Estratto da: Disertate di Bifo

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Con il gentile permesso della giovane casa editrice Time0, pubblichiamo un Estratto dal libro di Franco Berardi «Bifo», Disertate, 2023, pp.260, € 20.00

Gli ultimi anni hanno rivelato impietosamente tutti i limiti dei sistemi di governance attuale. La pandemia, la guerra in Ucraina, l’aumento dell’inflazione e la probabile carestia a venire hanno reso evidente come la politica possa ormai poco di fronte agli stravolgimenti mondiali. Anche il riscaldamento globale sembra inevitabile, così come lo è la sovrapproduzione di merci nell’economia capitalista. Nei suoi testi più recenti, il filosofo e agitatore culturale Franco Bifo Berardi si chiedeva cosa fare quando non c’è più niente da fare? Questo libro offre la sola risposta possibile ormai: disertare. Scappare. Nascondersi. Perché quando si fugge non ci si limita a fuggire, ma si trovano complici, affinità, si creano legami, nuove idee e, perché no?, nuove armi con le quali difendersi da un mondo sempre più inumano.

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MARX NELL’ORIZZONTE DELL’ESTINZIONE

Il comunismo in quanto soppressione positiva della proprietà privata, intesa come autoestraniazione dell’uomo, e perciò in quanto reale appropriazione dell’essenza umana da parte dell’uomo e per l’uomo; in quanto ritorno completo, divenuto cosciente, attuato all’interno di tutta la ricchezza dello sviluppo storico precedente, dell’uomo per sé come uomo sociale, ossia umano; questo comunismo coincide, in quanto compiuto naturalismo, con l’umanismo, e in quanto compiuto umanismo con il naturalismo: è la vera soluzione del conflitto dell’uomo con la natura e con l’uomo, la vera soluzione del conflitto tra esistenza ed essenza, tra oggettivazione e autoaffermazione, tra libertà e necessità, tra individuo e genere. È l’enigma risolto della storia e sa di essere tale soluzione.
Karl Marx, Manoscritti economico-filosofici del ’44

APOCALISSE DELL’UMANESIMO

Ho sempre considerato i manoscritti del Marx giovane come un libro bellissimo, ma privo di relazione col nostro tempo e politicamente inutile: la intima struttura di quegli scritti infatti mi pareva troppo legata all’impianto hegeliano e quindi intrappolata nella presupposizione idealistica di un superamento storico (Aufhebung) iscritto nel destino logico dell’uomo. Eppure, per qualche ragione oggi quei testi che io scoprii da giovanissimo lettore stanno tornando alla mia attenzione, forse perché la questione dell’umanesimo ritorna in una nuova luce, che è la luce oscura della prospettiva di estinzione della civiltà umana. Questa prospettiva non emerse quasi mai nella discussione tra i marxisti del secolo scorso, perché nella maggior parte dei casi era implicito nella loro mente una sorta di presupposto progressivo.

È facile trovare tracce di un universalismo umanista negli scritti giovanili di Marx e anche nella retorica del movimento operaio del Novecento, ma l’ipotesi di un collasso finale del- la civiltà umana, un ritorno brutale del Caos preantropico, non è stata presa in considerazione nelle peggiori congiunture del Ventesimo secolo, che fu segnato dagli orrori del Fascismo e del Nazismo.

Ora è diverso: non solo gli orrori del fascismo e del nazismo sono tornati in larga parte del pianeta, ma il collasso degli ecosistemi, unito all’esplosione dell’infosfera e al caos mentale che ne segue, ci costringe inevitabilmente a immaginare l’inimmaginabile.

La pandemia e i collassi sistemici che ne sono seguiti hanno inaugurato ufficialmente l’età dell’estinzione, il che significa che l’estinzione della civiltà umana si profila come orizzonte di possibilità. Il bio-virus ha messo in moto un info-virus che ha paralizzato e scardinato il ciclo economico del capitalismo. Dal momento che l’infovirus ha messo in moto una mutazione psicopatologica della vita sociale e dello stesso inconscio, è ora difficile aspettarsi che il normale ciclo dell’economia potrà mai riprendere. Nonostante il falso ottimismo degli economisti – i quali, come abbiamo visto, non sanno immaginare il mondo se non attraverso le categorie della loro pseudo-scienza – l’epoca espansiva del capitalismo sembra aver raggiunto il suo punto limite, e ora ci si presenta un’alternativa: o una trasformazione egualitaria della vita sociale, redistribuzione della ricchezza, rapporto frugale con la natura, oppure un ciclo di guerra, collassi ambientali, epidemie provocate da virus che l’antropizzazione ha privato dell’habitat ecologico, catastrofi umanitarie, e fino all’estinzione della civiltà umana.

