Una donna, per la prima volta, alla presidenza dell’Istituto Universitario Europeo

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Pubblichiamo alcuni estratti del discorso di presentazione alla città di Firenze di Patrizia Nanz, nuova presidente dell’Istituto Universitario Europeo (palazzo Medici-Riccardi, 11 aprile 2024), nel quale vengono affrontati temi quali crisi della democrazia, polarizzazione delle società, politica dal basso, ruolo trasformativo delle università in rapporto con società, città e territori, immaginario progettante. Ci pare interessante che dall’esperienza teorico-pratica della nuova presidente si possa dedurre che perseguire la partecipazione sia antitetico al dirigismo imperante e al culto del capo; che obbiettivo della ricerca applicata sia l’interesse pubblico e non gli interessi privati, infine che si debbano concentrare gli sforzi per perseguire l’uguaglianza e condizioni di vita accettabili per la cittadinanza tutta.

Discorso di presentazione della prof. Patrizia Nanz, Presidente dell’Istituto Universitario Europeo,  alla città di Firenze

Firenze, Palazzo Medici-Riccardi, 11 aprile 2024

[…]

A cinquant’anni dalla fondazione dell’Istituto Universitario Europeo, le differenti crisi che le nostre società si trovano ad affrontare oggi sono piu profonde di quello che appare. Il punto critico è che ci confrontiamo con una serie di questioni caratterizzate da un’incertezza e da una complessità senza precedenti.

Queste sono: una situazione geopolitica disastrosa; l’avvento della disinformazione digitale e le sfide dell’intelligenza artificiale; democrazia e libertà minacciate; la distanza tra élite politiche e popolazione, e una crescente polarizzazione nelle società; il cambiamento climatico e i suoi effetti.

Le crisi che stiamo affrontando hanno carattere generale, ma influenzano ed investono il nostro stile di vita, le scelte quotidiane, le nostre città e regioni, ma anche le nostre università. Sono questioni che si pongono nel lungo termine, ma allo stesso tempo richiedono cambiamenti immediati. E soprattutto un cambiamento di paradigma del pensiero. Non sono questioni né lineari né univoche – in una parola sono complesse.

Il casino mediceo di San Marco, o palazzo Buontalenti, nuova sede dell’IUE in città (fonte Google maps)

Questioni che pongono domande scomode: come riorganizzare le nostre società e i nostri sistemi democratici? È possibile crescere ed avere un’economia davvero sostenibile? Cosa vuol dire essere liberi oggi? Domande che non si possono affrontare singolarmente, ma solo in modo sistemico. Sollecitano una discussione ampia, riguardo ai valori e agli obiettivi che sono interagenti e spesso in conflitto.

Rispondere a queste domande significa prendere decisioni fondamentali che riguardano la direzione in cui vogliamo andare. Vuol dire che in questa fase di rapide transizioni – digitale, sociali e di un’auspicabile conversione ecologica –, comprendere e ripensare il rapporto tra l’università e la città è oggi più che mai urgente. Il ruolo delle università rispetto alle città è di sensibile incremento del bene comune aldilà della formazione ed educazione degli studenti.

La politica e l’amministrazione a livello nazionale hanno raggiunto il limite delle proprie capacità nel plasmare la trasformazione della società, ed anche quello del problem solving (avendo lavorato recentemente per il governo tedesco ne so qualcosa).

Solo se valorizziamo e rinvigoriamo la democrazia dalla base, la cittadinanza si formerà convinzioni e immaginazione di futuro.

Solo a quel punto le comunità locali potranno far pressione sui propri rappresentanti e su chi prende le decisioni istituzionali per ottenere politiche più coraggiose.

Ma come è possibile mettere insieme persone e idee per creare il nostro futuro comune? Come alimentare un dialogo sincero e costruttivo, assicurando che convinzioni fondamentali e punti in conflitto siano posti al servizio del bene comune?

Una risposta efficace, nella pratica, potrebbe configurarsi più o meno così: vari rappresentanti della società e organizzazioni locali – associazioni locali, chiese e comunità, camere di commercio o semplimente persone che vogliono prendere parte attiva – si riuniscono con l’obiettivo di comprendere come possono far fronte alla loro situazione. Insieme alle istituzioni cercano di elaborare un piano, ad esempio, per arrivare a realizzare una città che sia davvero vivibile. E far sì che esso venga implementato.

Non vedo qui soluzioni tecnicistiche ma la possibilità di offrire spazi per un immaginario progettante di nuovi rapporti sociali e una politica non di competizione, ma di collaborazione e di pace.

Fantascienza?

