Abitare il deserto: l’esperienza di Corsica 81

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Per il mio lavoro di tesi sullo spazio pubblico a Firenze, sulle realtà informali che lo attraversano, sulle pratiche di resistenza e sulla creazione di immaginari “altri”, ho incontrato due persone che hanno vissuto e vivono l’esperienza dell’occupazione Corsica 81. Nell’intervista le chiamerò X e Y. Il nostro discorso ha toccato tematiche comunitarie, modelli di vita queer, visioni diverse di famiglia e di legami.

DT: Come descrivereste l’esperienza dell’occupazione di viale Corsica 81 a qualcunə che non ne ha mai sentito parlare?

X: Inizio col dire che è un po’ strano da spiegare: della nostra realtà posso solo parlare al passato. Corsica è un’esperienza lunga di costruzione, era una comunità collettiva, un’attività che si organizzava all’interno di uno spazio. In quel caso, per tanti anni, è stato viale Corsica 81, a Rifredi. Una caratteristica importante di Corsica è che aveva una parte sociale e una parte organizzativa, ma erano molto legate. Soprattutto la parte abitativa era molto comunitaria. La collettività aveva una forma un po’ strana, nel senso che non siamo mai statə tanto militanti, né compattə a livello ideologico, ma ci siamo sempre riconosciutə in un certo modo di fare politica, in un certo tipo di pratiche abbastanza radicali da portare in campo. Però ognunə aveva le sue forme, ognunə aveva le sue forze, soprattutto sull’aspetto comunitario: si viveva insieme, si faceva politica insieme, si mangiava insieme tutti i giorni, ogni aspetto della vita era collettivo. È stato un grande esperimento sociale, per dieci anni è stato tantissime cose, ci siamo raccontatə in tanti modi. Ciò che è sempre rimasto è l’aspirazione a vivere in maniera diversa, in maniera collettiva. Si usciva dall’idea di vivere anche male per fare politica, per noi è sempre stato importante mantenere un livello radicale e conflittuale all’interno della nostra città ma anche nella nostra vita. Il fatto di stare lì e di essere costantemente in una situazione illegale e in qualche modo essere più difficilmente recuperabili a livello istituzionale. È stata la collettività al centro di quest’esperienza che ci ha portato avanti. Poi negli anni la differenza c’è stata. È cambiata tanto anche la nostra forma. Per esempio, già solo i luoghi successivi a Corsica avevano una struttura diversa. In Corsica abitavamo in venticinque persone, le occupazioni successive erano molto più piccole, non siamo più statə così tantə.

DT: Adesso avete un luogo vostro?

X: Ancora no, diciamo che per fare un piccolo resoconto, marzo del 2021 è stato un lungo mese di sgomberi per noi, abbiamo prima occupato in Ponte di Mezzo e ci siamo rimastə un anno e mezzo, poi il circolo Arci Romito, Gramsci e infine Via Incontri 2 che tra varie evoluzioni è diventato luogo della nostra assemblea aperta a tuttə.

DT: Avete scelto via Incontri 2 con cognizione di causa o semplicemente perché le “disponibilità” erano quelle?

X: Di sicuro Firenze non è una città che lascia tanti spazi vuoti ormai. Ci sono tanti posti abbandonati che però hanno qualche progetto in corso. Via Incontri è un bel posto, siamo in città, in un quartiere per noi importante perché abbiamo creato tanti legami, volevamo preservare questo. Poi è anche bello avere due ettari di parco in cui possiamo fare gli orti e le attività più sociali, cose carine. Anche lo spazio di Corsica era bellissimo, però non c’era tanto spazio da dedicare al sociale, siamo sempre statə limitatə da questo punto di vista.

DT: Quali sono gli obiettivi anche per il futuro prossimo di Corsica?

X: In generale, un tema comune a quello che sono state le nostre lotte che però abbiamo portato avanti con pochissima progettualità, è l’opposizione al nuovo modello di città. In qualche modo tutte le nostre battaglie sono sempre riconducibili a questo tema. Tutte le questioni dell’invivibilità dei luoghi, del fatto che non puoi bere una birra in piazza o non puoi sederti e stare sugli scalini di Santo Spirito, ad esempio. Per noi occupare è sempre stata la più basilare opposizione alla gentrificazione della nostra città. Il nostro slogan è “abitare il deserto”, costruire comunità nel deserto, perché questa città si sta davvero desertificando e sono i legami sociali lo strumento utile a questa lotta.

Y: Vivere qui e ora, anche per quello per cui si lotta, no? Quindi, lottare per dimostrare che un modo di vivere diverso può esistere, mettendolo in pratica nella quotidianità. È chiaro che devono essere le lotte globali ad essere applicate al modello societario, però noi intanto cerchiamo di applicarlo veramente nelle nostre vite tutti i giorni, in modi diversi che poi si vanno a contrapporre completamente a quello che è il modello imposto dalla società. Lo stile di vita che ormai ci viene proposto, assolutamente legato al guadagno economico, al lavoro, alla carriera, al consumo, per alimentare costantemente tutto questo sistema che a livello politico, etico, a livello di tutto non fa altro che ridurci ad un’alienazione totale.