COMUNISMO O ESTINZIONE

Dopo questa affermazione insieme drammatica e radicale, siamo costretti a chiederci: è ancora immaginabile il progetto comunista, oppure si è dissolto nella nebbia dell’inimmaginabilità? È ancora praticabile? Per rispondere a questa domanda dobbiamo prima spiegare quale sia il significato della parola comunismo in Marx, poi dobbiamo analizzare le trasformazioni che hanno trasformato la organizzazione materiale della società e particolarmente del lavoro, infine dobbiamo valutare la mutazione che si sta verificando nella sfera della soggettività sociale nell’era inaugurata dalla pandemia. Marx non ha elaborato una teoria utopica del comunismo, anzi da qualche parte ha detto che non era interessato a scrivere ricette per il ristorante dell’avvenire. Però dice in varie occasioni che nella lotta degli operai era in questione qualcosa di più grande e più importante dell’interesse particolare degli operai stessi (salario, tempo di lavoro, condizioni di lavoro e così via): nel progetto comunista di abolizione della proprietà privata e dello sfruttamento era in questione il destino della dignità umana.

Marx non prese neppur in considerazione la possibilità di una sconfitta finale del progetto comunista, anzi qua e là traspare nel suo pensiero l’idea di necessità storica, fondata sull’eredità hegeliana, sul persistente mito del superamento come piena realizzazione della Ragione. Nei lavori tardivi di Marx, e particolarmente di Engels, questa necessità è legata a una scommessa su un certo tipo di determinismo economico: la dinamica della concentrazione capitalista era considerata come la premessa naturale dell’espropriazione degli espropriatori.

Quando, in Le lotte di classe in Francia, Marx parla dei comunardi sconfitti dalla repressione violenta che le armate francesi e prussiane scatenarono unite contro il comune nemico proletario, non prende neppure in considerazione l’ipotesi che quella particolare sconfitta fosse un segno dell’invincibilità del capitalismo. Era perfettamente cosciente del fatto che i comunardi stavano aprendo la strada a un processo di lungo periodo che si sarebbe svolto attraverso tentativi, sconfitte e vittorie parziali. Ma per quanto io possa ricordare non prese mai in considerazione la prospettiva di una sconfitta finale.

Quando alla fine del Ventesimo secolo il movimento internazionale dei lavoratori fu sconfitto dall’offensiva congiunta dell’economia neoliberale e del fascismo militare, e la classe operaia venne politicamente distrutta dalla deregulation globalista, i marxisti si trovarono in una condizione di incertezza: dovevano accettare l’idea della fine di ogni possibile autonomia sociale e quindi l’idea che il capitalismo, nella sua specifica versione neo-liberale era l’orizzonte finale dell’immaginazione politica, o dovevano sviluppare nuove forme di autonomia, radicate entro una nuova configurazione del processo lavorativo?

Mentre la maggioranza di coloro che erano stati comunisti si trasformavano in funzionari servili della riforma neo-liberale, una parte di loro, in particolare quelli che poi furono definiti post-operaisti o piuttosto neo-operaisti, inaugurarono una nuova linea di ricerca teorica e politica, fondata sulla consapevolezza che i lavoratori cognitivi non sono meno sfruttati dei loro corrispettivi industriali, e finalizzata a sperimentare un’emancipazione possibile dell’intelletto generale dalla presa dello sfruttamento capitalista.

Nelle presenti condizioni di collasso economico, di confusione e depressione psichica la soggettività sociale potrà trovare nuove forme di ricomposizione di re-immaginazione?

Se l’autonomia dei lavoratori è la sola maniera per trasformare l’alienazione in libertà, come Marx suggerisce, se solo l’emancipazione dei lavoratori dalla schiavitù salariata può condurre all’emancipazione del genere umano, allora la sconfitta dell’autonomia dei lavoratori comporta una sconfitta del genere umano nella sua interezza.

