Il randagismo non è solo un problema per cani

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In Italia fino al 1991 i cani cosiddetti vaganti, cioè quelli trovati liberi e incustoditi sul territorio nazionale, potevano essere catturati dai Comuni, detenuti alcuni giorni in stabulari e poi, se non reclamati da nessuno, essere uccisi, sempre ad opera dei Comuni, oppure ceduti ad aziende che li utilizzavano per la sperimentazione animale. Tra l’Italia e le perreras spagnole dunque corrono circa tre decenni.

Dal 1991 in virtù della legge 281 (Legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo) ciò non è più possibile.
Una conquista per gli animalisti italiani, che avrebbe dovuto essere un punto di partenza per rivedere tutto il sistema degli animali cosiddetti di affezione e della convivenza uomo-animale in un territorio sempre più antropizzato.
Ma è stato così? Vediamo. Intanto fu istituita l’anagrafe canina, nella quale il cane viene tuttora iscritto con un codice ricollegandolo a un detentore, ma ancora non funziona benissimo, vennero stabilite competenze e doveri precisi delle Asl e dei Comuni, vennero previsti canili sanitari, canili rifugio, stabilite norme di tutela degli animali, cani e gatti, e soprattutto vietata la loro soppressione. Un primo, ma importante passo recepito e disciplinato diversamente da Regione a Regione. Nel 1991 il randagismo era un problema sociale ovunque, nelle campagne spesso si trovavano branchi di cani randagi, talora inselvatichiti, che creavano problemi alla circolazione, attaccavano greggi, spaventavano passanti e soprattutto sopravvivevano in modo davvero miserabile. Lo dico perché quella realtà l’ho vissuta in prima persona.
Con gli anni alcuni Comuni si attrezzarono con canili più o meno decenti, altri ancora non lo hanno fatto. Il Comune di Piombino per esempio già nel 1992, spinto dal volontariato locale, ebbe un canile comunale.

I restanti Comuni della Val di Cornia ancora oggi non hanno un canile comunale e solo il Comune di Suvereto ha una convenzione con un privato. Gli altri a 30 anni e più dalla legge nazionale non hanno né canile né convenzioni e sono del tutto inadempienti agli obblighi di legge.

D’altro lato scoppiò subito, dopo la nuova legge, il business dei canili. E ovviamente la speculazione sulla pelle dei cani. Dovunque privati, a volte onesti imprenditori, altre volte disonesti affaristi, tirarono su in fretta e furia canili che spesso si sono rivelati veri lager.

Il gioco è semplice. Il privato prepara quella struttura che il Comune non ha e non vuole avere, il Comune riempie la struttura di cani catturati, il privato spende pochissimo per quel cane, diciamo a volte il minimo del minimo, e incassa dal Comune il doppio; nessuno controlla, i cani non li vede più nessuno e il gioco è fatto. In alcune Regioni ancora accade, anche se gli esempi virtuosi ci sono ovunque.

La sensibilità dei Comuni nei confronti degli animali non dipende dal partito che amministra, ma dalla cultura del luogo e dall’individuo che amministra. Comunque stiamo parlando di un fiume di soldi pubblici.

Oggi la battaglia per il canile, fondamentale negli anni 90, dovrebbe essere accompagnata da misure ben diverse. Prendiamo la Toscana. Qua i numeri del randagismo sono calati sensibilmente negli ultimi 15 anni. L’anagrafe canina, l’esistenza di molti canili che permettono di catturare e detenere eventuali cagne randagie, la presenza e l’attività costante di molte associazioni che il territorio lo monitorano autonomamente, tutto questo ha ridotto fino ad eliminare, in alcune zone, il fenomeno. Tanto che il numero dei cani detenuti nei canili, oggi aperti al pubblico e alle adozioni, diminuisce di anno in anno.

Invece altre zone d’Italia continuano ad essere all’anno zero, nonostante la presenza e l’attività di moltissime volontarie, che spesso si trovano non solo a gestire in proprio il problema, ma anche ad avere l’ostilità delle istituzioni. Ecco quindi che in quelle zone – generalmente meridionali – ancora esiste il lucroso businnes dei canili, i cani muoiono di stenti per strada, le volontarie per salvarli sono costrette a sobbarcarsi disagi e spese, e nessuno obbliga le istituzioni a fare il loro dovere. Ecco perché si organizzano staffette dal sud al nord per salvare povere bestie e indirizzarle a una vita più sicura in Regioni libere dal randagismo.

Ma cosa si dovrebbe fare se si volesse davvero evitare la tragedia per questi animali, liberare tutte le Regioni dal randagismo, annientare il business dei canili lager? Intanto monitorare il territorio e intervenire subito in presenza anche di una sola cagna randagia. Sterilizzare; questa è la nuova missione della lotta al randagismo. Facilitare la sterilizzazione anche delle cagne di proprietà, perché la maggior parte dei randagi viene dalle cagne di proprietà. Creare una cultura del cane.

Solo così i numeri del randagismo si abbasseranno, i canili si svuoteranno, i cani non moriranno più miserabilmente per strada, e i cittadini non moriranno più per essere usciti di strada a causa dell’incidente con un randagio. Ma in questa Italia a pelle di leopardo siamo molto lontani dal ragionare con logica, sensibilità e buon senso.

L’autrice è anche Presidente De La Casa di Margot odv Piombino

 

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Maria Cristina Biagini

Maria Cristina Biagini, di Piombino, pensionata del Comune di Piombino, dove per oltre 30 anni è stata la Responsabile Servizio Personale. Attivista del gruppo "Gazebo 8 giugno contro il rigassificatore", gruppo di cittadini piombinesi che si è reso conto per primo del disastro che stava arrivando con la decretazione d'urgenza. Coorganizzatrice l'8 giugno della prima manifestazione contro il rigassificatore.

1 commento su “Il randagismo non è solo un problema per cani”

  1. Maria Antonia Catania

    Ben detto,purtroppo il sud non riesce a liberarsi dalla piaga del randagismo.In parte è colpa delle istituzioni ed in parte colpa dei privati che non sterilizzano e mollano intere cucciolate non desiderate.
    Sterilizzare a tappeto e obbligo di
    sterilizzazione anche per i privati.
    So che è un utopia ma è la sola arma che abbiamo contro il randagismo

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