i consiglieri dell’atto che il 4 dicembre 2017 firmò il sindaco a Roma e che aprì le porte al protocollo d’intesa firmato il 14 dicembre 2017: si tratta dell’ accordo di massima cioè dell’ unico atto nel quale si parla chiaramente anche del ruolo e delle aspettative immobiliari di Unicoop.

L’ accordo di massima del 4 dicembre 2017 è un documento segreto, non esiste, non se ne sa nulla fino alla fine del luglio 2019, quando ormai la variante è scodellata e viene votata dalla maggioranza in solitaria. Il protocollo d’intesa, tra i cui firmatari non c’è Unicoop, non dice nulla di tutto ciò; non parla di metri quadri da cementificare ma contiene il seguente impegno per il Comune:

“una volta perfezionata da parte di Richard Ginori S.r.l. e Ginori Real Estate S.p.A. la compravendita dei terreni, da considerarsi quale necessaria e sostanziale premessa per la definizione dell’interesse pubblico, si impegna ad avviare il percorso amministrativo pubblico finalizzato a giungere alle necessarie modifiche “degli strumenti urbanistici del Comune relativamente alle aree non interessate dall’insediamento industriale, nel rispetto del contesto urbano preesistente e dell’interesse pubblico generale.” Parole che alla luce dei fatti dovrebbero pesare come piombo.

3. I tempi.

il 21 dicembre 2017 con l’approvazione velocissima e unanime da parte del Consiglio Comunale della delibera che autorizzava la giunta ad avviare la procedura per l’adeguamento degli strumenti urbanistici, il Comune di Sesto aveva già ottemperato esattamente all’ unico impegno preso dal sindaco con la firma dell’accordo e del protocollo d’intesa. Allora perché dare priorità assoluta alla redazione della variante quando, oltretutto c’era vicinissima la prospettiva del nuovo Piano Operativo da redigere, come dice la legge regionale, non per riempire spazi ma per dare un senso alla città, un segno di capacità di governare i suoi spazi ed i suoi pieni, le sue funzioni e la sua qualità per i 40.000 abitanti che ne condividono il territorio? L’impegno era stato assolto. Ora si sarebbe trattato di governarne i contenuti. Invece…

4. I modi.

Già, la “variante semplificata”. “Semplificata”: con questo aggettivo tutto il lavoro di redazione della variante non ha visto alcuna attività di informazione o partecipazione dei cittadini. Dice infatti il dott. Rizzo, Garante comunale dell’informazione e partecipazione, che trattandosi di variante semplificata: “non è dovuta l’individuazione di forme e modalità dell’informazione e della partecipazione”. In realtà la legge regionale n.65 del 2014 dice che, nel caso di variante semplificata, le forme di partecipazione ed informazione sono “individuate dal comune in ragione dell’entità e dei potenziali effetti delle previsioni oggetto della variante semplificata.” Il Comune evidentemente ha considerato insignificanti l’entità e gli effetti della variante Ginori sulla città. Secondo loro i 7.500 mq di nuovi spazi commerciali ed i 3.000 mq di residenziali su viale Pratese e viale Giulio Cesare avranno così pochi effetti sulla vita dei cittadini e sulle attività economiche da consentire una procedura così sbrigativa e opaca? Per non parlare dell’impatto sul futuro di quel Museo che negli atti della variante viene definito “complementare” rispetto agli insediamenti commerciali e residenziali. Ma il fatto bizzarro è che questa convinzione del Comune è durata fino all’ approvazione della variante, perché poi il Comune stesso ha “prescritto” ad Unicoop la realizzazione di un “programma di informazione e ascolto” dei cittadini.

Comunque la “variante semplificata” viene adottata a fine luglio 2019 e viene dato il mese di agosto per presentare le osservazioni. Pochi giorni prima della scadenza dei termini per la presentazione delle osservazioni, per scrupolo ho informato personalmente l’associazione “Amici di Doccia”: non sapevano nulla ed in fretta e furia hanno presentato un’osservazione. Messi in “allarme rosso” a loro volta hanno informato Soprintendenza e Direzione regionale dei musei del MIBAC, che a loro volta non sapevano nulla ed hanno quindi in extremis presentato le loro osservazioni. Nasce il Comitato che in pochissimo tempo raccoglie oltre 750 firme, un gruppo di ceramisti sestesi fa un appello pubblico, l’associazione di professionisti “A SestoAcuto” prende una posizione molto “ruvida” sul suo periodico (vengono convocati “a rapporto” nel palazzo ), ecc. La variante semplificata viene approvata definitivamente con i voti della sola maggioranza il 9 novembre 2019 (il PD vota contro).

5. Che abbiamo fatto?

Certamente la presidente di Unicoop farebbe ancora bene a riflettere sulla proposta inviatale il 29 ottobre 2019: entrare a far parte della Fondazione di partecipazione del Museo conferendo alla stessa come socio sostenitore, i terreni su viale Giulio Cesare, pagati tra l’altro poco più di 150 €/mq. D’ altra parte l’impegno di Unicoop per la cultura è noto, così come quello che dimostrò a favore della manifattura quando RG1735 era in pessime acque. Molti pensano anche che siano possibili ed auspicabili sinergie tra Museo-Impresa-Unicoop interessanti anche sotto un profilo economico. Basterebbe uscire da una logica di chiusura da bottegai e da nomenklatura, che tra l’altro male si concilierebbe con la storia della Coop, cooperativa nata a Sesto Fiorentino. Quando nel corso del 2022 abbiamo appreso che il Comune aveva ottenuto un finanziamento del PNRR per spostare entro il 2026 la piscina comunale che si trova davanti il lotto dove vogliono costruire il supermercato Unicoop, abbiamo proposto che con lo strumento della permuta ci si accordasse per salvare quel lotto di pregiato terreno agricolo ed i suoi oltre 150 alberi. Questa proposta era accompagnata dalla sottolineatura del fatto che su quel lotto si trova un immobile tutelato perché testimonianza dell’edilizia agricola della Piana ed al quale erano corollario significativo gli ulivi presenti su quel lotto ed estirpati nel mese di ottobre 2022.

Quello che per noi è assolutamente irrinunciabile è l’interesse pubblico. Se si leggono le Linee Guida per la Fondazione ci si rende conto dell’impatto che la realizzazione anche solo di una parte di esse potrebbe avere per l’economia cittadina (a titolo di esempio, Meissen registrava prima della pandemia oltre 600.000 visitatori l’anno) e per la stessa manifattura e la sua presenza sul mercato internazionale del lusso: ci sarà pure un motivo, o no se altri marchi, tra cui Gucci, hanno speso milioni per dotarsi di un proprio museo di impresa? Si chiama Heritage brand. Oggi è “forse” su questo terreno che si salvano i posti di lavoro e se ne creano di nuovi. Altro che supermercati e condomini.

 

 

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