E infatti, dopo la sconfitta mondiale del movimento operaio, oggi stiamo effettivamente affrontando un rischio di disintegrazione dell’edificio sociale e dello stesso ambiente fisico del pianeta terra.

TENDENZA E POSSIBILITÀ

La critica materialista del capitalismo si fonda sulla premessa che non vi è alcuna garanzia trascendente di un esito progressivo dell’evoluzione sociale, e che il processo storico non ha niente a che vedere con la realizzazione di un ideale morale, né di un astratto programma politico.

Il futuro è contenuto come possibilità nella composizione presente della società. La possibilità di una nuova forma sociale è incorporata nelle relazioni sociali, nella potenza tecnica, e nelle forme colturali che si sono sviluppate nel corso della creazione conflittuale della civiltà moderna.

Il movimento di autonomia che è emerso nella seconda parte del secolo passato si fondava sulla convinzione che il comunismo fosse una forza immanente contenuta nella composizione sociale presente, ma che doveva essere disincagliato perché le potenze dell’intelletto generale potessero svilupparsi oltre i limiti del capitalismo.

Questa forza sarebbe nascosta entro la forma attuale della produzione. E questo processo si svilupperebbe nel continuo conflitto politico e nella continua collaborazione tecnica tra lavoro e capitale.

Il riferimento al cosiddetto «Frammento sulle macchine»[1] è cruciale a questo punto: in quel testo Marx suggerisce che il comunismo è contenuto nelle pieghe del presente, come tendenza incorporata nello sviluppo tecnico dell’organizzazione di lavoro e conoscenza. Tutto è già lì: la potenza dell’intelletto generale, l’intensificazione costante della produttività, la tendenza verso l’emancipazione del tempo dal lavoro.

La tendenza iscritta nell’organizzazione tecnica del capitale conduce a una nuova concatenazione di conoscenza e macchine. In questa visione immanentista c’è il pericolo di intendere una possibilità come se fosse una necessità. Invece non si tratta di una necessità, ma di una possibilità che solo una configurazione autonoma della soggettività (immaginazione, solidarietà, organizzazione) può trasformare in emancipazione effettiva.

IL PROGETTO COMUNISTA È ANCORA IMMAGINABILE?

Nel pensiero di Marx la possibilità dell’autonomia sociale dalla regola capitalistica, e quindi l’immanenza del comunismo, era collegata all’emergere della classe operaia industriale.

In molti punti Marx sostiene che la classe operaia industriale è la sola forza sociale che ha la capacità di emancipare l’intera umanità nel corso della sua propria emancipazione. Né i contadini, né i poveri, né gli intellettuali hanno questo ruolo storico universale, solo la classe operaia industriale, per due caratteri intrinseci alla sua esistenza sociale.

Prima di tutto la vita dell’operaio industriale è il punto di arrivo di un processo di alienazione dell’attività umana, come Marx spiega nei Manoscritti Economico Filosofici del ’44. In secondo luogo, le condizioni tecniche del processo di lavoro modellano classe operaia come una massiccia armata disciplinata, fortemente territorializzata, legata allo spazio della fabbrica, e costretta a seguire gli stessi percorsi di vita quotidiana.

Queste due caratteristiche sono essenziali per capire perché l’autonomia dei lavoratori è condizione per l’emancipazione dell’umanità intera.

Ma nell’epoca che è seguita alla deregolamentazione neoliberale e alla deterritorializzione digitale del lavoro, cioè nella sfera del semio-capitale, queste due caratteristiche svaniscono, fin quasi a scomparire.

La territorialità industriale che comportava una disciplina egualitaria e la massificazione della forza politica del proletariato, è sostituita dalla deterritorializzazione del processo lavorativo e dalla precarizzazione della relazione di lavoro. Gli operai industriali erano culturalmente pronti all’egualitarismo perché il salario riduceva il loro tempo a una misura unitaria, e perché la loro collocazione fisica era necessariamente legata al luogo della fabbrica. Ma questo legame tra territorio e lavoro è stato polverizzato, in Occidente, dal processo di globalizzazione e dalla precarizzazione del lavoro: la globalizzazione ha determinato la delocalizzazione di interi complessi industriali, riducendo fortemente la forza-lavoro operaia in loco; la flessibilità digitale rende possibile nel lavoro cognitivo la delocalizzazione da remoto e la dispersione dei lavoratori, inducendo una condizione di permanente competizione che rende assai più ardua la formazione di una cultura egualitaria. Cambia quindi la stessa percezione del lavoro perché, trasferita nella sfera del semio-capitale, l’alienazione prende una forma del tutto differente.