DT: Sono molteplici i lati negativi di Firenze già citati, parliamo invece di quelli che per voi sono gli aspetti positivi della città.

Y: Vengo da Agrigento, quindi insomma parecchio lontano. Vivo a Firenze da dieci anni e quindi sì, mi ha mostrato sicuramente tutti i lati negativi possibili ed immaginabili, però me ne ha mostrati moltissimi che sono veramente molto positivi. Perché alla fine paradossalmente più è critica la situazione più le cose positive sono belle: trovi compagni, compagne, trovi rete, trovi famiglia, e te lo dico proprio come persona che praticamente non ha una famiglia a parte mia madre che è in Sicilia. Alla fine, quindi per me queste cose sono super importanti: famiglia in cui si crede, quello per cui si lotta, la tipologia di vita che si vuole costruire e la possibilità di costruire insieme. Siamo tuttə queer, nel senso che è un modo di vivere queer, una visione diversa di famiglia, una visione diversa di legami. Poi vabbè, a me la politica antagonista fiorentina piace tanto, ed è una realtà che ad Agrigento non potrei mai avere purtroppo. È bello vedere che il quartiere di Rifredi ancora in qualche modo resiste a tutti i processi di gentrificazione, che ci vede sempre più ai margini della città. E il quartiere lotta e resiste assieme, non siamo solo noi che comunque siamo individui politicizzati in qualche modo, ma anche la vecchietta col cagnolino, i ragazzi che si sono trasferiti dalla Sardegna, tutta una serie di situazioni che ancora mi fanno sperare.

X: Firenze è una città con la capacità di unirsi e opporsi al marcio che abbiamo attorno e di farlo insieme.

DT: Una delle frasi che mi è rimasta più impressa che ho ascoltato durante il mio lavoro di ricerca è stata: “Firenze è un ottimo laboratorio politico e urbano”. E questa caratteristica l’ho ritrovata in tutte le interviste fatte fino ad ora. È, secondo me, uno dei punti di forza più importanti della città o almeno, quello che preferisco maggiormente.

X: Esatto, esistono tante realtà che comunicano e parlano fra di loro, sono cose che arricchiscono tanto il panorama della resistenza fiorentina.

Y: È il substrato, come a volte scrivono, il sottobosco fiorentino che resiste, è la Firenze che nei quartieri ha le mamme con i passeggini che vanno a fare il corteo perché vogliono un parco invece di un’Esselunga. Perché si rendono conto che, anche se fanno una vita normale, intesa come normale vuole la società, che il cemento fa male, che le cose mancano. Sì, perché finché parliamo noi, che più o meno militiamo negli spazi e siamo quasi sempre in lotta è un conto, ma è quando anche la gente meno o per niente militante protesta accanto a noi che senti la lotta in maniera differente, più unitaria. Rifredi è sempre stato un quartiere che è lotta, per fortuna, e le persone sono lì con noi.

X: Tra le cose buone di Firenze riscontro proprio la possibilità di fare rete: per esempio, nel 2018 c’è stato un allarme sgombero, quello della Polveriera. Circa seimila persone si sono ritrovate in Polveriera per opporsi allo sgombero. Negli anni poi è nata “l’assemblea di resistenze”. Era l’assemblea di reti negli spazi, tra le realtà. Era un progetto nato dalla necessità di fare fronte comune a tutta la fase di sgomberi.  Ora non è più così formalizzata, però rispetto a prima non c’è più la problematica del rapportarsi a livello cittadino. Nel senso, prima c’erano molte dinamiche da affrontare, mentre ora c’è molta connessione. Le cose si fanno con tuttə e con tutte le realtà con cui abbiamo collaborato e con cui lavoriamo.

Y: Le difficoltà ci sono, chiaramente, però. Alla fine per quante problematiche ci possano essere all’interno dell’antagonismo fiorentino, quando c’è una difficoltà che bisogna affrontare tuttə insieme, si affronta tuttə insieme.

X: Non so se hai presente il sito de “La punta” (https://lapunta.org ),  è il nostro calendario condiviso online. È una piccola cosa, però è un prodotto di questa fase della Polveriera del 2018. È un calendario condiviso che è diventato da poco tempo il calendario toscano di condivisione di eventi. Tutte le realtà mandano aggiornamenti su eventi da loro organizzati e manifestazioni in cui richiamano l’attenzione delle persone. Noi ci mettiamo tutti i nostri eventi, è un po’ l’espressione di quello che chiamiamo “sottobosco Fiorentino”.

Firenze, 26 marzo 2024.

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Denise Torsello

Denise Torsello è laureanda in urbanistica presso l'Università degli studi di Firenze.

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