Inquinamento navale a Livorno: un’altra estate a finestre chiuse (5)

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Livorno non è una città portuale come le altre.

Le sostanze e i gas tossici che le navi scaricano nei nostri polmoni giorno e notte (polveri sottili e ultrasottili, biossidi di azoto e di zolfo, metalli pesanti, idrocarburi policiclici aromatici) si aggiungono alle emissioni di altri siti, industriali e civili.

Il polo petrolchimico coi suoi miasmi, un inceneritore vecchissimo che per anni ha bruciato (e forse tornerà a bruciare) rifiuti anche di altre città, il traffico urbano intensissimo di due arterie di scorrimento che passano in pieno centro.

È a causa del porto e della raffineria ENI che, secondo i rapporti periodici del Ministero della Salute e dell’Istituto Superiore di Sanità, a Livorno si muore più della media Toscana; ci si ammala di tumore alla pleura più di quanto statisticamente possiamo aspettarci; nascono bambini e bambine con un numero di malformazioni neonatali maggiore che a Taranto.

In questo scenario estremamente allarmante, la stagione appena iniziata si preannuncia l’ennesima a porte e finestre chiuse per le decine di migliaia di livornesi che abitano vicino al porto.

Nulla infatti è stato fatto negli ultimi cinque anni di governo della città per proteggere i cittadini dall’aria avvelenata che esce continuamente dalle ciminiere delle navi, invade le case, la gola, i polmoni. Una preoccupazione ancora più forte visto che la Giunta appena insediata segna una forte continuità con quella precedente, che non ha saputo o voluto ascoltare le continue richieste di intervento.

E sì che le azioni a disposizione del sindaco erano state elencate chiaramente attraverso un documento (“Dieci domande al sindaco”) consegnatogli un anno e messo fa durante una conferenza stampa sull’ambiente e poi inviato via PEC. Alla quale, come di norma, non si è degnato neppure di rispondere.

Intanto si poteva monitorare il problema.

Sia dal punto di vista delle emissioni (installare finalmente centraline fisse Arpat in porto, rilevare gli inquinanti “a camino”, mappare le caratteristiche tecniche della motorizzazione e degli impatti almeno di ciascuna delle 20/30 navi ricorrenti in porto).

Sia dal punto di vista delle ricadute sanitarie, a cominciare dall’avvio di indagini epidemiologiche mirate sulla popolazione di cittadini e lavoratori più coinvolta (c.d. “studi di coorte”) e dall’istituzione del registro tumori.

E poi, sempre nello svolgimento del suo ruolo di principale responsabile della sanità locale, il sindaco avrebbe potuto e dovuto esercitare una pressione costante sui suoi interlocutori istituzionali.

Da un lato sulla Capitaneria, perché intervenisse a sanzionare i comportamenti nocivi e interrompesse l’aerosol continuo di “black carbon”, una mistura di gas e polveri altamente cancerogena. A poco serve l’Ordinanza emessa a pochi mesi dalle elezioni (chissà perché…) visto che prescrive in sostanza cose già previste per legge e non va ad aggredire il cuore del problema: l’uso durante le manovre in porto di carburanti con un tenore di zolfo 500 volte più alto di quello consentito agli autoveicoli.

Dall’altro si sarebbe potuto intervenire sull’Autorità Portuale, per indurre gli armatori ad adeguare tecnologicamente le loro flotte (circolano ancora navi di mezzo secolo, da queste parti…) così da farsi trovare pronti all’appuntamento del “cold ironing”, cioè l’elettrificazione delle banchine prevista per giugno 2026.

E infine serviva fare pressing sulla Regione, per pretendere l’istallazione delle famose centraline Arpat e l’esecuzione delle indagini epidemiologiche.

L’estate scorsa, nell’ambito di un dibattito alla Festa dell’Unità (sponsorizzata in gran parte dagli operatori portuali…) tutte queste richieste sono state chiaramente e nuovamente formulate ma sono state accolte con imbarazzo dall’Assessore regionale alla Sanità Bezzini e dallo stesso Sindaco Salvetti. Forse perché la politica sanitaria del Partito Democratico non si discosta molto da quella della destra, imperniata com’è sulla logica prestazionale (pagare medicine e visite per farsi curare, magari presso le aziende private) anziché sui principi di prevenzione (intervenire sulle fonti inquinanti industriali per anticipare l’insorgenza delle malattie).

Ad essere maliziosi ci sarebbe da pensare che far ammalare i cittadini alla fine costituisca un’ottima opportunità per il business sanitario: parafrasando Robert Kennedy, anche i fumi navali servono ad incrementare il PIL.

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