Se è vero che l’umanità ha la memoria corta, è fondamentale ricordare ogni giorno quei fatti che restituiscono un’immagine il più oggettiva possibile della realtà, come, per esempio, le opinioni espresse dalla Corte internazionale di giustizia il 19 luglio 2024: «Israele non ha diritto alla sovranità o all’esercizio di poteri sovrani in nessuna parte del Territorio palestinese occupato – La presenza di Israele nel Territorio palestinese occupato è illegale – L’illegalità riguarda l’intero Territorio palestinese occupato da Israele nel 1967»; è bene ricordare, inoltre, che i pareri espressi dal Tribunale internazionale dell’Aia riguardano anche gli altri Stati: «Tutti gli Stati devono cooperare con le Nazioni Unite per mettere in atto le azioni necessarie per porre fine alla presenza illegale di Israele nel Territorio palestinese occupato e garantire la piena realizzazione del diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione – Tutti gli Stati sono obbligati a non fornire aiuto o assistenza nel consolidamento della situazione creata dalla presenza illegale di Israele nel Territorio palestinese occupato»; oltre a ciò, è importante tenere a mente il rapporto pubblicato il 5 dicembre 2024 da Amnesty International e intitolato “You feel like you are a subhuman. Israel’s genocide against palestinians in Gaza”, lavoro in cui sono stati raccolti sufficienti elementi per concludere che Israele ha commesso e sta continuando a commettere genocidio nei confronti della popolazione palestinese nella Striscia di Gaza occupata.
Il presidio di sabato 18 gennaio 2025 in Piazza San Marco a Firenze è stato un momento importante per serbare il ricordo di quanto provato dalle ricercatrici e dai ricercatori di Amnesty International e di quel che è stato stabilito dalla Corte internazionale di giustizia, specialmente per quanto concerne l’obbligo degli Stati terzi a garantire che le loro attività economiche, militari e politiche non sostengano atti di genocidio, considerato che, in accordo con la Convention on the Prevention and Punishment of the Crime of Genocide (in vigore dal 1951), si può essere ritenuti legalmente responsabili di favoreggiamento del genocidio anche per il semplice mantenimento di legami commerciali esistenti.
Il luogo scelto dalle diverse associazioni che hanno cooperato per l’organizzazione del presidio del 18 gennaio non è casuale: mobilitarsi in Piazza San Marco, sotto il rettorato dell’Università degli Studi di Firenze, vuol dire ricordare che le università devono interrompere i rapporti con l’industria della guerra, e che sia così scongiurato il pericolo del dual use. È lecito chiedersi: come è possibile che i progetti di ricerca europei di fatto finanzino l’industria militare nonostante le regole vigenti? Riprendendo le parole della nota diffusa da Firenze per la Palestina, dal Partito dei Comitati di Appoggio alla Resistenza per il Comunismo, dalla Rete Ricerca e Università per la Palestina e dall’Associazione di Amicizia Italo-Palestinese, nella pratica il dual use è consentito perché la maggior parte dei progetti in questione sono civili dato che, in teoria, riguardano temi come le operazioni di salvataggio durante i disastri naturali; tuttavia, la tecnologia che rende operativi i frutti delle ricerche in materia può essere ripresa e commercializzata con altri scopi – si pensi ad esempio a quei droni in grado di identificare persone grazie ad avanzate fibre ottiche e sistemi di localizzazione.
A tal proposito, è opportuno ricordare le iniziative intraprese dall’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, tra cui la petizione Fuori le università dalla Fondazione Med-or/Leonardo, produttrice di armi e di morte lanciata il 7 novembre 2023 a Montecitorio: «a livello universitario la collaborazione tra Università e industrie belliche è in costante implementazione, soprattutto per quanto riguarda i progetti di ricerca e il loro finanziamento. Come nelle scuole, dove le testimonianze militari vengono sempre accompagnate da una facciata buonista, anche nelle Università e negli Enti di Ricerca si cerca di mascherare la principale finalità di ciò che ruota intorno all’industria bellica: la produzione di strumenti di morte. Molto significativa è la nascita nella primavera del 2021 della Fondazione Med-Or del gruppo Leonardo S.p.A. (ex Finmeccanica, azienda italiana attiva nei settori della difesa, dell’aerospazio e della sicurezza e che esporta armi in tutto il mondo) “per promuovere attività culturali, di ricerca e formazione scientifica, al fine di rafforzare i legami, gli scambi e i rapporti internazionali tra l’Italia e i Paesi dell’area del Mediterraneo allargato fino al Sahel, Corno d’Africa e Mar Rosso (Med) e del Medio ed Estremo Oriente (Or)”. Dietro a questo disegno strategico si celano percorsi di “ricerca condivisa e continuativa” o una idea della “formazione continua” che stridono con i risicati fondi destinati ai percorsi di partecipazione, innovazione e formazione all’interno degli Atenei». L’Osservatorio denunciò che tredici fra Rettori e Rettrici di altrettante università italiane erano (e sono tuttora) parte del comitato scientifico della Fondazione Med-Or; tra i Rettori coinvolti e le Rettrici coinvolte, spicca anche il nome di Alessandra Petrucci, Rettrice dell’Università degli Studi di Firenze.
Nei volantini diffusi durante il presidio di Piazza San Marco si legge: «Dalla parte degli studenti o dell’industria bellica? Alessandra Petrucci: decidi da che parte stare! O rettrice o in Med-Or»; il significato della manifestazione, quindi, è da ricollegare alla condanna del rifiuto della rettrice di congelare gli accordi tra l’Università di Firenze e quelle israeliane, e alla richiesta di interrompere la sua collaborazione con la Fondazione Med-Or.