Il lavoratore industriale è costretto a ripetere incessantemente gli stessi gesti senza senso. Il suo lavoro è pura attività muscolare, dissipazione dell’energia intellettuale e negazione dell’espressività. Solo negli spazi di estraneità al lavoro, di disimpegno, di assenteismo o di conflitto il lavoratore industriale può esprimere sé stesso: per questo l’alienazione (Entausserung) e il rovescio dell’alienazione, che è l’estraneità (Entfremdung), sono collegate ma anche in contraddizione. L’estraneità è una conseguenza dell’alienazione, ma ne è anche il rovescio soggettivo, e il punto di partenza dell’autonomia.

Nella sfera del semio-capitale, al contrario, la dinamica di alienazione si trasforma, perché quel che viene coinvolto nel processo lavorativo non è più l’energia fisica, ma il linguaggio, l’espressione, l’invenzione: energia mentale, il nucleo dell’espressione umana. I lavoratori cognitivi, che sono il nucleo del processo di valorizzazione contemporaneo occidentale, non possono esprimere lo stesso tipo di estraneità dei loro predecessori, né lo stesso grado di rifiuto del lavoro.

La sconfitta del movimento operaio negli anni Ottanta e la conseguente offensiva neoliberale non hanno segnato soltanto una sconfitta politica, ma hanno avviato la distruzione della democrazia e del progresso sociale. La democrazia è stata cancellata dall’inesorabilità degli automatismi tecno-finanziari, e il progresso è stato sostituito da diseguaglianze crescenti. Per quanto sia chiaro che nemici del genere umano come Thatcher, Reagan, Blair e Clinton si siano impegnati attivamente a distruggere il benessere sociale e la speranza di giustizia, il carattere devastatore del tardo-capitalismo non va considerato come l’effetto della malvagità di quei singoli individui, né di decisioni ideologiche o politiche. La violenza del Capitale va più a fondo, e al di là delle trasformazioni del mondo occidentale, perché è ormai irrimediabilmente legata alla catastrofe ecologica, alla fine dell’espansione: è segno di un’intensificazione furibonda dello sfruttamento e dell’estrazione. Rende evidente che le fonti di energia (fisica e nervosa) sono prossime all’esaurimento.

Espansione è stata la parola chiave della modernità: crescita economica, colonizzazione di nuovi territori, prolungamento del tempo di vita. Ciò fin quando emerse la coscienza del fatto che i margini per l’espansione si stavano stringendo.

Il Rapporto sui limiti della crescita del Club di Roma del 1971 anticipò quel che oggi è chiaro come il sole: la crescita illimitata non è possibile in un pianeta limitato, a meno di avviare un processo di distruzione attiva delle risorse ambientali e delle energie nervose. Entriamo in un’epoca che si può definire epoca della Grande Contrazione. Drastica riduzione del consumo individuale e collettivo, redistribuzione della ricchezza, frugalità come criterio della produzione e della distribuzione dei beni necessari alla vita.

Esistono le condizioni culturali e politiche perché questo passaggio si svolga in maniera pacifica o conflittuale, ma comunque non apocalittica?

La risposta che ricaviamo dalla storia dei primi decenni del Ventunesimo secolo è: no. La guerra ucraina è la prova del fatto che gli umani non sono in grado di affrontare in modo solidale una minaccia che li riguarda tutti e che sta distruggendo le basi stesse della civiltà planetaria.

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  1. Il testo è celebre ed è stato più volte ripubblicato; la prima traduzione italiana è Karl Marx, «Frammento sulle macchine», Quaderni Rossi, n. 4, 1964, ma è tratto dai Grundrisse der Kritik der Politischen Ökonomie, Dietz Verlag 1953, pp. 583-594, ed è possibile dunque leggerlo in una loro qualsiasi edizione italiana (per esempio: Karl Marx, Grundrisse. Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, Pgreco 2012).

A parte l’immagine di copertina e quella dell’autore, le altre sono state generate da una AI su prompt nostro

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