Ho organizzato tali processi come direttrice di un centro di ricerca sulla sostenibilità e professoressa all’università di Potsdam insieme a sindaci “illuminati” e consigli comunali virtuosi di dieci città in tutta la Germania. In un secondo tempo queste città si sono incontrate, imparando l’una dall’altra e alla fine hanno sottoposto alle Regioni e al Governo centrale proposte per migliorare le politiche nazionali, rendendole più coraggiose e creative attraverso le idee nate dalle comunità locali.

L’obbiettivo concreto e ambizioso è provocare un movimento dal basso, un movimento locale. Questo progetto che continua tuttora si chiama LOSLAND, “forza paese”. Come dire: se tutto il paese fosse così innovativo ed efficace, la Germania sarebbe un luogo diverso, con una giustizia ambientale maggiore, una qualità della vita migliore e più attraente, con un futuro per i nipoti.

Per tanti anni ho sperimentato la collaborazione fra ricerca e città. Come fondatrice del Forum pour l’avenir franco-allemand ho ospitato dialoghi tra varie città quali Lione e Monaco di Baviera ­– amministrazione pubblica e società civile ­– per affrontare questioni quali emissioni zero e housing sociale. In un secondo momento hanno imparato l’una dall’altra. Questi dialoghi transnazionali hanno prodotto e producono raccomandazioni e richieste ai governi francese e tedesco. Ma l’idea fondamentale è di animare un’Europa più democratica e sostenibile fondata sull’incontro fra le città. Un’Europa della pace tra esseri umani e tra questi e l’ambiente che li ospita.

Cosa ho imparato da questi progetti? Da un lato, che un’azione comunitaria efficace richiede quattro mattoncini come presupposti per il cambiamento: far incontrare le persone; condividere informazioni; arrivare a una nuova comprensione e creare insieme nuove conoscenze; stabilire obiettivi comuni e una responsabilità condivisa per raggiungerli. D’altro lato, una volta posati, questi mattoncini che caratterizzano la cultura collaborativa si sostengono da soli, generando persino una propria dinamica di espansione, perché sono risorse che non si riducono quando sono impiegate in un’azione comunitaria efficace; anzi, ne risultano accresciute.

Il fatto che una università indipendente come quella di Potsdam fosse promotrice e responsabile di questi processi è stato un elemento fondamentale per il successo di questo progetto.

Questo e tanti altri esempi illustrano come l’università possa assumere un ruolo trasformativo di grande rilevanza, un vero “luogo terzo” per la riflessione e la co-creazione di un futuro sostenibile.

La sola esistenza delle università e la loro naturale predisposizione alla ricerca non è condizione sufficiente.

Mi piace usare per l’università l’immagine di àncora di salvataggio, su cui contare mentre navighiamo nelle crisi di oggi e nella grande trasformazione della società che tanti scienziati reputano profonda quanto quella della rivoluzione industriale.

Le scienze sociali e umanistiche al centro del lavoro del nostro Istituto assumono in questo un ruolo centrale, perché indirizzate alla comprensione profonda delle dinamiche sociali, a interpretare la complessità, a navigare nell’incertezza che ci troviamo di fronte.

Perciò l’università deve porsi in prima linea nel rispondere a queste sfide con una forte volontà di agire dando vita ad uno spazio per la discussione libera, necessario alla trasformazione e all’incremento della vita democratica: e di agire proattivamente!

L’Istituto Universitario Europeo non deve solo migliorare le nostre politiche e fornire soluzioni tecniche per la Commissione Europea, ma può anche recuperare la capacità di esercitare la nostra immaginazione politica, di mantenere (e migliorare!) la vita democratica delle nostre società. Il nostro obbligo verso il futuro è di essere in prima linea a fronte di queste trasformazioni.

[…]

Auspico che questa collaborazione sia l’inizio di un processo deliberativo e concreto – e creativo – e che coinvolga istituzioni e cittadini.

Potremmo prendere spunto da Amsterdam, dove l’università e la città hanno dato vita ai Living Labs: collaborazioni tra società civile, cittadini, imprese e istituzioni, che mettono in moto le attività del territorio con diversi obiettivi: per esempio riqualificare aree abbandonate o sviluppare soluzioni per il turismo sostenibile. I Living Labs sono stati replicati in diverse città europee. Sono convinta che questi spazi di co-creazione siano la strada più efficace per ottenere risultati apprezzabili.

Per riassumere, a mio parere, i centri di ricerca e le università dovrebbero essere il “luogo terzo” per ripensare le nostre società alla luce della crisi della democrazia.

Praticare l’educazione e la collaborazione nei percorsi di studio e di sviluppo di una cultura della pace e del rifiuto della violenza.

Ed è per questo che oggi voglio riaffermare che le porte dell’Istituto Universitario Europeo sono aperte alla città di Firenze. In quello che vogliamo sia un continuo scambio di idee e progetti per il futuro.

Sono felice di essere qui oggi, per cominciare questo lavoro, insieme.

 

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