Per convincersi della cogenza di queste osservazioni, basta spulciare il sito della Fondazione: nella pagina informativa che riguarda Israele non emerge un singolo accenno al genocidio del popolo palestinese, né al fatto che la Corte internazionale di giustizia abbia prescritto di interrompere qualsiasi rapporto istituzionale, commerciale e culturale con lo Stato israeliano; è interessante constatare che navigando il sito di Leonardo, invece, nella sezione “Principali Rischi” incontriamo un “accenno” alle atrocità che hanno avuto luogo a Gaza: «Il violento riaccendersi degli scontri militari tra Israele e Palestinesi ha determinato una situazione di forte tensione, con la possibilità di estensione del conflitto a Paesi dell’area Medio-Orientale. Il degradare delle condizioni di sicurezza nell’area geografica di riferimento potrebbe mettere a repentaglio l’incolumità delle persone, gli asset e la continuità operativa di Leonardo in Israele, così come della supply-chain e dei clienti israeliani» – come se l’incolumità delle persone fosse sullo stesso piano del mantenimento degli asset finanziari.
Tornando alle motivazioni che giustificano la necessità di tenere separate le università italiane da Med-Or/Leonardo, si deve ricordare che, come riportato da Altraeconomia, parte della flotta della marina dello Stato ebraico impegnata nell’attacco contro la Striscia di Gaza è armata dall’Italia: «Ad armare le corvette dello Stato ebraico, è, dagli anni Settanta, l’italiana Oto Melara, oggi controllata da Leonardo. Secondo la versione ufficiale del governo israeliano, queste nuove imbarcazioni dovrebbero essere impiegate per difendere i giacimenti di gas metano che si trovano nel Mediterraneo e rivendicati anche dagli Stati confinanti, ma le vicende degli ultimi mesi smentiscono Tel Aviv»; inoltre, come emerge da un’altra inchiesta di Altraeconomia, Leonardo ha fornito assistenza tecnica da remoto, fornitura di pezzi di ricambio e riparazione di materiali per la flotta di velivoli addestratori M-346 – i caccia da addestramento dell’aviazione israeliana. In questa sede è doveroso far riferimento anche al (datato ma pur sempre attuale) rapporto di Amnesty International, intitolato Outsourcing Responsibility: human rights policies in the defence sector, grazie al quale è stato esibito come 22 compagnie internazionali del settore dell’armamento, fra cui Leonardo, non stessero attuando un’adeguata due-diligence in materia di diritti umani, al fine di evitare che i loro prodotti vengano utilizzati in potenziali crimini di guerra; si segnala, infine, l’interessante lavoro de Il Manifesto che unisce molti dei puntini fin qui solo accennati.
Dopo la petizione lanciata dall’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, dei tredici fra Rettori e Rettrici facenti parte del comitato scientifico di Med-Or, si registra una presa di posizione netta solo in relazione a Stefano Bronzini: a marzo 2024 il Rettore dell’Università degli Studi di Bari ha annunciato le sue dimissioni dalla Fondazione, rinunciando così agli accordi con l’industria bellica che foraggia i luoghi delle cultura per trasformarli in strumenti al servizio della guerra; su questa linea, molto più recente è la decisione dell’Università di Pisa di iniziare l’iter di modifica del proprio Statuto per specificare che non sostiene e non partecipa ad alcuna attività finalizzata alla produzione, allo sviluppo e al perfezionamento di armi e sistemi d’arma da guerra.
Ad oggi la Rettrice Alessandra Petrucci non ha dimostrato la volontà di ascoltare le richieste delle associazioni, delle ricercatrici, dei ricercatori, delle studentesse e degli studenti; seguendo la linea di Tiziana Lippiello, Rettrice dell’Università Ca’ Foscari Venezia, sostiene che la carica in Med-Or non sia incompatibile con quella di Rettrice, visto che la sua presenza nel comitato scientifico della Fondazione del gruppo Leonardo è a titolo personale. Ed è per questo motivo che il presidio di sabato 18 gennaio è stato importante: per ricordare questo imbarazzante impasse dei rettorati, e condannare chi non sa da che parte stare quando deve scegliere fra la purezza della cultura e la corruzione del sostegno a chi persegue l’annientamento e la cancellazione di un intero popolo.
In conclusione, la recente mobilitazione di Piazza San Marco è stata considerevole almeno per un altro motivo: ha rappresentato un primo tentativo di mettere in dialogo alcune delle varie associazioni toscane che sostengono le ragioni della resistenza palestinese per determinare la formazione di una rete antisionista e anticolonialista; in un altro volantino distribuito durante il presidio sotto il rettorato dell’Università degli Studi di Firenze, infatti, si legge la lista delle realtà che hanno condiviso l’idea di aderire ad una rete antisionista e anticolonialista di stampo regionale: Comunità Palestinese Toscana/Fiorentina/Pisana; Comitato Pistoiese per la Palestina; BDS Pisa; Coordinamento per il Boicottaggio di Israele – Pisa; Circolo Agorà; Healing and Freedom Peltier Support Group – Pisa; SOMS Insorgiamo; Associazione La Rossa; Cambiare Rotta, CRED; Italia Cuba Firenze; Cantiere Sociale Versiliese; Freedom Flottilla – Massa-Carrara; USB; Potere al Popolo; Rete dei Comunisti; Rifondazione Comunista; Partito Comunista Italiano; Resistenza Popolare; Lega dei Comunisti – Firenze.
Una lista che, sotto il segno della convergenza, è in aggiornamento.

Lorenzo Robin Frosini

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